AMORE SENZA MASCHERA di Patrizia Ferrando


Veniva Natale, e tutto era un po’ più sfavillante, un po’ più sovraccarico, spesso malinconico, frenetico, talvolta ineluttabile. Appena un momento prima, le sembrava, i pub esponevano zucche e candele spettrali per Halloween, e le vie londinesi venivano invase dall’ambiguo abbandono dell’autunno, e invece ormai, tutto intorno ad Anna, si appendevano luminarie, si innalzavano abeti, e da Trafalgar Square spirava lo stesso vento infreddolito che, negli ultimi giorni dell’anno, danzava con le sfumature quiete della chiesa di St. Martin in the Field.
La danza, per Anna, misurava il tempo e lo spazio: ballava da sempre, dava passi alla gioia, alla tristezza, all’ansia o alla speranza. Fra un ingaggio e una piroetta, un corso e un inchino, con la cadenza delle scarpette da ballo era approdata a Londra ed entrata trionfalmente fra le schiere per la messa in scena del musical più teatrale, decadente, romantico. The Phantom of the Opera.
Gli stessi passi l’avevano allontanata da quella che poteva essere una placida tranquillità provinciale, e da un uomo che non sapeva se chiamare amore, visto il modo in cui era sbiadito in raffronto alla possibilità di realizzare i suoi sogni.
Quasi ogni sera Anna indossava costumi vaporosi e lucenti e diventava ballerina anche per la finzione, ma una ballerina del fantastico mondo operistico di fine ‘800, sedotto e turbato dalla presenza del geniale e terrificante “fantasma”. Anna era se stessa e un’altra insieme, proiezione perfetta e colorata nella grande festa inscenata al suono di Masquerade, e infine sempre più sbiadita, mentre sul proscenio avvampava e si consumava la storia di struggente e negata passione fra Erik, il musicista deforme da sempre nell’ombra, e la bella stella nascente Christine.
Alla fine dello spettacolo, quando si allontanava dall’uscita degli artisti dove per lei non  sostavano certo ammiratori speciali, rientrata nel grigio del suo cappotto e nell’abbraccio della sciarpa, cullava talvolta l’eco di un applauso più caloroso, o, molto più spesso, la sensazione calda e imbarazzante  di uno sguardo dritto su di lei, da dietro la maschera del fantasma, quando la coreografia li avvicinava, quando , in una scena di scompiglio, lei scivolava ai suoi piedi e restava ferma, con le dita protese verso il viso di lui. Conosceva il modo in cui quelle mani lunghe e virili, guantate di nero, disegnavano una presa possessiva sul dorso di un corsetto, mentre lei, da dietro le quinte, credeva di percepirne la forza trattenuta in una sensazione tanto intima e profonda da farla arrossire, se qualcuno avesse dovuto osservarla in quel momento, così come anelava con sete rivedere il guizzo del mantello, l’eleganza con cui un balzo sugli scalini coincideva con una cascata di note impeccabili.
Ma per Erik non giungeva mai un lieto fine, nonostante Anna, in fondo non smettesse di sognare che perfino questo fosse concesso dalla magia del teatro; e gli sguardi di Erik, o meglio di James, il protagonista dello spettacolo, dovevano essere parte dell’interpretazione e non essere indirizzati a lei. Di James sentiva le parole gentili elargite ad ogni membro della compagnia, sempre con tono positivo, lo sbirciava scherzare con gli attrezzisti, oppure, più assorto, fumare una sigaretta all’esterno, seduto su un muretto, i capelli finalmente liberi dal gel e spioventi in un ciuffo giovane.
Erik e James, James ed Erik: quanto di uno passava nell’altro? Lei non sapeva evitare questi pensieri, e qualche sera, mentre poche stelle tagliavano veli nebbiosi, rimproverava se stessa per confondere troppo realtà e finzione, e perché nessuno scuola di danza e seminario teatrale le lasciava in dote la capacità di astrarsi dall’atmosfera della storia; l’avrebbe acquisita, forse, con anni d’esperienza. Dopotutto, però, importava davvero? Anna se lo domandò mentre accendeva il bollitore elettrico nell’appartamento che condivideva con Helga, una violinista danese che adesso la fissava ferma sulla porta, uno spartito fra le mani e stampata in faccia una vaga riprovazione per l’atteggiamento troppo sognante della ballerina che la sorte le aveva assegnato per coinquilina.
“Anna?” l’interpellò “tutto ok? Sei tra noi o stai ancora nel tuo mondo di fantasmi?” 
“Nessun problema, tutto come al solito”, sussurrò la ragazza, e in quel filo di voce c’era Erik che sotto i riflettori stringeva fra le braccia Christine, si votava a lei con amore e ossessione, bramava il dono artistico e l’innocenza della giovane donna, ma anche James che, a sipario chiuso, lasciava i camerini con Eliza, la prima attrice; Eliza, alleggerita dalla parrucca ricciuta che sul palco ne celava il caschetto biondo, che rideva sistemando il cappello di James, lui che si affrettava ad aprirle la portiera del taxi e le chiudeva premurosamente il colletto, a proteggerne la voce e anche l’umore piuttosto instabile.
“Mi piace, il mio mondo di fantasmi” aggiunse poi, più forte, e fermò con un cenno della mano Helga che protestava e scuoteva la testa. “…lo so, mi dici che sai come “certa” gente di teatro sia piena di manie e suuperstizioni e che non ne comprendi il motivo. Ma qui non si tratta di superstizioni: a teatro, è come se l’energia delle storie vere e di quelle inventate si mescolasse, assumesse una forza creativa nuova… e trovo sempre spazi sconosciuti da esplorare, una continua scoperta”.
Anna, dopo il riferimento alla sua abitudine di curiosare in ogni parte del teatro, ricordò che l’indomani dovevano recarsi al lavoro, non per esibirsi, ma per le nuove fotografie destinate a depliant e sito internet promozionale.Chissà quali set avrebbe scelto il fotografo…si augurò qualcosa di originale, nella scenografica ridondanza di un teatro vecchio di più di un secolo e perfetto per la vicenda del musical. 
La giornata cominciò in modo concitato: la precisa routine dello spettacolo non si poteva applicare, e, se i costumi venivano spostati freneticamente, e pettini e piumini da cipria manovrati come baionette in un assalto, gli interpreti non seguivano le solite abitudini, e le pressioni della segretaria di produzione che ricordava ogni venti secondi quanto fosse importante realizzare delle immagini uniche nel loro genere e quanto il professionista contattato fosse geniale e irascibile, non contribuiva a un clima di tranquillità.
Anna indossava ancora, in attesa di ricevere indicazioni, il suo abito di jersey blu, che formava un curioso contrasto coi lustrini, le balze e gli strass di chi le correva intorno. “Senti…” richiamò la sua attenzione una delle parrucchiere “ posso chiederti un favore? Dovresti andare a chiedere a Kate come muoverci per sfumare volta per volta il make up, non va bene proprio quello di scena, qui dobbiamo lavorare a gruppi in posti diversi del teatro, e se non mi dice lei che è la responsabile…” “Ok, vado subito” Anna fermò la cascata di parole “sai dove posso trovarla?” “Penso sia a studiare le luci nel secondo ordine di palchi, con Eliza e altri…”.
Già, era lì. Eliza, pallida e sinuosa, in scena emanava delicatezza e trepidazione…con grande bravura, pensò Anna, perché adesso, mentre strideva ordini a destra e a manca, dava ben altra impressione.
Teneva i piedi sollevati su una poltroncina, e, quando vide Anna, interruppe il gioco compulsivo con cui torceva la cintura della vestaglia di seta, per attaccarla senza indugio “Che ci fai qui? Non capisci che siamo occupatissime e non puoi interrompere?” “Mi hanno detto di rivolgermi a Kate…” La truccatrice si fece avanti senza bisogno di ulteriori spiegazioni, ma non aveva che abbozzato un paio di frasi riguardo a fazzolettini umidi da tenere a portata di mano, tentando di chiarirle a una interlocutrice che danzava e non usava termini tecnici, che Eliza iniziò a strillare: “ Mi illudevo di essere stata chiara, che mi si comprendesse! Kate, tu devi restare vicino a me, a mia disposizione, non voglio le altre, è di te che mi fido…” nelle ultime sillabe vibrò una crepa isterica. La porta del palco si spalancò, e James, con maschera e mantello, rivolse un breve sorriso a Eliza, invitandola a stare tranquilla. Lei lo guardò imbronciata, raccogliendosi le ginocchia in grembo con le braccia, come una bambina colta in fallo. Col protagonista del musical c’erano il fotografo, l’aiuto regista e un piccolo manipolo di gente, che scambiava battute in corridoio, tra uno stand a rotelle pieno di abiti, valigette e blocchi per appunti. Kate approfittò della pausa per mandare una delle sue collaboratrici a fornire rapidamente l’aiuto richiesto da Anna, la quale, con imprevisto imbarazzo, si accorse che la stavano osservando.
“Una delle nostre ballerine” disse compiaciuto l’aiuto regista, e il fotografo aggiunse “Perfetta! E giusto in tempo…”.
Era un’espressione d’incoraggiamento quella di James? Non ebbe tempo di chiederselo, perché in men che non si dica Anna indossava un lungo e vaporoso tutù e attendeva di mettersi in posa, scalza, struccata e coi capelli sciolti ( per un’immagine più contemporanea, minimale, affermavano)…col fantasma in persona.
Il palchetto scelto avvolgeva con luci soffuse e drappi di velluto. Cominciarono a posare, e a ogni scatto una tensione magica attraversava il corpo e i pensieri di Anna. Le spalle nude, con le bretelline abbassate a scoprire parte della schiena, diventavano più fragili  sotto gli occhi di James, e le labbra fremevano arricciate nella vicinanza a quel petto virile che la camicia non celava.
Infine, le chiesero di inginocchiarsi a terra, e appoggiarsi con la guancia alla gamba di Erik (la solita confusione! Un po’ Erik, un po’ James…) che sedeva in poltrona con le ginocchia divaricate.
La consapevolezza della muscolatura tonica, e di un’attrazione innegabile che le raggiungeva le viscere, impresse un tremito alle sue dita: provò a dissimularlo con allargando e lisciando il tulle della gonna.
Era già finita. Qualche minuto appena, e lo shooting fotografico continuava altrove, senza di lei. Ringraziata con calore e congedata, conservava la confusa e bruciante percezione della vicinanza con James. Eppure si sentiva così stupida e piccola.
Ingannò il tempo fra i camerini, non andò ad assistere agli scatti principali. La sua presenza non venne più richiesta.
Infine, ancora scombussolata e con una strana voglia di piangere e ridere insieme, Anna pensò di rifugiarsi in un luogo prediletto: il foyer superiore, una grande sala poco frequentata.
Imbruniva presto, nel cuore dell’inverno: oltre le alte finestre, riluceva il grande abete natalizio dell’hotel di fronte, e, mentre gli imponenti lampadari restavano spenti, le luminarie proiettavano barlumi sul pavimento tirato a cera, come provenienti da un mondo incantato, o da dietro una delle specchiere velate di buio. La ragazza raggiunse un divanetto, liberando almeno alcune delle emozioni trattenute mentre disegnava con gli occhi i ricchi stucchi del soffitto.
Ebbe la sensazione di assopirsi, anche se erano trascorsi pochi minuti, e sapeva di non poter certo farlo. Provò a riscuotersi da quel molle, seducente dormiveglia; sollevatasi, la colpì in pieno la certezza di non essere più sola. Nell’accelerare dei battiti del cuore, prima ancora che in quella strana saggezza dei sensi, apprese che doveva essere James. Nella semioscurità, la sua figura imponente si avvicinò ancora un poco, e poi ancora…fino ad appoggiarle una mano sul braccio, con un tocco che l’attraversò come una scossa.
“Arrivi proprio da fantasma…” rise nervosamente Anna, ma lui la zittì “Ssshhh…questa sera è troppo bella per parlare di lavoro. Tu sei troppo bella per non volerti incontrare lontano dai palchi e dalle maschere”. Lei emise solo un sospiro sorpreso, mentre lui continuava “Scovarti non è stato facile, anche se mi avevano assicurato che non avevi lasciato il teatro. Ecco, l’abilità del mio socio Erik sarebbe tornata utile per muoversi fra ogni meandro. Comunque, ne è valsa la pena…” fece ancora mezzo passo, prendendo il mento di Anna fra le dita, per sollevarlo “spero accetterai il mio invito a cenare vicino al mio albero di Natale preferito, c’è un locale a Camden…però anche qui la magia ti circonda”.
Si chinò, sicuramente per baciarla. Anna maledisse se stessa perché le sue labbra, anziché abbandonarsi e schiudersi, avevano formato un nome: “Eliza”, provocando l’immediato distacco di lui.
James, però, rideva sorpreso, vide dopo un istante. “Non sei molto abituata ad ascoltare i pettegolezzi, vero? Eliza è la sorella minore del mio migliore amico, ha un grande talento di cantante e una capacità di complicarsi la vita ancora più grande, e mi vede come un vecchio zio piuttosto noioso. E, in ogni caso, ha altri obbiettivi. Ora posso invitarti, angelo sospettoso?”
Anna accennò un sì e un sorriso, poi pose con arrendevolezza le mani nei palmi spalancati di quelle di James.

In strada, qualcuno intonava canti natalizi, incurante del traffico. Uno sguardo fantasioso avrebbe scorso, nel riflesso delle ghirlande contro i vetri, forme di personaggi mai esistiti se non nelle emozioni senza tempo di storie raccontate ancora e ancora.   

 FINE

L'AUTRICE DICE DI SE'... 
Sono nata a Genova nel 1974, e ho trascorso i primi due decenni della mia vita in questa città che adoro; oggi vivo in provincia di Alessandria, ad Arquata Scrivia. Attraverso questi due riferimenti geografici potrei riassumere molto di me, dato che amo l’arte, la storia, la possibilità di sorprendersi e di aprirsi all’incontro connaturati a una città di mare, e insieme la dimensione romantica, i ritmi lenti, la nebbia e le vicende sussurrate dei luoghi di campagna. Potrei dire che i tratti del mio carattere che più mi descrivono sono le molteplici curiosità e la capacità di entusiasmarmi.
Sono giornalista pubblicista, ho iniziato a scrivere articoli appena dopo la maturità classica, e alla cronaca sono seguiti temi d’arte e costume, recensioni, interviste, decorazione d’interni , e tanto cosiddetto “colore”. E poi, la narrativa: ho scritto molti racconti, romance e non, in parte apparsi su riviste come “Confidenze”, ho sperimentato anche toni gotici e qualche tinta forte. Ho pubblicato un libro su case e riti della villeggiatura belle epoque, “Sui passi dell’estate perduta”, il romanzo “Il diario segreto della Contessa”, ambientato tra il 1885 e il 1926 e ispirato a una donna realmente esistita, e un piccolo manuale su decorazioni e idee natalizie, “Non solo Tannenbaum”.
Se la lettura è la mia passione dominante, ad affiancarla citerei almeno il cinema, i mercatini dell’antiquariato,  il teatro, la poesia, i viaggi pieni di scoperte…magari anche a pochi passi da casa.

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16 commenti:

  1. Delicato, quasi una confidenza sussurrata ed estremamente emozionante. Personaggi discreti che lasciano intravedere la loro intensità anche in così poche righe. Mi auguro possa esserci un seguito perché è scritto davvero molto bene.

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  2. Poetico e magico, Un racconto fuori dal comune.

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  3. Suggestivo e romantico come la danza e la sua magia. Amo molto le ambientazioni di questo tipo, il mondo sensuale ed etereo della danza, e questo racconto si presta benissimo a diventare qualcosa di più ...

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  4. DAVVERO MOLTO... Suggestivo, Poetico, Spassoso, Sensuale e Romantico !!! Si dice che l' Arte e la Vita s' influenzino l' un l' altra : questo racconto non solo ne é la CONFERMA ma anche la loro PERFETTA FUSIONE !!! COMPLIMENTI VIVISSIMI ALL' AUTRICE

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  5. Non ci siamo cara Autrice, non si può chudere così un racconto.
    E adesso?
    Grazie;)
    Antonella_78

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  6. Non mi è piaciuto....mi dispiace

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  7. Un racconto delicato e poetico. Breve, ma aperto alla speranza. Brava Patrizia.
    Miriam Formenti

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  8. Interessante la scrittura melodiosa e poetica, certo un intero romanzo scritto così non oso immaginarlo. Il racconto parte bene, ma il finale improvviso e aperto lascia un po' deluse.

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  9. Grazie a tutte per l'attenzione e i commenti! Questo racconto è nato come un piccolo "schizzo a carboncino", ma non escludo di provare a farne qualcosa dal repiro più ampio e con sviluppi che dicano cosa combineranno questi due :) Vi ringrazio ancora, e vi auguro quanto di meglio attendete dal 2017 che bussa alla porta.
    Patrizia Ferrando

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  10. Ho molto apprezzato lo stile poetico e suggestivo dell'autrice e i richiami a Il Fantasma dell'Opera (libro che adoro), ma il racconto si chiude proprio sul nascere della storia d'amore, lasciandomi con un senso di insoddisfazione. Mi piacerebbe saperne di più.

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    1. Carino l'inizio,bella l'atmosfera del teatro, ma c'è poco spazio per i protagonisti e la storia in sè quasi non esiste, solo un accenno e poi ......la fine

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  11. Atmosfera magica e personaggi interessanti. Molto carino!

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  12. racconto molto poetico. mi piacciono molto le storie come questa in cui anche l'anima più semplice e sincera riesce a piacera alla persona che ama. un po' cortino, ma la storia è veramente molto dolce

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  13. Un racconto con un finale pieno di speranza. Anche questo ha un epilogo aperto. Starà al lettore immaginare la conclusione che, per me, sarà rosea e poetica. Grande Patrizia

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  14. Che bello!
    Per la prima volta mi piace un racconto che omaggi "il fantasma dell'opera", forse perchè rispecchia il mio amore per la storia, ne rispetta il fascino irraggiungibile dei personaggi, senza forzarli, né modificarli. Davvero affascinante!
    Sveva

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  15. Il racconto è molto artistico con il teatro, la danza e l'opera! Spero tanto che Anna e James trovino ognuno il cuore dell'altro!

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