PROMESSA DI NATALE di Alexandra J. Forrest


«Allora, che fai a Natale?» chiede Jessica con espressione neutra, rigirando il cucchiaino nella tazza di tisana.
   Rifletto sulla domanda che potrebbe sembrare innocente, ma non lo è, e decido di tenermi sul vago. «Ancora nessun programma. E tu che fai?»
   «Passerò le feste coi miei ad Aspen, dove Kevin mi raggiungerà per festeggiare insieme l’anno nuovo.»
   Kevin è l’attuale fidanzato di Jessica, l’ultimo di una lunga lista di uomini entrati e usciti dalla sua vita alla velocità della luce, e se dovessi azzardare una previsione la loro storia ha già una data di scadenza.
   «Vuoi trascinare ad Aspen uno che detesta la montagna?»
   Jessica si agita sulla sedia. «Perché sei sempre così estrema? Kevin non ama la montagna, è vero, però ha accettato volentieri. Giuro che non l’ho costretto.»
   Non ne sono convinta, ma mi astengo dall’esprimere i miei dubbi e lei ne approfitta.
   «Pensi che lo lascerò come gli altri.» Assume un’aria afflitta e mi sento in dovere di negare ciò che considero ineluttabile.
   «Ma figurati! Tu e Kevin siete nati per stare assieme.» Forse ho esagerato un po’ e infatti mi guarda sospettosa.
   «Lo dici solo per consolarmi.»
   «Tu lo ami?»
   «Certo che lo amo.» Arrossisce come una sedicenne e provo una certa invidia. Lei ha conservato l’animo di un’adolescente e mi fa sentire più vecchia e cinica. Ho smesso di credere nell’amore dopo esserne stata ferita e delusa, e per difendermi ho eretto intorno a me solide barriere.
   «Soltanto questo ha importanza», affermo con la saggezza di una single col cuore spezzato.
   Incoraggiata, Jessica inizia a elencare tutti i pregi del suo innamorato come se già non li avessi sentiti decine di volte e non fossero gli stessi che attribuiva ai precedenti fidanzati. Sarebbe fin troppo facile fare dell’ironia se i suoi occhi non brillassero di genuino entusiasmo. Alla fine riesce a convincermi che Kevin è stato mandato da Dio sulla terra allo scopo di renderla felice, e chi sono io per affermare il contrario?
   Il tempo scorre e quando Jessica scende dalla sua nuvoletta rosa io sono ormai al limite della sopportazione, oltre a rischiare un’impennata di zuccheri nel sangue, ma la serata non è finita perché ci attende un film romantico e sdolcinato. Nella sala buia e poco affollata lei si commuove. Io fremo come un cavallo selvaggio finché, incapace di resistere oltre, trovo un pretesto per uscire.
   «Scusa, ma devo andare alla toilette.»
   Mi rifugio nell’atrio dove c’è gente in attesa. La multisala odora di patatine fritte, popcorn e hamburger. L’atmosfera gioiosa contrasta col mio stato d’animo funereo e me ne vado anche da lì. Fuori c’è un sentore di neve nell’aria fredda e intorno scintillano le luminarie natalizie. Accendo una sigaretta, ignorando il severo monito stampato sul pacchetto, e l’aspiro con una sorta di masochistica soddisfazione. Qualche passante mi osserva con malcelata curiosità, prima di allontanarsi frettoloso. Mi si stanno congelando i piedi e decido di rientrare. Probabilmente Jessica si starà chiedendo dove sono finita, fra torrenti di lacrime e soffiate di naso.
   «Il film non le piace?»
   Sussulto e mi giro di scatto. Lascio cadere la sigaretta fumata a metà sul marciapiede e sorrido. «Avevo solo bisogno d’aria», rispondo.
   I suoi occhi, di cui non riesco a definire il colore ma che sembrano verdi, sono attraversati da un guizzo divertito. «Se ha sentito il bisogno di uscire a fumare e respirare smog, vuol dire che il film non le piace proprio.»
   «Brillante deduzione, complimenti.»
   «Mi perdoni, non volevo farla arrabbiare.»
   «Lei si sopravvaluta, e la sua tattica d’abbordaggio è patetica.» Lo scanso e mi dirigo a lunghi passi verso le porte di cristallo del cinema. Torno nell’atrio e Jessica mi viene incontro.
   «Meno male che sei qui. Ti ho cercato alla toilette, ma non c’eri e mi sono preoccupata. Tutto bene?»
   «Certo, sono solo andata a prendere un po’ d’aria. Mi sentivo soffocare. Il film è finito?»
   «Non ancora.»
   «Allora torniamo in sala.» La prendo a braccetto, ma lei mi trattiene.
   «Chi era il tipo con cui ti ho visto parlare?»
   «Nessuno.»
   «Come nessuno? Un uomo così affascinante ti rivolge la parola e tu…niente?»
   Affascinante? Bé, forse un pochino. «Ti pare che dia confidenza ai tizi che mi abbordano per strada? Lo sai quanti serial killer circolano in questa città?»
   «Non aveva l’aspetto di un killer.»
   «Secondo te quelle persone vanno in giro con una scritta che le identifica?»
   «Insomma, Charlie, questa è paranoia!»
   La trascino nella sala. «La vuoi vedere la fine di questo film, o no?»
   Se non altro si zittisce, sia pure di malavoglia, e sediamo nell’ultima fila vuota per assistere al finale strappalacrime e scontato che mi porta alla soglia dell’esasperazione. E Jessica piange, come da programma.
   Nevica quando usciamo dal cinema e Jessica non riesce a frenare l’entusiasmo. Io odio la neve, soprattutto se le auto nel parcheggio sono coperte da un velo bianco e si somigliano tutte. Non riesco a individuare la mia, assolutamente anonima e confusa fra le altre, ma poi faccio scattare l’antifurto ed eccola lì, a due passi di distanza.
   Dentro si gela e il motore stenta ad avviarsi.
   «Non sarà con le imprecazioni che lo farai partire», osserva Jessica.
   La fulmino con un’occhiata e insisto finché, finalmente, emette un rombo da batteria di cannoni ed esco dal parcheggio con prudenza. Lo spazio di manovra è minimo, ma riesco a evitare danni e a raggiungere la strada. Il traffico è scorrevole e le gomme da neve mi facilitano la guida sullo strato scivoloso che ricopre l’asfalto.
   La mia passeggera brontola per il persistere del gelo artico e smanetta sui pulsanti del riscaldamento che non ne vuole sapere di assolvere al suo compito, con l’unico risultato di farci investire da un soffio d’aria siberiana. Lei si rannicchia nel giaccone imbottito come una tartaruga nel guscio.
   «La prossima volta usciamo con la mia macchina», sentenzia.
   «Di solito funziona», la informo.
   «Allora ce l’ha con me.»
   Allungo la mano per pigiare il dannato pulsante e per magia arriva un po’ di caldo. «Visto? Ci vuole solo pazienza.»
   Restiamo in silenzio per un tratto di strada, assaporando il piacevole tepore che si è diffuso nell’abitacolo. La neve cade più fitta, adesso, e le spazzole del tergicristallo emettono un suono simile al respiro di un asmatico.
   «Sembra qualcuno prossimo all’orgasmo», sogghigna Jessica.
   «Solo a te poteva venire in mente un paragone del genere.»
   «Bé, se non fosse da un’eternità che non ti fai una scopata noteresti la somiglianza.»
   «E tu che ne sai?»
   «Quando è stata l’ultima volta che ti sei portata a letto un uomo?» affonda impietosa.
   Aggrotto la fronte nello sforzo di ricordare. «Fammi pensare.»
   «Se fosse accaduto di recente non avresti bisogno di pensarci.»
   «Veramente è successo un po’ di tempo fa e non è stato eclatante.»
   «Quanto deludente da uno a dieci?»
   «Undici. Senti, non mi va di parlarne, okay?» Sto diventando nervosa e quasi dimentico di svoltare. Lo segnalo in ritardo e qualcuno dietro strombazza irritato. «Santa paletta, ma che ha la gente?» esclamo. La visibilità è scarsa e guido lentamente per non rischiare di superare il residence in cui abita Jessica.
   Il quartiere è carino, con viali e piccoli prati che ora, imbiancati, sono molto suggestivi e accentuano l’atmosfera natalizia. Rallento per seguire la numerazione e mi fermo davanti all’ingresso decorato di lampadine variopinte.
   «Bé, buonanotte Jessica», le dico un po’ in fretta. La strada fino a Brooklyn è piuttosto lunga, specie col maltempo, e sono impaziente di andarmene.
   Lei sgancia la cintura e mi guarda. «Hai impegni per domani sera?» butta lì come per caso. Nella mia testa squilla un campanello d’allarme.
   «No, perché?»
   «Niente, solo mi chiedevo se ti andrebbe di uscire per una cena fra amici. Una cosa informale, tanto per scambiarci gli auguri.»
   «Quali amici?» chiedo sospettosa.
   Si stringe nelle spalle. «I soliti.» Li enumera sulle dita. «Kevin e io, Samantha, Julie, Lucas, Mark, e Robin.»
   «Chi è Robin?»
   Si fa sfuggire un sospiro esasperato. «Possibile che non lo ricordi? Robin Norton, il giornalista freelance!»
   «Ah, ti riferisci a quel tipo appiccicoso come una gomma masticata?»
   «Ma dai, non è così male. Allora, vieni o no?» Jessica tende a diventare petulante quando non salto di gioia alle sue iniziative. Ha organizzato la serata quasi esclusivamente allo scopo di farmi incontrare di nuovo il tizio e la prenderebbe male se gliela mandassi a monte. Cosa che ho intenzione di fare.
   «Ti chiamo domani e ti faccio sapere, okay?» Metto in moto, tanto per farle intendere che considero l’argomento chiuso.
   «D’accordo», borbotta aprendo lo sportello. «Buonanotte, Charlie.»
   Aspetto tre secondi per assicurarmi che entri incolume e riparto.
   Medito, guidando verso casa. Jessica è la mia migliore amica e le voglio bene, ma vorrei che si facesse i fatti suoi e smettesse di calarsi nel ruolo di mezzana per trovarmi l’anima gemella. Ormai dovrebbe aver capito che la sua è una missione impossibile e darsi – nonché darmi – pace. La vita da single ha i suoi lati positivi e fino a qualche mese fa non si profilava una nuvola a minacciare la serena routine della mia esistenza, divisa fra il lavoro nella libreria di famiglia, il mio piccolo appartamento al piano di sopra, e qualche uscita con gli amici.
   Disastro sentimentale a parte, ma quello è un capitolo chiuso, non mi sarei lamentata di andare avanti così fino alla pensione. Purtroppo, quello che si desidera, di rado si concilia con la realtà, e ora rischio di perdere negozio e casa, solo perché un miliardario ha deciso di acquistare in blocco tutto il vecchio palazzo, demolirlo e costruire un centro commerciale. Noi proprietari stiamo lottando per impedirlo, ma la nostra voce è fioca al confronto della pletora di avvocati che sostengono la causa del loro cliente e che è condivisa, pare, dal nuovo piano regolatore. L’offerta che mi è stata fatta per convincermi a vendere supera il reale valore degli immobili di mia proprietà, ma non tiene conto del valore affettivo che rappresentano per me. Specie la libreria, un piccolo gioiello in stile Liberty che dovrebbe essere tutelato, invece che demolito. Ma le possibilità di salvarla sono quasi inesistenti e persino mia sorella Elisabeth mi si è schierata contro.
   Penso al nostro litigio, l’ultimo in ordine di tempo dopo il quale non ci siamo più viste né sentite, e decido che l’indomani la chiamerò per scusarmi. Anzi oggi, dato che ormai è passata mezzanotte. Guido lungo la strada innevata e deserta fino a casa, e guardando le vetrine illuminate della libreria mi chiedo se sarò ancora qui, il prossimo Natale.

La sveglia suona alle sette.
   Sguscio dal letto ancora assonnata e preparo il caffè. Mentre lo sorseggio davanti alla finestra e aspetto che il tostapane faccia il suo dovere, arriva una chiamata sul cellulare. Sono un po’ sorpresa, ma anche contenta di sentire Elisabeth.
   «Ehi, ciao», la saluto allegra.
   «Ciao, Charlie. Ti ho svegliato?»
   «No, sai che mi alzo presto. Come state, tu e i ragazzi?» Elisabeth è sposata con Max, professione broker, e ha due splendidi bambini. D’altronde, lei è sempre stata la “bellezza” di famiglia e appena finito il college si è sposata. Insomma, il classico esempio di moglie e madre perfetta.
   «Stiamo bene. E tu?»
   «Alla grande», mento spudoratamente.
   «Progetti per Natale?»
   «Nessuno, almeno finora.»
   «Senti, non prendere impegni perché sei invitata da noi per il cenone della Vigilia e il pranzo natalizio. Non voglio sentire scuse, okay? La sera della Vigilia ci saranno un po’ di amici, ma il Natale lo passeremo fra noi, in famiglia. Siamo intesi?»
   «Ma certo. Verrò con piacere. Ti serve qualcosa?»
   «No, grazie. Il servizio di catering provvederà a tutto.»
   «Fantastico. Non vedo l’ora di riabbracciarvi.»
   «Anche noi. Scusa, ma ti devo lasciare. Ci vediamo, sorellina.»
   «Dai un bacio ai bambini da parte mia», faccio appena in tempo a dirle prima che chiuda.
   Finisco il caffè ormai tiepido e mangio il toast, che nel frattempo si è bruciacchiato, poi vado a fare la doccia e a vestirmi. Jeans, camicia e maglione, scarpe comode. Mi piace vestire in modo semplice. La maggior parte delle volte sportivo, ogni tanto classico, e nella scelta dei colori di solito mi oriento verso toni pastello. Sono secca e per niente sexy, al contrario di Elisabeth con cui madre natura è stata molto più generosa, e mimetizzo la mancanza di curve indossando cose informi. Fin dal liceo mi sento dire che dovrei valorizzarmi di più, ma che c’è da valorizzare nella mia figura smilza e nel mio visetto da elfo? Sono la brutta copia di Audrey Hepburn, e una sola cosa abbiamo in comune: gli occhi da cerbiatto.
   Tralascio l’esame critico davanti allo specchio, meditando di adottare un nuovo taglio di capelli, e vado in soggiorno. L’albero ancora spoglio attende le decorazioni che giacciono nelle scatole ben impilate sul tavolino. Sembra così triste che decido di dedicargli un po’ d’attenzione. Tiro fuori l’occorrente e impiego la mezz’ora che mi separa dall’apertura del negozio ad appendere palline colorate e luccicanti, nastri e fiocchetti, fino al tocco finale con la cometa. Faccio un passo indietro e contemplo il mio albero di Natale. Niente di paragonabile a quello che ammirerò nel salone di Elisabeth, ma è molto carino e mi sento riscaldare il cuore.
   Ora posso iniziare la giornata.
La mattinata scorre frenetica e fra un cliente e l’altro arrivano le dodici e trenta.
   Mi attardo qualche minuto a riordinare e lo scampanellare della porta mi avvisa che è entrato qualcuno. Il solito ritardatario, sospiro rassegnata.
   «Un minuto e arrivo.»
   «Faccia pure. Intanto comincio a dare un’occhiata», risponde.
   Mi giro di scatto, perché quella voce l’ho già sentita, e vedo l’uomo con cui la sera prima ho parlato davanti al cinema. Lui sorride e io vado in confusione facendo cadere i libri e provocando un piccolo disastro.
   «Oh, accidenti», borbotto chinandomi per raccoglierli.
   «Lasci che l’aiuti», si offre.
   «Non si disturbi.»
   Ma lui non mi ascolta e insieme recuperiamo i libri. Me li porge in modo che possa rimetterli sugli scaffali e le nostre dita si sfiorano. Fugaci contatti che mi turbano e mi fanno sentire ancora più intensamente la sua vicinanza. Il profumo di dopobarba che mi irrita il naso infrange l’incantesimo e a stento trattengo uno starnuto.
   «Mi scusi», dico scostandomi in fretta. Trattengo il respiro e metto la giusta distanza fra noi. «In cosa posso servirla?» chiedo con la mia aria più professionale. Meglio fingere di non averlo riconosciuto.
   I suoi occhi, di una bella sfumatura di verde, mi scrutano per un lungo minuto. «Lei è la ragazza del cinema. Abbiamo scambiato qualche parola, ieri sera, ricorda?»
   «Sì, certo», ammetto a disagio. «Mi dispiace di essere stata sgarbata.»
   «Colpa mia. Sono stato indiscreto.»
   «Comunque il film era davvero brutto», commento con un sorriso.
   «Non le piacciono le storie romantiche?»
   «No, ma la mia amica voleva vederlo e l’ho accompagnata.»
   «Adesso che abbiamo fatto pace, possiamo anche presentarci, no? Mi chiamo Nicholas Norton.»
   «Charlie Logan.»
   Inarca un sopracciglio. «Charlie?»
   «Charlotte, in realtà.»
   «Un bellissimo nome.»
   «Charlie mi si adatta di più. Allora, signor Norton, suppongo sia venuto per comprare un libro.»
   «Sì, un regalo per mio figlio Tommy.»
   Sorrido per celare la mia delusione. Però è meglio saperle subito certe cose. «Che bambino fortunato. Cosa preferisce leggere?»
   «Tommy ha quasi otto anni e ama i libri di avventure.»
   «Fantastico. Venga, da questa parte c’è una vasta scelta di libri d’avventura per ragazzi.»
   Lui sgrana gli occhi davanti agli scaffali stipati di volumi. «Devo portarlo qui, uno di questi giorni. Ne sarebbe entusiasta.»
   Ne prelevo un buon numero per disporli sul ripiano. «Scelga con calma.»
   Mi guarda un po’ smarrito. «Speravo che mi avresti dato una mano, Charlie.»
   Mettiamo da parte i formalismi? Okay. «Volentieri, Nicholas.»
   «Chiamami Nick.»
   Li spulciamo e lui mette da un lato quelli che preferisce.
   «A che ora chiudi il negozio?» chiede a un tratto.
   «Dovrei averlo chiuso già da mezz’ora.»
   «Oh, mi dispiace.»
   «Fa niente. In questi giorni gli orari sono più elastici.»
   «Fino a che punto?» chiede il marpione.
   «Finché avrò un calo di zuccheri e cadrò sul pavimento.»
   «Allora, dato che qui non ho finito, ti porto fuori a pranzo.»
   «Eh?»
   «Andiamo a mangiare un boccone insieme», riformula.
   «Questa parte l’ho capita, ma che significa “non ho finito”?»
   «Significa che voglio comprare altri libri.»
   Lo guardo sconcertata. «Sicuro di avere un solo figlio?»
   Ride. «Sì, ma tu non hai risposto alla mia domanda.»
   «Ti ringrazio per l’invito, ma non posso.»
   «Non puoi, o non vuoi?»
   «Diciamo entrambi. Non mi va di infrangere la regola numero uno.»
   «Che sarebbe?»
   «Mai uscire con un uomo sposato.»
   «Ah, ma io non sono sposato. Non più, almeno.»
   «Okay. Però non posso accettare lo stesso. Regola numero due.»
   «Dimmi, c’è qualche altra regola che ti vieta di venire a cena questa sera?»
   Fingo di riflettere. «Nessuna che ricordi.»
   «Fantastico. Passo a prenderti alle otto.»
   Riepilogo rapidamente tutto quello che devo fare per rendermi presentabile. «Meglio alle otto e mezzo.»
   «Perfetto. Adesso, per favore, mi vuoi confezionare un bel pacco regalo?»
   «Credevo che dovessi tornare nel pomeriggio.»
   «Purtroppo mi sono appena ricordato di avere un altro impegno.»
   Intanto che provvedo a recuperare una scatola abbastanza grande, la carta dorata e il nastro rosso, lui aggiunge qualche altro libro e sorride, forse immaginando la reazione di Tommy quando scoprirà che Babbo Natale è stato molto generoso. Deve essere un bambino speciale, penso, se alla sua età preferisce i libri ai videogiochi.
   «Mi piace la tua libreria», dice Nicholas mentre mi dedico all’arduo compito di impacchettare la scatola. «Non è fredda e quasi asettica come le librerie moderne.»
   «Come l’hai trovata?»
   «Per caso, passando qui davanti con la macchina. In certo qual modo è stato il destino a portarmi a Brooklyn, stamattina. Se non avesse nevicato tanto e non fossi stato obbligato a una deviazione, forse non l’avrei mai scoperta e mi sarei perso l’occasione di incontrarti di nuovo.»
   Sa come usare lo sguardo e mi ammalia coi suoi occhi verdi. Sorrido con un palpito di ciglia e un sospiro. «Anch’io sono contenta d’averti rivisto.» Quando sono emozionata tendo a dire frasi banali, ma lui sembra non farci caso. Le mani mi tremano un po’ mentre annodo il nastro e un fin troppo familiare sfarfallio nello stomaco mi avverte che sto per cacciarmi nei guai.
   «Ecco qua», dico appena finito. Digito sulla tastiera del registratore di cassa un conto lunghissimo, poi gli consegno lo scontrino. Lui lo prende, lo guarda e non batte ciglio. Paga in contanti una cifra che di solito non incasso in una settimana e chiudo il cassetto con una sensazione d’euforia. Forse è stato davvero il destino a mandarlo da me.
   Prende la scatola. «Grazie. Allora ci vediamo stasera.»
   «Grazie a te, Nick.» Lo accompagno e gli apro la porta. Accanto al marciapiede sosta una bella macchina. Non proprio una limousine, ma un modello di lusso con tanto di autista che si affretta a spalancare lo sportello.
   «Dia a me, signore», dice deferente, e Nick gli passa la scatola. L’uomo attende che Nick prenda posto, poi posa l’ingombrante pacco sul sedile e chiude lo sportello. Un minuto dopo l’auto si allontana.
   Il vecchio Sam smette di spalare la neve e mi guarda.
   «Gran bella macchina, eh?» osserva con un sorriso. «Se ne vedono poche circolare da queste parti.»
   «Già, è vero», rispondo distratta. Gli faccio un cenno e rientro prima di congelarmi. Espongo il cartello “Chiuso” e vado di sopra a strapparmi i capelli per aver accettato l’invito a cena da un perfetto – quasi – sconosciuto padre single che potrebbe essere un boss della mafia, o un serial killer che ha scelto la sua prossima vittima. Chiamo Jessica per darle la notizia.
   «Ehi, Charlie, che coincidenza, io e Kevin parlavamo di te. Che hai deciso per stasera?»
   «Mi dispiace, ma non potrò venire.» Davvero mi dispiace di non passare la serata con Robin “l’appiccicoso”? Non è credibile neanche per una sfigata come me.
   «Ah, no? Come mai?» indaga Jessica.
   «Perché esco con un amico.»
   «Chi è? Lo conosco?»
   «Bé, no, non proprio.» Faccio un gran respiro e prendo coraggio. «Ricordi il tipo con cui mi hai visto parlare ieri sera al cinema? Ebbene, è venuto in negozio stamattina per comprare dei libri e mi ha invitata a cena.»
   «Fammi capire, mi stai dicendo che esci con l’uomo dal fascino tenebroso sul quale hai espresso un giudizio tutt’altro che lusinghiero?»
   «Un giudizio affrettato che ho rivisto conoscendolo meglio. In fondo è solo un innocente invito a cena.»
   «Ti ha per caso ipnotizzata per convincerti a uscire con lui?»
   Rido un po’ nervosa. «Ma no, è stato carino e gentile.»
   «Questo gentiluomo ha un nome?»
   «Si chiama Nicholas Norton.» Esito a rivelare altro, ma le sue antenne captano la mia reticenza.
   «Magari è sposato.»
   «No, non più. Credo sia divorziato, o forse vedovo. Non l’ha specificato.»
   «Quanti figli?»
   «Uno soltanto: Tommy.»
   «Perbacco, Charlie, stai attenta. Quello è a caccia di un’avventura. Pericoloso più di un serial killer.»
   «Non ti sembra di esagerare, Jessica?»
   «Conosco quel genere d’uomo e per questo ti metto in guardia.»
   «Ti ringrazio per la premura, ma so badare a me stessa.»
   «Lo so, tesoro, e non ho intenzione di rovinarti la serata. Divertiti, okay?»
   «Ci sentiamo domani e ti racconto.»
   Dopo, indugio davanti all’armadio per decidere cosa indosserò e il mio sguardo si posa sul più classico dei tubini: nero, corto e senza maniche, non troppo scollato. C’è poco altro fra cui scegliere, a meno che non voglia sfoggiare l’abito luccicante che mi ha regalato Elisabeth il Natale scorso e mai indossato finora. Stasera potrebbe essere l’occasione giusta, se non fosse così appariscente e io avessi qualcosa da mettere in mostra. Sbuffo irritata e rimando la decisione.
   Adesso devo riaprire il negozio.

Manca poco alle otto e sto per chiudere, quando le campanelle della porta tintinnano.
   Nell’angolo del registratore di cassa non ho una buona visuale e mi sposto per vedere chi è appena entrato. Non si tratta di un cliente, ma della mia amica Claire, l’esperta di moda e trucco. Le vado incontro sorridendo e lei mi abbraccia.
   «Oh, tesoro, ho trovato un traffico allucinante venendo qui e temevo di arrivare troppo tardi!» esclama festosa.
   «In effetti sto per chiudere, ma se hai bisogno di qualcosa…»
   Si guarda attorno e fa una smorfia. «Libri? Oddio no, sono così noiosi. Sei tu ad avere bisogno di me, tesoro. Jessica mi ha detto di stasera, implorandomi di intervenire sul tuo look.»
   Jessica è una contraddizione vivente. Prima mi fa la predica e poi mi manda Claire, sperando che compia il miracolo di trasformarmi in un cigno.
   «Temo che tu ti sia disturbata per niente. Ho già deciso cosa indossare.»
   «Ci vuole un modello all’altezza della situazione e sono sicura che tu ne sia sprovvista. Così ci ho pensato io.»
   Infatti è arrivata con un intero campionario di abiti e un beautycase che l’aiuto a scaricare dal furgoncino e che poi, chiuso il negozio e prelevato l’incasso, portiamo di sopra.
   «Guarda che non abbiamo tanto tempo», l’avverto, già assalita dall’ansia.
   Lei sorride e comincia ad estrarre i capi, che includono la biancheria più osé che abbia mai sognato di indossare. Infine apre il bauletto e mi mostra un assortimento di cosmetici da far invidia a una profumeria.
   «Su, spogliati che si comincia», ordina.
   Obbedisco e per i successivi quindici minuti provo, sopra al body in pizzo nero trasparente come una ragnatela, mezza dozzina di vestiti che scarto inesorabilmente. Ma Claire non si scoraggia e me ne porge un settimo.
   «Sono sicura che questo ti piacerà.»
   L’abito mi scivola addosso come una seconda pelle. Gonna nera, corpino avorio accollato e senza maniche, completato da una piccola giacca nera. L’effetto bicolore mi fa apparire meno magra.
   «Che ne dici?» chiede Claire studiando le mie reazioni.
   Mi rigiro davanti allo specchio e annuisco. «Sì, è carino.»
   «Allora è perfetto», afferma convinta. «Adesso aggiungiamo un po’ di collane dorate per dargli luce.» Fruga nel sacchetto magico e tira fuori la bigiotteria che subito dopo adorna il mio collo. Per non strafare, gli orecchini sono piccoli ma luccicanti. Quindi mi acconcia i capelli con uno chignon un po’ sfatto e siamo pronte per passare al trucco.
   «Non esagerare», raccomando.
   «Quando avrò finito sarai splendida.»
   Il risultato è stupefacente, devo ammetterlo. Gli occhi sono enfatizzati dall’ombretto e dal mascara, la pelle levigata dal fondotinta e le guance ravvivate dal fard, le labbra messe in risalto dal rossetto rosa fucsia.
   «Caspita, che trasformazione.»
   «Tu sei già bellissima, tesoro, solo che non sai valorizzarti.» Dà un’occhiata all’orologio. «Siamo in orario.» Mi passa un paio di decolté di vernice nero con tacco dieci e le guardo dubbiosa. «Coraggio, mettile.»
   «Sono l’ideale per camminare sulla neve», borbotto calzandole. Mi stanno a meraviglia.
   «Non scivolerai, tranquilla. Ora il cappotto.»
   Mi fa indossare un cappottino nero di morbido cascemir  con collo e polsi di pelliccia e mi guarda compiaciuta. «Sembri uscita da “Vogue”», osserva. «Sei anche troppo affascinante per un comune mortale.»
   Sorrido. «Lo dici solo perché non hai visto lui.»
   «Ah, dimenticavo la borsetta.» Mi porge una pochette di lustrini. «Dentro c’è tutto l’occorrente.»
   «Dove lo metto il cellulare?»
   «Qui, tesoro.» Lo infila in un taschino dove ci sta a malapena.
   La pochette si chiude a stento. Sono così nervosa che vado in iperventilazione.
   «Fai un respiro profondo e rilassati. Lui ti sta aspettando.» Mi accompagna alla porta e mi spinge sul pianerottolo. «Pensa solo a divertirti, di tutto il resto mi occupo io.»
   «E le chiavi?»
   «Le lascio sotto lo zerbino.»
   «Okay. Grazie.»
   Mi manda un bacio sulla punta delle dita e rientra. Scendo la rampa di scale lentamente, impacciata dai tacchi a cui non sono abituata, e quando apro il portoncino lui è lì, sorridente e con una rosa rossa in mano. Me la offre e mi guarda ammirato.
   «Sei bellissima», dice.
   «Grazie. Anche tu.»
   Pochi passi e saliamo in macchina. Dentro è confortevole come un salotto e quando partiamo la sensazione di movimento è minima. L’auto pare scorrere su invisibili nastri di velluto.
   «Stai bene? Vuoi che faccia aumentare il riscaldamento?»
   «No, grazie. Fa già abbastanza caldo.» Sbottono il cappotto.
   «Sei molto elegante.»
   «Non volevo farti sfigurare.» Getto uno sguardo al finestrino e mi accorgo che non siamo diretti in centro. «Dove andiamo?»
   «A casa mia.»
   Il mio cuore fa una capriola. «Credevo avremmo cenato in un ristorante.»
   «Nessun ristorante ha uno chef migliore di quello che cucina per me.»
   «Ci sarà anche Tommy?» chiedo speranzosa.
   «No, stasera mio figlio è dalla madre. Ma te lo farò conoscere presto.»
   Mi sento confortata. Questo significa che non mi ucciderà subito.
   «Dov’è che abiti?»
   «Fuori Long Island. Vivo in una specie di castello circondato da una tenuta di circa un migliaio di ettari.»
   «Un castello?»
   «Si chiama “Falcon Ridge”.»
   Mi sfugge un sospiro. Non prevedevo di passare la serata in un tetro castello in mezzo al nulla. Volevo mondanità, musica, gente allegra e luminarie.
   Capta la mia delusione. «Se il mio programma non ti piace, ordino all’autista di tornare indietro.»
   «No, va benissimo. Non ho mai visto un castello dal vero.»
   Lui sorride. «In realtà è più un’imitazione abbastanza ben riuscita di una dimora nobiliare inglese. Fu fatta costruire da mio nonno negli anni ’30 per la sua prima moglie, perché non sentisse troppo la nostalgia del suo Paese.»
   «Che cosa romantica.»
   «Purtroppo la morte se la portò via prematuramente e lui ne soffrì in modo terribile.»
   «Doveva amarla molto.»
   «Sì, ma questo non gli impedì di sposarsi di nuovo e per altre due volte. Mio padre è nato dal terzo matrimonio e anche lui è divorziato. Ora vive a Parigi con la terza moglie, una modella francese che ha la metà dei suoi anni. A quanto pare, il divorzio è diventato una tradizione di famiglia.»
   «Risiedi sempre in campagna?»
   «No, possiedo un appartamento all’ultimo piano del “Norton Building”. Molto più comodo quando faccio tardi in ufficio. Ma adesso parlami di te. Della tua famiglia, dei tuoi sogni, se ne hai, se c’è qualcuno che occupa un posto speciale nel tuo cuore.»
   «Mamma e papà sono morti alcuni anni fa, lasciando me e mia sorella Elisabeth da sole. Lei è più piccola di me e l’ho cresciuta io, occupandomi allo stesso tempo della libreria, la nostra unica fonte di sostentamento. Gli anni più difficili che ricordi, ma anche felici perché Elisabeth e io siamo sempre state molto unite e ci facevamo forza a vicenda. Poi è andata al College e là ha incontrato Max, che dopo la laurea è diventato suo marito. Ora hanno due figli meravigliosi che adoro.»
   «Devi aver fatto molti sacrifici per tua sorella. Praticamente hai rinunciato alla tua vita per dedicarti a lei.»
   «Nessun rimpianto, ti assicuro. Elisabeth è una donna appagata e felice e non desidero altro.»
   «Niente per te? Anche tu meriti la tua parte di felicità.»
   «Che posso volere ancora? Ho un’attività che mi piace, una casa, degli amici, e sono indipendente.»
   Mi scruta coi suoi incredibili occhi verdi. «Non ti manca l’amore? Oppure qualcuno ti ha così profondamente ferita che ora ne hai paura?»
   «Un uomo mi ha fatto molto soffrire, ma ormai è un capitolo chiuso.»
   «Però ti è rimasta una certa diffidenza nei confronti degli uomini.»
   «Mi stai psicanalizzando?»
   «No, sto solo cercando di capire se ho qualche possibilità di conquistarti.»
   Arrossisco, e ringrazio la penombra dell’abitacolo. «Perché mai dovresti?»
   «Perché mi piaci. Sei diversa da tutte le donne che ho conosciuto e ti ammiro. Dietro l’apparenza fragile nascondi un carattere forte, coraggioso e combattivo. E sei bellissima, anche se non te ne rendi conto.» Mi prende le mani e mi accarezza piano le dita, mentre si avvicina e il mio cuore accelera come una Ferrari sulla pista del Gran Premio. Che faccio se mi bacia? Lo spazio di manovra è minimo e non posso sfuggirgli. Ma non sono sicura di volerlo.
   «Siamo quasi arrivati, signore», avverte l’autista.
   Lui si scosta, ma senza lasciarmi le mani. Il calore e l’emozione di un istante prima sfumano per fare spazio allo stupore che desta in me la meraviglia apparsa in fondo al viale maestoso ora ammantato di bianco. Una dimora principesca sfarzosamente illuminata che sembra uscita da una fiaba.
   L’auto procede lentamente fra cumuli di neve ammonticchiati ai lati della strada e io mi sento come Cenerentola. Sto per avere la mia serata magica e spero di non dover fuggire allo scoccare della mezzanotte.
   «Ti prego, dimmi che è tutto reale», sussurro.
   «Te lo garantisco», risponde Nick sorridendo.
   La vettura si ferma davanti all’imponente scalinata. Scendiamo. Nick mi offre il braccio e iniziamo a salire. Sono abbagliata da tanto splendore e quasi mi gira la testa. Il portone si apre e appare un compito maggiordomo che ci accoglie.
   «Buonasera, signore.» Poi si rivolge a me con un cenno. «Benvenuta, signorina Logan.»
   «Grazie», rispondo intimidita.
   Entriamo nel grande vestibolo e il maggiordomo prende i nostri cappotti.
   «La cena sarà servita tra poco», ci informa il maggiordomo. «Se intanto volete accomodarvi, ho fatto preparare un aperitivo.»
   «Grazie, Chester», dice Nicholas guidandomi attraverso il vestibolo. «Ti va di bere qualcosa?» mi chiede.
   «Molto volentieri.» Il disagio mi attanaglia. Malgrado l’abito firmato e la bigiotteria di lusso, sono fuori posto come un gioiello falso nella vetrina di Tiffany. La saletta in cui sono stati preparati aperitivi e stuzzichini è un prodigio di raffinata eleganza. Trasuda ricchezza ovunque posi lo sguardo.
   «Tutto bene?»
   Sorrido. «Dovrei andare alla toilette.» Mi succede sempre quando sono agitata. E poi il viaggio è stato piuttosto lungo.
   «I bagni sono di sopra. Ti accompagno.»
   «No, non ti disturbare. Sono sicura che ne troverò uno.»
   «Allora prendi lo scalone, poi svolta a sinistra e vai fino in fondo al corridoio dove troverai una porta rosa. Lì c’è la toilette degli ospiti.»
   «Ho capito», affermo ottimista accingendomi all’impresa.
   Seguo le istruzioni e mi inoltro nel corridoio su cui si affacciano delle porte. Le ignoro e vado avanti. Prima o dopo troverò la porta rosa, mi dico mentre il bisogno si fa impellente. Dove accidenti è il bagno? Mi scappa davvero, ma ecco la sospirata porta rosa. L’apro ed entro nella più fantastica e frivola toilette che la mente umana possa concepire. Roba da Barbie, penso affrettandomi a varcare la soglia. Quasi mi vergogno di contaminare con la mia plebea pipì quei servizi. Ma la natura ha le sue esigenze e non posso ignorarne l’imperioso richiamo.
   Dopo, mi concedo una sosta davanti allo specchio circondato da lampadine. Tutto intorno è di marmo rosa, pavimento incluso, la rubinetteria è dorata, le tende ornate da trine e volant. Resto lì a guardarmi per qualche minuto, incapace di decidere se scendere e affrontare la cena, oppure scappare dalla finestra e dileguarmi nella notte. Non essere codarda, mi dico fissando la mia immagine. Domani ti sveglierai e scoprirai che è stato soltanto un sogno.
   Esco e percorro a ritroso l’interminabile corridoio. Le porte su ambo i lati sono tutte uguali e mi viene la curiosità di aprirne un paio per dare una sbirciatina. Ma non sarebbe educato ficcare il naso in casa d’altri e tiro dritto. Saggia decisione, perché poco dopo incontro una cameriera con tanto di grembiulino e crestina bianchi sul severo abito nero, che porta una pila di asciugamani.
   «Buonasera, miss Logan», saluta gentile. «Le serve aiuto?»
   «No, grazie», declino disinvolta passando oltre. Non resisto alla tentazione di guardare dietro di me e la sorprendo mentre mi osserva. Deve chiedersi cosa ci faccia nel castello del principe una qualsiasi ragazza di Brooklyn, che è poi quello che mi chiedo anch’io.
   Ridiscendo lo scalone col terrore di mettere un piede in fallo e cadere, ma raggiungo incolume la saletta e Nicholas sorride.
   «Cominciavo a temere che ti fossi persa.»
   «C’è mancato poco», rispondo prendendo il bicchiere che mi porge. «Questa casa è davvero grande. Immagino che ci vorrà molto personale per curarla.»
   «Ai tempi di mio nonno la servitù era composta da venti persone, più i giardinieri e i garzoni di scuderia, ma in questi ultimi anni abbiamo ridotto il personale allo stretto necessario. In fondo io vengo qui solo per il fine settimana da trascorrere con mio figlio e per un periodo in estate, quando lui è in vacanza. Inoltre, non ho l’abitudine di dare ricevimenti e un solo uomo è sufficiente per occuparsi dei due cavalli rimasti: il mio e il pony di Tommy. Ti piacciono i cavalli?»
   «Li adoro. Purtroppo non sono mai riuscita a realizzare il mio sogno di averne uno tutto per me.»
   Compare il maggiordomo. «La cena è servita, signore.»
   Finisco il drink e passiamo nella sala da pranzo. Non ho assaggiato neppure una tartina e mi gira un po’ la testa. Nicholas, da perfetto padrone di casa, mi accompagna al mio posto e scosta la sedia per farmi sedere. Poi prende posto di fronte a me. A un suo cenno, Chester fa entrare due cameriere con gli antipasti, poi versa del vino nel bicchiere di Nicholas, che lo assaggia e approva.
   «Questo Pinot viene prodotto dai miei vigneti nel sud della California», dice con una punta d’orgoglio. «Mio padre acquistò la proprietà sull’orlo del fallimento e ora esportiamo i vini in gran parte del mondo.»
   Il Pinot è delizioso, i gamberoni in salsa agrodolce pure. «Non dirmi che possiedi anche una flotta di navi da pesca», osservo, resa audace dal secondo bicchiere.
   «No, ma abbiamo un fornitore nel Maine che ci manda pesce e crostacei freschissimi.»
   Le portate si susseguono. I piatti sono elaborati e presentati come opere d’arte. L’arrivo dell’aragosta mi precipita nel panico e il mio goffo modo di maneggiare le pinze scalfisce appena il carapace, mentre rischia di troncarmi le dita. Evito di guardare Chester, che sono sicura ridacchia sotto i baffi, e mi sento in colpa per il martirio che infliggo alla povera aragosta.
   Infine Nicholas mi viene in aiuto. «Per cortesia, Chester, vuole pensarci lei?»
   «Con piacere, signore.» Si accosta e mi sottrae il piatto prima che possa impedirlo. Gli cedo anche le pinze e lui insudicia gli immacolati guanti col riottoso crostaceo fino alla fuoriuscita della polpa, pochina a onor del vero, che mi offre. «Prego, miss Logan.» Ignoro la sfumatura divertita della sua voce e lo ringrazio.
   Lui mi rivolge un cenno e si ritira. Il sapore della polpa non è granché, ma fingo che mi piaccia e l’accompagno con qualche sorso di Pinot. La bottiglia è vuota, ormai, e viene sostituita.
   «Ancora un po’ di vino?» chiede Nicholas.
   «Sì, grazie.» Vorrei sapere che c’è dopo, ma non sarebbe educato chiederlo e mi astengo. I camerieri tolgono i piatti e, poco dopo, ci vengono serviti degli asparagi anemici. Almeno non hanno gusci da togliere.
   «Non voglio rovinarti la sorpresa, ma Oliver ha preparato un dessert speciale», dice Nicholas.
   I numerosi bicchieri di Pinot cominciano a fare effetto. «Chi è Oliver?»
   «Lo chef.»
   Ma certo, chi altri potrebbe essere? «Sono curiosa di vedere e assaggiare questo prodigio.»
   La sala da pranzo piomba nel buio, ma non si tratta di un blackout. Qualcuno ha spento le luci per consentire l’entrata a effetto dello chef in persona che spinge un carrello su cui c’è il dessert flambé. Sento di dover dire qualcosa e la dico: «Che meraviglia.»
   Spento il fuoco si riaccendono le luci e Oliver affetta la torta, depone le porzioni sui piatti e ci serve con un enfatico inchino, poi se ne va. Lo spumante brut sostituisce il pinot e gustiamo il dolce in religioso silenzio. I domestici si sono ritirati, anche il maggiordomo, e siamo rimasti soli.
   «Andiamo in salotto?» propone Nicholas posando il tovagliolo.
   Bevo l’ultimo sorso di spumante e, orrore, scopro che le gambe rifiutano di obbedirmi. Allora sorrido disinvolta. «Perché non restiamo ancora un po’ qui?»
   Lui si alza, aggira il tavolo e si avvicina per prendermi le mani e sollevarmi. «I domestici devono sparecchiare», sussurra al mio orecchio. «Appoggiati a me», aggiunge.
   «Temo di essere un po’ brilla», confesso reggendomi al suo braccio.
   «Perdona la franchezza, ma sei decisamente ubriaca.»
   «Non c’è bisogno di essere così brutale», protesto. «Posso reggere un paio di bicchieri in più.»
   «Ne sono certo, se fossero stati solo due bicchieri», infierisce.
   Mi stacco per dimostrargli che sono in grado di camminare da sola e faccio anche una specie di piroetta. «Visto? Equilibrio perfetto.» Se non fosse che si è impigliato un tacco nel tappeto e mi aggrappo a lui per non cadere.
   Ride mentre mi stringe fra le braccia. «Ci deve essere del caffè, in cucina, vado a prenderlo.»
   «No, non te ne andare!»
   «Ci metto un minuto.» Mi spinge su una poltrona. «Non ti muovere.»
   Chiudo gli occhi e mi abbandono con un sospiro. Forse mi addormento, perché dopo qualche attimo qualcuno mi scuote.
   «Svegliati, Charlie, ti ho portato il caffè.» Nicholas mi mette la tazza fra le mani. «Bevilo tutto», ordina.
   Lo guardo inorridita. «Ce ne sarà almeno mezzo litro!» piagnucolo.
   «Tutto», insiste inflessibile.
   Un sorso dopo l’altro ingurgito il caffè forte e amaro, poi gli rendo la tazza vuota. Non mi concede il tempo di riprendere fiato e mi costringe ad alzarmi.
   «Adesso facciamo due passi.»
   «Non voglio.»
   «Camminare ti farà bene. Andiamo.»
   Inutile resistere. Mi trascina fuori dal salotto e mi fa visitare il castello. All’inizio sono troppo intontita per apprezzare come merita la magnificenza delle oltre cinquanta camere, ma quando spalanca la porta del salone da ballo e accende tutte le luci, l’effetto di tanto sfarzo, assieme alla caffeina, contribuisce a far evaporare la sbronza.
   Mi guardo attorno estasiata, mentre Nicholas fa cadere i teli bianchi e svela le specchiere, gli arredi, le console dorate, le statue che reggono candelabri. C’è persino un piccolo podio per i musicisti, e tendaggi azzurri e oro lasciano intravedere grandi finestre. Col naso per aria ammiro il soffitto a rosoni, quando Nicholas mi viene incontro e mi rivolge un inchino.
   «Posso avere l’onore di un ballo, milady?»
   «Con piacere, milord.»
   Mi cinge delicatamente e iniziamo a danzare al ritmo immaginario di un romantico valzer. Mi affido a lui, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare. Volteggiamo per un tempo che sembra interminabile e sento che fra noi succede qualcosa di magico. Non importa se durerà solo lo spazio di una sera; quello che provo mi fa battere più forte il cuore e scorrere più veloce il sangue in parti del mio corpo che avevo dimenticato di possedere. Mi sento viva e vibrante come non accadeva da tempo e sono mille sensazioni meravigliose.
   La sua stretta si fa più decisa e mi attira contro di sé. Si ferma e fa scivolare la mia mano intorno al suo collo. L’improvvisa interruzione dei volteggi mi procura una leggera vertigine e mi appoggio a lui.
   «Guardami, Charlie», sussurra con voce vellutata.
   Il suo viso è vicinissimo. I suoi occhi sono oscure profondità in cui voglio perdermi. E quando mi bacia, il mio cuore prende il volo.
   «Charlie», dice, staccandosi un poco.
   «Nick, io…credo che dovresti riportarmi a casa.»
   «A casa?»
   «Sì, per favore. Si è fatto tardi e domattina devo aprire il negozio.»
   «Smettila di dire stupidaggini.» Mi bacia di nuovo e la sua bocca scatena dentro di me un cataclisma di portata astronomica. Il mio celebrato autocontrollo va a farsi benedire e mi trasformo in una specie di piovra. La femmina sensuale latente in me prende il sopravvento.
   «Aspetta un attimo», ansima qualche minuto dopo.
   Stacco le mie labbra a ventosa dal suo collo. «Che c’è?»
   «C’è che voglio fare l’amore con te, ma non qui.» Mi prende per mano e mi trascina fuori dal salone. Quasi correndo attraversiamo il vestibolo, ma prima che cominciamo a salire si ferma e torna a baciarmi. E seguita così a ogni scalino.
   «Mi pareva che avessi fretta», sospiro languida.
   «Non voglio che ti raffreddi», risponde.
   «Nessun pericolo che succeda.» Vada come vada, non tornerò indietro.
   Giunti in corridoio, mi spinge contro il muro e riprende a baciarmi. Solleva la gonna e mi accarezza la coscia. Preme contro di me, chiaramente eccitato.
   «Se continui così non arriveremo mai al letto», dico mordicchiandogli l’orecchio.
   Lui mugola e proseguiamo. Non so come riesca a riconoscere la sua stanza, con quelle porte tutte uguali, ma finalmente entriamo. Chiude la porta con un calcio e mi solleva sulle braccia portandomi fino al letto; uno spettacolare lettone col baldacchino sul quale ricadiamo insieme.
   «Tu dormi in questo catafalco?» ridacchio.
   «No, di solito dormo nella scuderia, ma stanotte farò un’eccezione.»
   Scoppiamo a ridere, poi ci scambiamo un lungo sguardo e ricominciamo dal punto in cui ci eravamo interrotti. Senza l’intralcio dei vestiti che giacciono sparsi sul pavimento.
   «Sei molto sexy», commenta alla vista del body di pizzo nero. Il suo sguardo goloso mi percorre tutta, soffermandosi sulle autoreggenti. «Quelle puoi tenerle», aggiunge malizioso. Mi sfila il body e mi scioglie i capelli. «Ti voglio, Charlie», sussurra appassionato. Il mio desiderio pulsa assieme al suo e un momento dopo facciamo l’amore.

La luce pallida del mattino filtra attraverso gli strati della mia coscienza fino a svegliarmi.
   Guardo il baldacchino che mi sovrasta e i ricordi si affollano nella mia mente. Assai piacevoli, a dire il vero. Vorrei dividerli con lui, ma scopro che se n’è andato. Sul guanciale c’è un biglietto in cui si scusa per avermi lasciato, chiamato in ufficio da un improrogabile impegno, e dove mi dice che l’autista è a mia disposizione per riaccompagnarmi a casa. Non so esattamente cosa mi aspettassi, ma certo non un commiato così freddo e impersonale, specie dopo la notte infuocata appena trascorsa.
   Sguscio dal lettone per recuperare i vestiti e andare in bagno. Una doccia veloce e mi rivesto, Nella pochette trovo il necessario per un rapido ritocco al trucco, infilo le scarpe e torno nella stanza. Sosto un attimo per accertarmi d’aver preso tutto ed esco.
   La cameriera che incontro nel corridoio mi saluta e sorride. Ricambio e passo oltre, impaziente di andarmene. Scendo nel vestibolo e chiedo a un domestico di passaggio dove posso trovare il maggiordomo.
   «Poco fa era in cucina», risponde. «Se vuole, vado a chiamarlo.»
   «Gliene sarei molto grata», rispondo.
   Mentre aspetto, dallo studio esce una bella donna bionda ed elegante che mi viene incontro disinvolta. Non sembra imbarazzata dalla mia presenza, al contrario di me.
   «Buongiorno», dice affabile. «Sono Samantha, la moglie di Nicholas, o meglio la sua ex moglie.» Mi squadra da capo a piedi e viceversa.
   Sarebbe scortese se non mi presentassi e porgo la mano con un sorriso. «Charlie Logan.»
   Lei sorride di rimando. «Piacere di conoscerla, Charlie.» Mi sfiora appena le dita. «Stavo per andare a fare colazione. Perché non si unisce a me?»
   L’invito mi sconcerta ed esito. «Veramente non so se sia il caso.»
   Mi prende sottobraccio come se fossimo vecchie amiche. «Ma sì, mi faccia compagnia», insiste.
   Non ho scelta e la seguo in una sala più piccola di quella in cui io e Nicholas abbiamo cenato la sera prima e dove non ci sono domestici, a parte il maggiordomo che, malgrado la sorpresa di vedermi, si affretta a farci accomodare a tavola.
   «Grazie, Chester, può andare», lo congeda Samantha.
   «Col suo permesso, signora, vorrei ricordare a miss Logan che l’auto sarà pronta fra dieci minuti.»
   «La ringrazio», rispondo. Lui fa un cenno e ci lascia.
   Samantha versa il caffè. «Si serva pure», dice, indicando la varietà di torte e dolciumi che imbandisce la tavola.
   «Grazie, ma non ho appetito.»
   Lei si riempie il piatto, però pilucca soltanto. «Immagino che si starà chiedendo come mai sia qui.»
   «No, affatto.» Ed è vero. Sono solo impaziente di andarmene.
   «Non è neppure un po’ curiosa?»
   «Perché dovrei? Non sono affari che mi riguardano.»
   «Allora vorrei farle io una domanda, se posso.»
   «Mi dica.»
   «Lei e Nicholas vi frequentate da molto?»
   «No, in realtà da pochissimo. Ci siamo incontrati l’altra sera al cinema e ieri è venuto nella mia libreria per acquisti, dopo di che mi ha invitato a cena.»
   «Ah, Nick non cambierà mai. Appena vede una bella ragazza non riesce a trattenere i propri impulsi. Lasci che le dia un consiglio, tesoro, stia lontana da lui.»
   Ne ho abbastanza di quella conversazione e mi alzo. «Non mi chiami tesoro e mi risparmi i consigli da ex moglie gelosa.» Vado verso la porta, ma la sua voce mi ferma.
   «Sai badare a te stessa ecc. ecc.? Ascolta, tu non sai chi è Nicholas Norton, ma te lo voglio dire per chiarirti le idee. Lui è il più spietato, arido opportunista di questo emisfero e forse anche dell’altro, e si serve di te per raggiungere i suoi scopi.»
   Mi giro a fronteggiarla. «Quali scopi?»
   Sorride maligna. «Tu sei la proprietaria di una libreria e di un appartamento in un vecchio edificio a Brooklyn, giusto? Da mesi tu e i condomini vi battete per impedire che un magnate si compri tutto e demolisca per costruire un centro commerciale. Vuoi conoscere il nome del miliardario, tesoro
   Mi sento mancare e a fatica pronuncio quel nome: «Nicholas Norton.»
   «Risposta esatta. L’uomo che ti ha corteggiata e sedotta e a cui importa soltanto di convincerti a vendere, consapevole che se cederai tu, gli altri seguiranno il tuo esempio.»
   Esco come una sonnambula e nel vestibolo il maggiordomo mi viene incontro col mio cappotto, mi aiuta a indossarlo.
   «Si sente bene, miss Logan?» s’informa con gentilezza.
   Lo guardo stranita. «Mi sentirò meglio appena sarò fuori da qui.»
   «L’accompagno alla macchina», si offre.
   «Non occorre, grazie. Posso farcela da sola.»
   «Buona giornata, miss Logan.»
   L’ironia dell’augurio mi fa sorridere, malgrado il grumo di sordo dolore che mi si agita dentro. La giornata non poteva cominciare peggio di così, ma almeno adesso so che razza di gioco perverso stia facendo con me Nicholas, maledettissimo figlio di buona donna. Anzi no, maledettissimo stronzo.
   Salgo in macchina ancora inebetita e l’autista si avvia. Nonostante abbia nevicato tutta la notte il viale è pulito. Qualcuno si è alzato prima dell’alba per spalarla, probabilmente una squadra di spalatori malpagati e sfruttati dal signorotto. E pensare che mi sono illusa, mentre facevamo l’amore, che fosse sincero. Che ingenua!
   Trilla il cellulare ed è lui. Lo lascio suonare e mi becco un’occhiata da parte dell’autista. Finalmente rispondo.
   «Nick?»
   «Aspettavi la telefonata di qualcun altro?»
   Ha anche il coraggio di fare lo spiritoso. «No, naturalmente.»
   «Dove sei?»
   «In auto, diretta verso casa. E tu?»
   «In ufficio, oberato di lavoro.» Già, impegnato a dare lo sfratto a qualche povero vecchietto. «Volevo dirti che stanotte è stata meravigliosa e scusarmi per essere scappato via senza un saluto, ma dormivi come un angelo e mi dispiaceva svegliarti.» Pausa con annesso sospiro. «Vorrei rivederti, stasera.»
   Recita in modo convincente e sarei tentata di credergli, se quella strega della sua ex moglie non mi avesse rivelato i suoi secondi fini. «Non credo sia possibile. Temo che avrò molto da fare, in negozio.»
   «Allora ti darò il tempo di riprendere fiato e farti bella per me. Vengo a prenderti alle otto.»
   Chiude senza che io possa formulare un deciso e irrevocabile rifiuto, il mascalzone.
   Il cellulare trilla di nuovo. Stavolta è Jessica.
   «Charlie, ma dove sei finita? Il negozio è chiuso, a casa non ci sei, e io mi sto congelando qui fuori da almeno mezz’ora!»
   Accidenti, ho scordato di averle chiesto di venire ad aiutarmi. «Sto arrivando.»
   «Arrivando? Che significa? Non dirmi che hai passato la notte con lui!»
   «Ti spiego appena ci vediamo.» Abbasso la voce. «Adesso non posso parlare.»
   «Fai presto, per favore. Due tizi si sono già fermati per farmi proposte indecenti.»
   Chiudo e mi rivolgo all’autista. «Si sbrighi, per cortesia.»
   «Sto andando al massimo, signorina.»
   Sarà, ma a me pare che ci stiamo muovendo al rallentatore e prego di non trovare la mia amica tramutata in un ghiacciolo.
   Finalmente arriviamo e l’auto si ferma davanti al negozio. Jessica smette di passeggiare avanti e indietro, sgrana gli occhi e si precipita a spalancare lo sportello. Scendo in fretta e cerco le chiavi. L’autista mi fa un cenno e riparte. Jessica mi segue al portoncino pestando i piedi.
   «Apri, accidenti!» esclama.
   Emetto un gemito. «Non trovo le chiavi.»
   Lei sbuffa e suona tutti i campanelli finché qualcuno ci apre. Entriamo e d’improvviso ricordo d’aver lasciato le chiavi a Claire, la sera prima. Saliamo e con mio enorme sollievo le chiavi sono sotto lo zerbino. Nell’ingresso, mentre accendo le luci, tolgo il cappotto.
   «Ti preparo un tè bollente, poi mi cambio e scendo ad aprire il negozio. Tu resta pure qui a riscaldarti un po’.»
   «Non ti libererai di me così facilmente. Voglio che mi racconti di ieri sera per filo e per segno.»
   Metto sul gas il bollitore e preparo le tazze. Jessica mi tallona in camera e siede sul letto in attesa che confessi i miei peccati. L’accontento, perché so che non mi darà tregua finché non le avrò rivelato ogni minimo dettaglio, e lei ascolta senza emettere un fiato. La cena nella principesca residenza di lui, il romantico ballo nel salone degli specchi, le nostre infuocate performance nel lettone col baldacchino. Taccio soltanto ciò che riguarda l’incontro con la sua ex moglie e l’inganno di cui sono vittima. Le mie beghe legali non sono affar suo.
   «Lo rivedrai?» chiede mentre sorseggiamo il tè in cucina e io sono tornata me stessa con jeans e maglione.
   «Ancora non ho deciso», rispondo con una scrollata di spalle.
   «Ma lui te l’ha chiesto.»
   «Vuole che usciamo di nuovo stasera.»
   «Santa pazienza, Charlie, mi hai appena raccontato la storia più incredibilmente romantica che una ragazza possa sognare e fai la difficile?»
   «Devo pensarci, tutto qui.» Mi alzo. «Adesso andiamo ad aprire il negozio, che i clienti arriveranno a frotte.»

«Oddio, che giornata!» esclama Jessica scostando un ricciolo dalla fronte. Siede su uno sgabello e toglie le scarpe per massaggiare i piedi.
   Sorrido mentre conto l’incasso da record. «Dovevi mettere scarpe più comode.»
   «Tipo quegli orridi anfibi che indossi tu?»
   Sistemo le mazzette di banconote nella cassetta da portare di sopra, glissando sulla sua osservazione. «Ti viene a prendere Kevin?»
   «No, prendo un taxi. Kevin viene più tardi, così avrò il tempo di farmi un lungo bagno caldo e vestirmi.» Mi dà un’occhiata. «Allora, hai deciso cosa farai?»
   «Sì, uscirò con lui», rispondo con noncuranza.
   «Meno male», sospira sollevata. «Cominciavo a temere che volessi passare il resto della tua vita da single.» Si infila scarpe e cappotto, calca il berrettone di lana fin sugli occhi e mi abbraccia. «Hai bisogno di me anche domani?»
   «Se per te non è un disturbo.»
   «Vengo senz’altro, ma solo al mattino, però. Nel pomeriggio ho l’aereo per Aspen. Ricordi, vero, che venerdì è la Vigilia di Natale?»
   «Naturalmente.» L’accompagno alla porta. «Saluta Kevin da parte mia.»
   Sorride. «Lo farò. E tu divertiti.» Esce, giusto in tempo per segnalare a un taxi di fermarsi.
   La guardo andare via e sospiro. Chiudo le serrande, spengo le luci e salgo col piccolo forziere che ripongo subito nella cassaforte. Manca poco alle otto e mi cambio in fretta. Stasera non c’è Claire a operare la sua magia e in fondo non mi dispiace rinunciare ai suoi artifici. Indosso una mise classica: pantaloni e maglioncino neri, a cui aggiungo collana e orecchini dorati, stivaletti comodi e bassi. Un filo di trucco, fermacapelli, e sono pronta. Il nero mi rende battagliera. Sì, lo so che il rosso è considerato più aggressivo, ma io sfodero gli artigli col nero e mentre mi guardo allo specchio mi sento un vulcano sul punto di esplodere. Tipo Vesuvio, ecco.
   Suona il campanello, ma non è lui perché avrebbe citofonato. Vado ad aprire e guardo un po’ sorpresa uno dei vicini, Jacob Miller del terzo piano. Lui sorride, ma sembra imbarazzato mentre ci salutiamo.
   «Vuoi entrare, Jacob?» chiedo.
   «No, grazie. Mi trattengo solo pochi minuti per dirti una cosa…» Esita, poi prende fiato e continua. «Mi rendo conto che non è un buon momento per comunicarti la notizia, ma so che capirai. Abbiamo deciso di accettare l’offerta della controparte e di vendere. Siamo stanchi di batterci per una causa persa. Mi dispiace, Charlie.»
   «Tu e chi altri, Jacob?»
   Si stringe nelle spalle. «Praticamente tutti. Non è stato facile trovare l’accordo, ma poi anche i più riluttanti si sono resi conto di non avere alternative.»
   «Ne avete discusso senza darmi modo di dire la mia?»
   Abbassa gli occhi. «Se tu fossi intervenuta, ci avresti convinti a resistere ancora.»
   «Così avete scelto la via più facile e vi siete arresi. Mi avete messo in minoranza e adesso anch’io sarò obbligata a cedere.»
   «Credimi, non avremmo voluto. Però, dopo l’ultimatum ci siamo spaventati.»
   «Era proprio quello lo scopo, Jacob.»
   «Lo so. Mi dispiace davvero tanto, Charlie.»
   «L’avete già comunicato?»
   «Non ancora.»
   «Bene, allora aspettate qualche giorno a firmare il documento.»
   «Che differenza può fare?»
   «Forse nessuna, ma lasciate che faccia un altro tentativo.»
   «D’accordo», sospira. «Tanto ci sono le feste di mezzo ed è probabile che il documento resterebbe fermo negli uffici fino all’anno nuovo.»
   Annuisco convinta. «Tutto si aggiusterà, vedrai.» Gli faccio un cenno e rientro, prima che mi cedano le ginocchia e mi schianti sullo zerbino.
   Mi appoggio alla porta e mi sforzo di respirare lentamente. Mi sento andare alla deriva. Anzi, sto affondando come il Titanic dopo lo scontro con la montagna di ghiaccio. Ma forse la metafora più adatta è Don Chisciotte che affronta i mulini a vento, perché è proprio ciò che ho fatto in questi mesi: mi sono battuta contro i giganti e ne esco con le ossa rotte. Oltre al cuore spezzato un’altra volta.
   Non abbastanza, però, da non avere un sussulto al suono del citofono. Allungo la mano per prenderlo. «Sì?» biascico.
   «Sono io, baby. Sei pronta?»
   Baby? La mia anima femminista trasale. «Scendo subito.»
   Afferro cappottino, borsa e chiavi, chiudo la porta e vado.
   Lui è lì, ma non da solo. Al suo fianco c’è il suo alter ego in formato ridotto, cioè Tommy. Sorridono entrambi. Lo stesso, identico sorriso capace di scongelare l’Artide e l’Antartide. Questo sì che è un tiro mancino. La versione mini di Nicholas mi viene incontro e mi porge la mano.
   «Ciao, io sono Tommy», si presenta.
   «Piacere di conoscerti, Tommy. Io sono Charlie.»
   Corruga la fronte. «Posso chiamarti Baby?»
   «Assolutamente no, tesoro.» Lancio un’occhiata minacciosa all’interessato. «E neppure tuo padre.»
   Nicholas non fa una piega e apre lo sportello dell’auto. «Forza, saliamo che qui fuori si gela.»
   Prendiamo posto con Tommy in mezzo. L’autista avvia il motore e ci muoviamo. Intercetto lo sguardo di Nicholas, al di sopra della testa di Tommy, e la sua mano scivola sulla spalliera per posarsi sulla mia nuca. Il contatto provoca dentro di me l’equivalente di un terremoto così potente da far saltare i sismografi. Mi sforzo di non farci caso.
   «Dove andiamo a cena?» chiedo.
   «Nel mio ristorante preferito!» esclama Tommy.
   «Spero che ti piaccia la cucina italiana», dice Nicholas continuando a massaggiarmi la nuca.
   «L’adoro», rispondo, abbassando gli occhi sul bambino che mi fissa con intensità.
   «Tu sei la nuova fidanzata di papà?»
   «No, tesoro.»
   «E cosa sei, allora?» indaga.
   «Soltanto un’amica.» La pressione della mano aumenta e mi sforzo di ignorarla.
   «Una carissima amica», sottolinea Nicholas.
   Carissima un corno.
   «Amica o fidanzata non importa», sentenzia Tommy. «Tu piaci molto a papà e anche a me, Charlie. Non sei come le altre.»
   «Quali altre?»
   «Le donne che papà frequenta di solito.»
   «Cosa stai dicendo, figliolo? Non credo che a Charlie interessino questi particolari.»
   Oh, invece mi interessano, eccome. «Continua, tesoro. Il tuo papà ha molte amiche? Ne hai conosciuta qualcuna?»
   Scuote il capo. «Nessuna, a parte te, ma la mamma dice che è sempre circondato da donne.»
   «Devo ricordarmi di fare un discorsetto a tua madre», borbotta Nicholas.
   L’illuminante conversazione viene interrotta dall’arrivo al ristorante.
   L’accoglienza è calorosa. Vincenzo e sua moglie Rosetta sono espansivi, sorridenti e un po’ chiassosi. Sembrano molto in confidenza con Nick e suo figlio, da come li trattano con affetto, ma sono gentilissimi anche con me, e dagli ammiccamenti del signor Vincenzo arguisco che mi considera una di famiglia.
   Ci portano subito vino e acqua, più del succo d’arancia per Tommy, poi i menù e si allontanano.
   Nicholas mi sonda con lo sguardo. «Che ne dici?»
   Alzo gli occhi dal menù. «Di cosa?»
   «Del ristorante.»
   Mi guardo attorno. «Molto carino e informale.» Torno a leggere la lista, che propone una notevole varietà di primi e pietanze, con più impegno del necessario per distogliere l’attenzione da lui, che scatena emozioni e pensieri indecenti. Voglio rimanere lucida.
   Tommy decide in fretta. «Spaghetti alle vongole.» E beve un sorso di aranciata.
   «Anche per me», gli fa eco Nicholas. «E tu, Charlie?» Intanto versa il vino e mi guarda di nuovo.
   «Non lo so», sospiro. Il tavolo è piccolo e ci sfioriamo con le ginocchia. Mi sforzo di pensare a cosa voglio mangiare, ma i pensieri vanno per conto loro in una direzione che col cibo ha niente a che fare.
   «Ti consiglio gli spaghetti.»
   «Sì, Charlie. Sono buonissimi!» Incoraggia Tommy con entusiasmo.
   «Vada per gli spaghetti, allora.»
   «Ottima scelta», dichiara Vincenzo che nel frattempo è riapparso. «E per dopo?»
   Nicholas ordina il branzino per tutti, negandomi la possibilità di scegliere.
   Aspetto che Vincenzo se ne vada. «Sarebbe stato carino, da parte tua, chiedere la mia opinione.»
   «Devi solo dirlo se non ti va il branzino.» Alza la mano per richiamare Vincenzo, ma lo blocco.
   «No, lascia stare. Scusate, vado a incipriarmi il naso.»
   Mi fiondo alla toilette delle signore. Respira, Charlie. Respira. Mi ripeto come un mantra davanti allo specchio. Altro che cipria, avrei bisogno di una maschera ad ossigeno. O meglio ancora di una respirazione bocca a bocca, se la bocca in questione fosse quella di Nicholas.
   Qualcuno bussa discretamente. «Tutto bene, signorina?»
   Riconosco la voce di Rosetta. «Sì, grazie. Faccio in un attimo.»
   Sento i suoi passi che si allontanano ed esco. Attraverso la sala affollata e raggiungo il tavolo. Tommy sta divorando gli spaghetti come se fosse il suo ultimo pasto. Nicholas, la forchetta sospesa, mi scruta.
   «Qualcosa non va?» chiede, e percepisco un’autentica sfumatura d’ansia.
   «No, anzi.» Comincio a mangiare e mi concentro sull’impresa di arrotolare gli sfuggenti spaghetti intrisi di sugo, rimandando a dopo l’estrazione dei molluschi dalle valve. Padre e figlio non sembrano avere problemi. Le pescano con le dita e le succhiano direttamente. Ci provo anch’io e gli occhi di Nicholas trafiggono i miei, rivelando ciò che sta pensando e che mi fa scorrere un fin troppo piacevole fremito in ogni parte del corpo. Ma è quando si lecca le dita che mi sento sciogliere come un gelato al sole e immagino la sua lingua sulla mia pelle nuda.
   «Perché sei arrossita, Charlie?» chiede Tommy.
   «Fa parecchio caldo qui», rispondo sventolando il tovagliolo.
   Il sorrisetto di Nicholas è decisamente sornione e le mie guance diventano paonazze. Lui prende un pezzo di pane, lo intinge nel sugo e me lo offre. «Non sai cosa ti perdi, se non fai la scarpetta», dice.
   Mi protendo e apro la bocca. Mi sfiora le labbra e un rivoletto di salsa mi cola sul mento. «Oh, scusa», sussurra con voce densa di erotismo. Mi asciuga col pollice, che poi lecca, e io sto per avere un orgasmo. Il suo ginocchio preme fra le mie gambe e io scatto in piedi.
   «Devo andare in bagno», ansimo col cuore a mille.
   «Di nuovo?»
   «Sì, scusa.»
   Dovrebbe essere una ritirata strategica, ma è una vera e propria fuga.
   Sei impazzita, Charlie? Quell’imbroglione sta giocando con te e tu gli dai corda. Mi rimprovera la mia parte razionale che è stata messa all’angolo e sta per gettare la spugna. Un respiro profondo non è sufficiente a fermare la mandria di cavalli selvaggi che galoppa dentro di me. Spruzzo un po’ d’acqua fredda sul viso e riesumo i miei ricordi delle lezioni di training autogeno sperando di spegnere gli ardori. Sembra funzionare e mi azzardo a uscire.
   Le mie gambe non sono troppo salde, ma riesco ad arrivare fino al tavolo senza incorrere in incidenti. Siedo e, spariti i piatti vuoti degli spaghetti, ci portano i branzini, sfilettati e presentati con una salsa. Un’altra, geme una vocina dentro di me. Comunque il pesce è delizioso e lo gustiamo in silenzio. Lo apprezzerei di più, se il ginocchio di Nicholas smettesse di strusciarsi, ma respingo l’idea di andare di nuovo in bagno.
   Concludiamo la cena con il dolce, una mousse al cioccolato che si scioglie in bocca col tripudio delle papille gustative e relativi commenti estasiati, poi Nicholas si alza per andare a pagare il conto. Ha promesso che avrebbe riportato a casa Tommy alle dieci e trenta.
   Pochi minuti dopo siamo in macchina, ma questa volta Nicholas mi siede accanto e ne approfitta per passarmi il braccio attorno alle spalle. Tommy mette gli auricolari e ascolta musica. Lascio vagare lo sguardo fuori, fingendomi interessata alla strada affollata e piena di luci, ma il mio cuore sembra la pallina impazzita di un flipper, e quando mister arma letale accosta le labbra al mio orecchio, vado in tilt.
   «Ti voglio rivedere, domani sera», sussurra.
   «Perché non vieni a cena da me?» Con un battito di ciglia gli lascio intravedere una serata ad alta tensione erotica.
   «Sai anche cucinare?»
   «Me la cavo.»
   «Sei una donna dalle mille virtù. Quali altre sorprese hai in serbo?»
   «Aspetta e vedrai.»
   «Sono impaziente di scoprirle.»
   Lo ammalio con un sorriso pieno di promesse che non ho intenzione di mantenere e lui mi bacia, incurante della presenza di suo figlio.
   «Nick, ti prego. C’è Tommy», dico, pudica come una vestale.
   «Si è addormentato», risponde Nicholas.
   Con quel fracasso nelle orecchie che si sente anche da qui? Gli do una rapida occhiata e in effetti tiene gli occhi chiusi, ma sospetto che faccia finta di dormire, il furbetto.
   «Meglio non rischiare, o potrebbe raccontare alla mamma che il papà e la sua nuova fidanzata hanno pomiciato davanti a lui.»
   I bollori gli si raffreddano subito e, come sospettavo, Tommy riapre gli occhi e tende la manina col palmo in su. «Non le dico niente se mi dai dieci dollari.»
   Scoppio a ridere e Nicholas aggrotta la fronte. «Questo è un ricatto in piena regola, figliolo!» esclama.
   «Dieci dollari, o le spiffero tutto», replica implacabile.
   La banconota passa da padre a figlio, che l’intasca soddisfatto e torna ad ascoltare la musica.
   «La corruzione di minore non è un reato?» chiedo divertita.
   «Non ti ci mettere anche tu, per favore», brontola Nick. «Se continua così, mio figlio avrà un futuro nella malavita organizzata.»
   «Dai, in fondo è soltanto un bambino.»
   Lui sorride. «Non ti far ingannare dal suo aspetto. Dietro questa forma infantile si cela un cinico uomo d’affari.»
   «Chissà da chi avrà preso», osservo. Mi fissa qualche secondo con gli occhi socchiusi, poi mi attira a sé e mi bacia. Gli punto le mani sul petto per allontanarlo. «Ehi, vuoi sborsare altri dieci dollari?»
   Rovescia il capo all’indietro e ride. «Dieci dollari a bacio e andrò in rovina, ma non mi importa, perché voglio baciarti fino a casa.»
   «Temo che dovrai rimandare alla prossima volta, signor rubacuori. Siamo già arrivati», gli dico mentre l’auto accosta al marciapiede e si ferma. Lo chauffeur viene ad aprire lo sportello e un soffio d’aria gelida si infiltra nell’abitacolo. «Grazie per la bella serata e buona notte.»
   «Ciao, Charlie. Mi sono divertito», dice Tommy dal suo cantuccio.
   «Anch’io, tesoro. Buon Natale.»
   «Ti accompagno», si offre Nick cavalleresco, ma con lo sguardo da satiro.
   «Non ti disturbare.» Scendo in fretta e lui si sporge.
   «A domani sera!» Mi ricorda. Come ce ne fosse bisogno.
   Sorrido, recupero le chiavi e mi giro per aprire il portoncino. L’auto riparte e mi infilo nell’androne. Ansimo che pare abbia corso la maratona e arranco sulle scale mettendomi al sicuro in casa. Non so davvero cosa mi sia preso quando ho invitato a cena Nick, ma in quel momento mi è sembrato un colpo di genio, l’occasione per chiarire la situazione e metterlo alla porta come un importuno. Invece non è affatto una buona idea. Si è mai visto Cappuccetto Rosso invitare a casa propria il lupo affamato?
La cena è quasi pronta. Caminetto acceso, tavola apparecchiata, candele rosse e, in sottofondo, musica. Forse la Messa da Requiem di Mozart sarebbe più appropriata, ma ho preferito Chopin.
   La giornata è stata intensa. Jessica ha voluto farmi una sorpresa portando tutti i nostri amici per uno scambio di auguri e regali. La libreria è diventata la location di un party, con tanto di clienti coinvolti, brindisi e chiasso da farmi temere reclami e l’intervento della polizia. Me lo sarei dovuto aspettare da una che di professione organizza eventi, e probabilmente l’avrei scoperto se avessi dato un’occhiata ai social, però il pensiero non mi aveva neanche sfiorato e Jessica ha assaporato soddisfatta il proprio trionfo, nel vedere la mia faccia stupita quando l’allegra banda mi ha invaso il negozio.
   Nick è il leggero ritardo. Il mio sguardo saetta dall’orologio, al cellulare e al timer del forno, nel quale il soufflé si sta gonfiando, con apprensione. Non so se sono più preoccupata che il soufflé si ammosci o che lui non venga. Forse di entrambe le cose. Poi il display s’illumina, parte la suoneria e vado nel panico. Poso il bicchiere del drink, il secondo, e prendo il cellulare al volo.
   «Sì?» Il mio cuore si scatena in una danza tribale dal ritmo vertiginoso.
   «Sono qui sotto, baby. Mi apri?»
   «Ma certo.» Gli perdono di avermi chiamato di nuovo baby perché sarà l’ultima volta.
   Quando apro la porta, mi appare un mazzo di rose rosse, che più tradizionale di così non si può, dietro al quale fa capolino Nicholas con un gran sorriso.
   «Scusa il ritardo, ma ho girato come un matto per trovare delle rose.»
   «Grazie», dico nel prenderle. «Accomodati e togli il cappotto. Ora le metto al fresco.»
   Mi segue, e mentre io riempio d’acqua un vaso e sistemo le rose, lui si guarda attorno.
   «Mi piace il tuo appartamento. Molto intimo e accogliente.» Annusa l’aria. «Che buon profumo.» osserva.
   «Oddio, il soufflé!» Corro in cucina, e alla vista del mio capolavoro non solo ammosciato ma anche un po’ bruciacchiato, emetto un gemito. «Oh, no!»
   Nicholas mi raggiunge e mi cinge le spalle col braccio. «Dai, che non è così grave. Sono sicuro che sia buonissimo.»
   Sorrido grata e spengo il forno. In compenso la quiche mi è riuscita bene e anche il pollo arrosto con patatine hanno un aspetto invitante.
   Sediamo e cominciamo a mangiare.
   «Come sta Tommy?» chiedo.
   «Bene, e ti manda i suoi saluti. L’hai conquistato, sai? Vorrebbe uscire di nuovo con noi, una di queste sere.» Mi scruta. «Ti andrebbe?»
   «Perché no? Magari dopo le feste organizziamo.» Mi tengo sul vago. Non è ancora il momento di affondare il colpo.
   «A proposito, sei impegnata domani sera?»
   «Temo di sì. Vado da mia sorella. In famiglia siamo molto legati alla tradizione. Tu, invece?»
   «Sono invitato a una cena che prevedo noiosa e speravo che mi avresti fatto compagnia.»
   «Mi dispiace, ma in fondo è meglio così. Mi sentirei a disagio nel tuo ambiente, fra persone importanti e altolocate.»
   «Non è un ricevimento in grande stile, bensì una cena informale.»
   «Per questo temi di annoiarti?»
   «No. Il fatto è che conosco soltanto i padroni di casa e pochi altri. Sospetto che il resto degli invitati non appartenga alla cerchia dei miei amici.»
   «Perché, hai degli amici?»
   «Sbaglio, o mi sembra di captare una vena ironica?»
   «Gli uomini di potere come te, di solito, si fanno molti nemici.»
   Lui affila lo sguardo. «Cosa intendi dire?»
   «Puoi smettere di recitare, Nick. So chi sei e cosa stai facendo.»
   «Non capisco.»
   «Oh, basta con questa sceneggiata!» sbotto, alzandomi per andare a prendere la busta coi documenti e l’ingiunzione dei suoi legali a lasciare l’appartamento e il negozio. Glieli metto sotto al naso. «Tutti i condomini ne hanno ricevuto una copia e sono mesi che ci battiamo per salvare le nostre case dall’avvoltoio che ce le vuole sottrarre. Puoi negare che ti sei avvicinato a me col solo scopo di convincermi a vendere? Mi hai preso in giro e chissà come ti sei divertito alle mie spalle.» Torreggio su di lui inviperita, ma non mi concede quel vantaggio a lungo. Si alza e mi sovrasta, obbligandomi a rovesciare il capo per guardarlo. Rimpiango di non aver messo il tacco dodici, che mi avrebbe fatto guadagnare qualche centimetro. La posizione d’inferiorità non giova alla mia autostima.
   «Lo ammetto, non sono stato leale. La tua determinazione a rifiutare le offerte del mio staff di avvocati era oltremodo irritante. Nessuno è mai riuscito a tenermi testa come hai fatto tu, arrivando a coalizzare tutti i condomini contro di me, e non potevo tollerarlo. Allo stesso tempo ero curioso di conoscere la donna che mi stava dando del filo da torcere, così ho deciso di incontrarti. Pensavo che se ti avessi conquistata e sedotta avrei scoperto i tuoi punti deboli e alla fine avrei ottenuto ciò che volevo. Però, non avevo previsto che sarei caduto nella mia stessa rete e mi sarei innamorato di te.»
   «Non c’è bisogno che continui a mentire. Hai vinto, e potrai far demolire il palazzo per costruire il tuo sfarzoso centro commerciale, cancellando per sempre una parte storica di questo quartiere. Immagino che tu sia molto fiero del tuo successo.»
   «No, non sono fiero di ciò che ho fatto, ma non mi pento perché l’averti incontrato è la cosa più bella che mi sia mai capitata. Vorrei solo riuscire a farti capire quanto sei importante per me. Non mi vuoi dare una seconda possibilità?»
   «Ti prego, Nick, va’ via. Vattene e lasciami in pace!» Il groviglio nel mio stomaco minaccia di sopraffarmi, ma non voglio scoppiare in lacrime davanti a lui.
   «Va bene, me ne vado.»
   Gli giro le spalle perché non sopporto di vederlo uscire dalla mia casa e dalla mia vita, e quando sento il tonfo della porta non riesco a trattenermi. Mentre mi sciolgo in un pianto dirotto trilla il cellulare e con una piroetta degna di una étoile dell’Opera lo afferro. Il fioco lumicino di speranza si spegne subito. Non è Nicholas, ma mia sorella. Mi ha chiamata almeno cinque o sei volte, quel pomeriggio.
   «Cosa vuoi, Betty?» Lei odia che la chiami così.
   «Qualche problema? Mi sembri irritata.»
   Problema? Nessuno, a parte che la storia più breve dell’emisfero settentrionale si è appena conclusa, che ho il cuore a pezzi, che perderò la mia amata attività e l’appartamento. Sono così disperata che trovo allettante l’idea del suicidio.
   «Ma no, figurati. Niente che un buon sonno non possa sistemare.»
   «Com’è andata la cena?»
   Guardo la tavola, dove le candele stanno consumando fra gli avanzi e il povero soufflé ammosciato, e sento che potrei strozzare mia sorella per la domanda inopportuna.
   «A meraviglia. Tutto perfetto», mento spudoratamente.
   «Sono contenta. Lui è ancora lì?»
   «No, è andato via poco fa.»
   «Così presto?»
   «Già. Senti, sono stanca morta e la sola cosa che desidero è andare a dormire. Casomai ne riparliamo domani sera, va bene?»
   «Sì, certo. A domani e buonanotte. Sii puntuale, mi raccomando.»
   Sapevo che era un errore rivelarle che stavo frequentando qualcuno, ma lei era stata la reginetta del liceo e poi la ragazza più corteggiata del College, e dato che mi dà il tormento perché sono ancora single alla mia veneranda età, mi è parso giusto vantarmi un po’. Accidenti, me la sono proprio cercata.

Venerdì 24 dicembre, ore 21,30.

La cabina dell’ascensore sale, veloce come uno Shuttle, all’appartamento di Elisabeth e Max, al piano attico.
   Fino all’ultimo la tentazione di chiamarli e inventare una scusa per non presentarmi è stata fortissima. Poi ho pensato che non me l’avrebbero perdonata, soprattutto mia sorella, e mi sono preparata.
   Il cellulare ha squillato tutto il giorno, ma nessuna delle chiamate era di Nicholas. Me l’aspettavo, ma fa male lo stesso.
   Con un tintinnio argentino la cabina si arresta e le porte scorrevoli si aprono. Elisabeth mi viene incontro sorridendo, perfetta da capo a piedi come sempre, e mi sento ancora più insignificante.
   «Hai un aspetto orribile», dice dopo avermi baciato sulle guance. «E sei in ritardo.»
   Sorrido. «Anch’io sono contenta di vederti.»
   Mi prende per il braccio. «Vieni, ho fatto preparare la tua stanza, così potrai sistemare le tue cose e ritoccare il trucco.»
   «Perché?» chiedo mentre la seguo nel vestibolo. Dal salone giunge un brusio sommesso. Alcuni ospiti sono già arrivati. Dalle stanze dei ragazzi non arriva alcun suono. Elisabeth sa come tenere tranquilli i suoi figli anche quando la tata è assente. «Mi si è sbavato il mascara, o il rossetto?»
   «Sei solo un po’ pallida. Mi dici perché hai messo lo stesso vestito dell’anno scorso?»
   «Perché è l’unico rosso e luccicante. Nessuno lo ricorderà, ci scommetto.»
   «Non ci giurerei. Comunque stai benissimo.» Lo dice solo per consolarmi e il livello della mia autostima scende di un’altra tacca.
   «Dov’è Max?»
   «Intrattiene gli ospiti. Ne mancano ancora parecchi, ma arriveranno fra poco, perciò cerca di sbrigarti.»
   «Farò del mio meglio», sospiro entrando nella camera. «C’è qualcuno che non conosco?»
   «Sì, almeno due o tre.»
   «Single, dico bene?»
   Lei ride. «Due coppie e un tipo piuttosto interessante tornato single di recente.»
   Mi si drizzano le antenne. «Un divorziato? No, grazie.»
   «Dai, mica lo devi sposare. Consideralo un favore e cerca di essere carina con lui.» Mi manda un bacio sulle dita e se ne va, lasciando la frase sibillina sospesa nell’aria.
    Metto a posto le mie cose: pigiama, vestaglia, pantofole e un capo di vestiario per il giorno dopo. Deposito il beautycase in bagno e spennello un po’ di fard sulle guance. L’abito rosso stretch laminato disegna la mia silhouette sottile e, a dispetto delle critiche di mia sorella, mi dona molto. Sorrido alla mia immagine nello specchio e scuoto i capelli che ricadono lucenti sulle spalle. Ho deciso che non li taglierò.
   Quando esco, il brusio degli ospiti mi raggiunge fin lì nel corridoio. Prima di fare la mia entrata nel salone sosto un attimo per fare un gran respiro e il mio sguardo si posa qua e là. Ci sono una trentina di persone fra cui mi pare di riconoscere visi familiari. Malgrado Elisabeth abbia definito la cena “informale”, le signore sono molto eleganti e sfoggiano gioielli. Gli uomini in abito scuro si somigliano un po’ tutti, d’altronde sono amici e colleghi di Max e tendono ad adottare lo stesso genere di abbigliamento. Scorgo la lunga tavola apparecchiata e adorna di fiori. Il personale del servizio di catering si muove efficiente fra gli invitati servendo stuzzichini e aperitivi. Un monumentale albero di Natale troneggia a fianco del caminetto, dove mia sorella e Max intrattengono una giovane coppia e un uomo, alto e atletico, girato di spalle. Lo osservo e tento di indovinare che aspetto abbia, anche se l’istinto mi suggerisce che è un grande strafico e molto al di fuori della mia portata. Deve essere il tipo che Elisabeth ha definito “interessante”.
   Mentre indugio sotto le ghirlande di vischio che ornano l’arcata da cui si accede al salone, lui si gira e il mio cuore fa un tuffo con doppio avvitamento carpiato. Cosa ci fa Nicholas qui? E adesso? Faccio finta di niente e avanzo con tutta la disinvoltura di cui sono capace, o vado a nascondermi da qualche parte? Ma, prima che risolva il dilemma, arriva mia sorella a togliermi, si fa per dire, dall’imbarazzo.
   «Ecco finalmente la mia incantevole sorellina!» esclama con enfasi attirando l’attenzione dei presenti. Sento che mi avvampa il viso, ma la seguo senza ritrosie per scambiare strette di mano, baci sulle guance con le signore e convenevoli vari che Elisabeth non permette si protraggano. «C’è qualcuno impaziente di incontrarti», dice, trascinandomi con sé. Gli invitati si aprono come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè e il mio cuore, dopo il tuffo carpiato di pochi minuti fa, inizia a ballare la tarantella. Potrei stramazzare sul pavimento se Max non mi abbracciasse.
   «Buon Natale, cara, e scusa se non sono venuto a salutarti prima.»
   «Buon Natale anche a te», rispondo, incontrando al di sopra della sua spalla gli occhi verdi di Nicholas che mi scrutano ansiosi.
   «Basta con le smancerie, voi due», interviene Elisabeth. E mi trovo di fronte a Nicholas, che sorride e tende la mano.
   «Nicholas Norton.»
   «Piacere, Charlie.» Ricambio la sua stretta decisa.
   Mia sorella prende il marito sottobraccio. «Vi lasciamo un po’ da soli, così potrete fare conoscenza.»
   «Vuoi un drink?» Nick prende dal vassoio di un cameriere di passaggio due flute di spumante.
   «Cos’è questa commedia?» chiedo, accettando il bicchiere.
   «Nessuna commedia, ti assicuro, solo una singolare coincidenza. Ti ho parlato dell’invito di stasera, ricordi?» Annuisco. «Quando l’ho accettato non immaginavo che tu fossi la sorella di Elisabeth e che ti avrei incontrato.»
   «Altrimenti non saresti venuto, giusto?»
   «Al contrario, ti avrei chiesto di venirci con me.»
   «Che faccia tosta!» Vorrei mandarlo al diavolo, ma non ci riesco e lui ne approfitta.
   «Ti devo parlare di una cosa importante.»
   «Che altro c’è da dire?»
   «Ti prego, Charlie.»
   «D’accordo. Dì quello che devi, ma fai in fretta.»
   Si guarda attorno e scuote il capo. «Non qui. Usciamo in terrazza.»
   «Cosa? Sei impazzito? Fuori si gela!»
   Neanche mi ascolta e usciamo. Devo ammettere che la visione notturna di New York da lassù è da mozzare il fiato, se non fosse che l’ipotermia mi farà schiattare in pochi minuti. Lui però toglie la giacca, impregnata del suo calore e del suo profumo, e me la posa sulle spalle.
   «Va meglio, adesso?» chiede con voce morbida.
   «Sì, grazie.» Forse per i prossimi cinque minuti sopravvivrò.
   «Questa mattina ho riunito il consiglio d’amministrazione della mia società e ho dichiarato formalmente, alla presenza dei miei legali, che il palazzo della 45 Strada non sarà demolito. Ciò significa che nessuno sarà obbligato ad andarsene e che la tua libreria è salva.»
   «Rinuncerai a costruire il centro commerciale?» Sono frastornata dalla notizia.
   «Lo costruirò altrove. A Brooklyn non mancano gli edifici dismessi e ho già incaricato i miei collaboratori di reperirne uno adatto. La mia decisione non è piaciuta ad alcuni membri del consiglio, ma non hanno avuto scelta.»
   «Perché l’hai fatto?»
   «Per te, per noi. Per dimostrarti che non sono l’arido uomo d’affari che credi e che in vita mia non sono mai stato così sincero come quando ti ho confessato il mio amore. Ti amo, Charlie.»
   Lo guardo e apro la bocca per parlare. Ci sarà pure qualcosa da dire in quel momento di pura magia, ma non mi esce alcun suono e resto a fissarlo, muta come un pesce e sul punto di congelarmi. Se non altro non corro il rischio di squagliarmi come un gelato per l’emozione troppo intensa che minaccia di travolgermi. Poi decido di lasciare che mi travolga e gli butto le braccia al collo, perché tutta la felicità che mi trabocca dal cuore si fa largo a passo di marcia e non riesco a contenerla.
   «Questo è il più bel regalo di Natale che potessi farmi. Anch’io ti amo, Nick.»
   E il bacio che ci scambiamo è di quelli che lasciano tramortiti.

 FINE

L'AUTRICE DICE DI SE'...
Alexandra J. Forrest è il "nom de plume" con cui firmo i miei Romance, soprattutto storici, ma nella mia produzione non mancano storie contemporanee.
Dopo aver collaborato a lungo con varie CE, ora pubblico come indipendente in formato digitale, alternando remake di vecchi libri e opere inedite.
Ringrazio LMBR per avermi offerto l'occasione di proporre questo racconto moderno e spumeggiante ispirato al Natale.
Un mondo di Auguri da Alexandra.

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11 commenti:

  1. Una bella favola. D'altronde, se non c'è magia a Natale, quando? Complimenti all'autrice. Un bel racconto lungo, delicato e romantico.

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  2. Proprio una favola, ben scritta e a lieto fine. Fin troppo romantico però.

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  3. Piacevole favola a lieto fine per allietare questo Natale.

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  4. Un bel racconto. Bravissima Angela.

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  5. Non sono riuscita ad entrare in empatia con la protagonista, ma la storia è carina e l'ho seguita con interesse.

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  6. Carino, il cuore del milionario che si scioglie per amore della caparbia libraria mi è piaciuto :-)

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  7. bellissimo, mi è proprio piaciuto, anche se il finale direi che è un po' troppo affrettato. avrei preferito che lui si "prostrasse" un po' di più dopo la carognata iniziale, ma è davvero molto romantico

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  8. Un racconto piacevole, ben scrito, letto tutto d'un fiato. Molto romantico davvero. :)

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  9. Tenero. Da subito mi ha ricordato il film C'è posta per te. Finale diverso ma sempre romantico. Molto piacevole.

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  10. Verso metà racconto avevo seriamente pensato che lui fosse un insensibile figlio di buona donna... per fortuna poi non è stato così! Bel racconto, tra i miei preferiti!

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  11. UINA BELLA FAVOLA NATALIZIA.ELISABETTA

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