A NATALE TUTTO E' POSSIBILE di Mariangela Camocardi


Zoe indugiò alcuni istanti sul portone quando scese in strada. Appendevano le luminarie per le festività di fine anno e sorrise notando che, invece delle solite girandole o arabeschi,  erano state scelte delle figure angeliche, con l’aureola e fluttuanti tuniche. Gli angeli erano perfettamente in carattere con il periodo dell’Avvento che si approssimava, e a lei era sempre piaciuto il periodo natalizio. La gente era più cordiale e ai bambini brillavano gli occhi davanti alle vetrine scintillante di luci dei negozi di giocattoli. Zoe aveva ancora la casa delle bambole, una serie di Barbie abbastanza mal ridotte, i pattini e altri giochi che aveva voluto conservare. La sua infanzia era costellata di Natali indimenticabili. Mamma era una giovane vedova e per Zoe, di anno in anno, aveva voluto rendere speciale quella ricorrenza che  riuniva le famiglie davanti a presepi e abeti addobbati. Se n’era andata presto anche lei, lasciando un vuoto che pulsava ancora di rimpianto.
Era riuscita a superare la tristezza dedicandosi ai personaggi di fantasia che animavano le fiabe che lei scriveva e illustrava da sé, inserendoli in mondi immaginari dove tutti erano felici e contenti. Pubblicare storie destinate ai  piccoli era un vero privilegio per Zoe. Non esisteva un lavoro più adatto e altrettanto appagante per la sua vena creativa. Certo, non  guadagnava cifre astronomiche ma per lei andava bene lo stesso. Le rinunce non le pesavano e preferiva una comoda tuta a un abito da sera. La invitavano con regolarità nelle scuole materne per raccontare ai bimbi le straordinarie avventure dei simpatici Ghirigori, gli gnomi di una serie che era particolarmente gradita ai ragazzini, ma anche l’unicorno Clovis era molto quotato dai ragazzini dell’asilo, talmente spontanei e traboccanti di energia che Zoe si congedava da loro con una bella scorta di buonumore.
Come sempre il visetto di Awad le saettò nella mente, e a Zoe sentì una stretta al cuore pensando a lui e a Uday.
Avrebbero potuto essere insieme, adesso, e invece...  

**
Era  in un asilo privato che aveva conosciuto Awad, un ragazzino di quattro anni dalla pelle color caffelatte e gli occhi scuri come la polvere di cacao, mobilissimi. Inizialmente lui l’aveva ignorata ma Zoe gli sorrideva ogni volta che incrociava il suo sguardo. La maestra le aveva confidato che era un bambino dal carattere chiuso e, oltretutto, sembrava nutrire un’estrema diffidenza verso gli estranei. I suoi compagni, al contrario, le si affollavano intorno non appena lei spuntava carica di libri da regalare loro alla fine della rappresentazione, battendo impazienti le manine quando accendeva  il computer per proiettare le immagini di fate, folletti e streghe che, sullo schermo del salone, davano vita a una favola animata. Lei aveva montato diversi video per divertire il suo pubblico, ma Awad si isolava di proposito continuando a disegnare  per conto suo. La direttrice dell’asilo, amica di Zoe, le aveva confidato che era il papà a occuparsi del figlioletto. Lia non avrebbe saputo dire se fosse divorziato o altro. Sui documenti il nome della madre non era menzionato e il padre del bambino, uomo ombroso quanto Awad, se non di più, oltre che scarsamente loquace, si era limitato a riferire che l’unico genitore era lui, senza spiegare perché.
Zoe non faceva alcuna fatica a coinvolgere i suoi spettatori nelle spassose peripezie di Clovis, il goffo puledro di unicorno che ambiva volare ma che non sapeva usare le ali e ne combinava di belle, mentre tentava di librarsi nel cielo. I bambini l’ascoltavano rapiti e non si perdevano una virgola su come Madama Aquila, Mister Falco e i Germani reali tentassero invano di insegnargli  un metodo per scorazzare nell’infinito, proprio come facevano loro, con un esito disastroso. La quarta o la quinta volta che Zoe si era presentata nella classe di Awad per proiettare un recente video di Clovis, a  un certo punto si era resa conto che lui si era avvicinato e, l’espressione concentrata, osservava  affascinato i salti all’insù e le buffissime capriole dell’impacciato unicorno. Una strana emozione si era impadronita di lei. Era contenta di essere riuscita a colpire la curiosità di quel ragazzino così poco disposto ad aprirsi agli altri. La sua maestra doveva aver pensato la medesima cosa perché appariva altrettanto piacevolmente stupita.
Da allora lei e Awad avevano fatto amicizia e Zoe aveva ammesso con se stessa di avere un debole per lui. Strappargli un sorriso la colmava di una gioiosa, intima soddisfazione, e benché fosse sempre stata estremamente  scrupolosa nell’approcciarsi in modo imparziale ai suoi giovanissimi amici, con Awad doveva trattenersi dall’abbracciarlo. Quando lui le aveva fatto omaggio di un coloratissimo disegno a pennarello che li ritraeva insieme su un prato verde punteggiato di fiori variopinti, si era commossa e gli aveva dato un bacio. Il lato materno di Zoe prendeva il sopravvento con Awad, e quello, ne era consapevole, la induceva ad agire quasi irrazionalmente nei riguardi di un cucciolo dal carattere introverso e affamato di tenerezza. Amava i bambini e non avendone di suoi, compensava quel bisogno stando il più possibile a contatto con quelli altrui. Avrebbe voluto averne almeno tre, come sognava dall’adolescenza, se il bilancio sentimentale non fosse stato un fallimento conclamato. Era esteticamente banale, con curve taglia small e un fondoschiena che difficilmente attirava l’ammirazione maschile. Aveva il fisico androgino ereditato dalla mamma, più che uno alla Marilyn Monroe, e in un mondo nel quale l’apparenza contava più della sostanza, le conquiste latitavano. Zoe non si era mai crucciata di non poter ambire al titolo di miss Universo e  tagliato il trentasettesimo traguardo da single, si era rassegnata al fatto che sul versante fidanzati, per ciò che la riguardava, scarseggiava la materia prima. Nessun spasimante avrebbe sgomitato per lei e l’unico vero rammarico era la mancanza di un figlio, questo sì. Aveva  riflettuto sulla fecondazione assistita, ovviamente, per poi scartare con decisione quell’opportunità. Era un’idealista e una romanticona vecchio stampo, di conseguenza il concepimento, per il suo modo di vedere la vita,  doveva essere qualcosa di naturale, creato cioè da un atto d’amore tra un uomo e una donna. Il desiderio di essere madre era destinato a restare inappagato, quindi, e il potenziale affettivo che lei aveva da offrire sarebbe rimasto inutilizzato in quel suo cuore che nessuno voleva.

**        
Un giorno Zoe era andata a sbattere addosso a qualcuno che procedeva in senso contrario.  Camminava a testa bassa e a passo veloce perché era in ritardo, carica di materiale, di borse colme di libri, e per giunta gli occhiali le erano scivolati sul naso. Svoltato l’angolo con l’impeto generato dalla fretta, l’impatto era stato inevitabile. Tutta la roba si era sparsa al suolo, compreso il contenuto della capiente tracolla appesa alla spalla, sbattendo contro un duro torace mascolino. Era piombata a terra con la grazia di un ippopotamo, spiaccicando con il sedere il barattolino di plastica con lo yogurt alle fragole che si era portata dietro per uno veloce spuntino. Alcuni schizzi erano finiti sulle scarpe del lui che aveva investito, e l’imbarazzo di Zoe era stato tale da gettarla nella più allibita costernazione. Aveva tirato su gli occhiali, incrociando un paio di occhi furibondi... i più neri che si potessero immaginare, aveva constatato, mentre le pulsazioni si facevano frenetiche sotto la T-shirt con l’effige di Clovis. 
Le scuse si erano bloccate in gola perché si era ingarbugliata la lingua, cosa che non le accadeva mai, mentre lo fissava sfacciatamente. Se fosse stata una di quelle romanziere bravissime a scrivere storie d’amore ambientate nell’oriente o nel Sahara, il protagonista sarebbe stato quell’incacchiato sconosciuto che la squadrava come se lei fosse l’insetto molesto che aveva osato pungerlo. Rappresentava l’eroe per eccellenza, quello dal fascino rude che faceva sognare ogni lettrice dotata di sani istinti emotivi, e non solo quelli. Sbandierava con noncuranza una faccia che trasudava erotismo, e persino a una come lei, imbranata come poche in quel particolare genere di cose, non era sfuggita l’intensità magnetica emanata da lui: la fulminea reazione dei suoi sensi ne era la prova.
La nota negativa era che probabilmente lo sconosciuto doveva considerarla una scema, o giù di lì, e non poteva onestamente dargli torto. Ostentava il  cipiglio di un fiero Tuareg che si degna di gettare un’occhiata a una nullità qualsiasi – e lei era il prototipo delle nullità -  determinato a riversarle nelle orecchie le sue urticanti rimostranze.
«Potrebbe magari guardare dove mette i piedi, che ne dice?» l’apostrofò infatti lui, ripulendosi i mocassini Timberland con un fazzoletto candido. Il sole aveva strappato riflessi ai suoi capelli corvini.
Dio, che meravigliosa voce! Calda, profonda, virile...  
«Ho un colloquio importante e guardi come mi ha ridotto le scarpe!» aveva aggiunto l’uomo in tono sostenuto. 
Zoe si era lasciata sfuggire un sospiro estasiato, indifferente ai suoi jeans impiastricciati e umidicci a causa dello yogurt.
«Be’, ha perso la lingua per caso?»
Che disastro, stava pensando lei, conscia di come doveva apparirgli priva di grazia e oppressa da una soverchiante umiliazione. Si era rialzata con uno sforzo, tentando di recuperare un contegno dignitoso e i kleenex per darsi una ripulita, tra la miriade di oggetti disseminati sul selciato in un disordine spaventoso. «Mi perdoni, la prego.»
«Mi ha macchiato anche i pantaloni, vede?» Infierì, seccato.
«Sono una vera sbadata e lei ha perfettamente ragione» il suo disagio si era decuplicato, mentre respingeva una ciocca di capelli castani che le copriva la visuale di quel superbo guerriero berbero, tutto muscoli, indignazione e fascino mascolino.
«Zoe, cos’è accaduto?» Interloquì  Paola, una delle maestre dell’asilo che  erano in sua attesa, sbucando in quel momento dall’ingresso.
«Mi ha investito in pieno come un caterpillar» la informò scocciato l’uomo, lanciando a Zoe un’ulteriore occhiata ostile.
«Santo cielo, cara, lascia che ti aiuti!» chiaramente intenzionata a darle una mano, l’altra si era piegata a raccattare il portafogli, un mazzo di chiavi, l’agenda e una sportina di stoffa che Zoe usava per la spesa. «A proposito, Zoe, questo signore è Uday Al Kharat, il papà di Awad.»
«Oh, davvero?» aveva farfugliato lei, arrossendo.
«Che cos’ha mio figlio?» Incurante di Zoe, lui si era rivolto direttamente alla maestra.
«Solo qualche linea di febbre, non si allarmi» lo aveva rassicurato Paola, porgendo a Zoe un ombrellino da borsetta.
«Lo porto immediatamente a casa» era stata la sua replica sbrigativa.
«Sì, sarebbe opportuno.»
Senza aggiungere altro, lui si era diretto all’entrata dell’edificio, sparendo al di là della porta a vetri.
«Mi spiace di averlo urtato» Zoe aveva scosso il capo frustrata, riponendo dentro la tracolla la pochette con i trucchi.
«Mica l’hai fatto apposta, no?»
«No, ma sono lo stesso rammaricata. Quello yogurt spiaccicato... qualcuno può pulire qua fuori, Paola?»
«Ci penso io, non preoccuparti.  Buon Dio, Zoe, Mary Poppins in confronto a  te è una dilettante in fatto di borse.»
«Sono tutte cose che mi servono e delle quali non posso fare a meno. Dici che devo cospargermi il capo di cenere con il padre di Awad? Dopotutto gli ho sporcato scarpe e calzoni con la mia sbadataggine.»   
«Abitualmente è un tipo ragionevole e non capisco come mai con te è stato così scorbutico. Comunque non devi badare alla sua reazione.» 
Il tipo scorbutico era ricomparso proprio allora, con Awad appeso al collo e il viso ancora corrucciato. Scorgendo Zoe, il bambino le aveva sorriso con la solita spontaneità.
«Awad, mi dispiace che non stai bene» lei aveva accompagnato le parole con una carezza.
«La maestra Anto dice che ho una copistazione e che devo infilarmi subito a letto.»
«Vuoi dire costipazione, tesoro?»
«Sì, quella, ma volevo aspettarti... verrai ancora all’asilo a raccontare la storia di Clovis, eh, Zoe?»
«Certamente, ora pensa a guarire.»
Uday si era congedato con un brusco cenno di saluto a entrambe e poi, stringendo in maniera possessiva Awad, si era allontanato a lunghi passi per raggiungere il posteggio adiacente all’asilo.

**     
In modo del tutto imprevisto lui e Zoe si erano rivisti circa un mese dopo. Il cuore che faceva una capriola, lei si era bloccata a metà del vialetto che serpeggiava a lato del verdissimo parco giochi della scuola. La primavera intiepidiva l’aria e, approssimandosi l’orario di uscita dei bambini, aveva da poco concluso uno dei suoi affollati appuntamenti raccontafavole. C’era anche Awad, che aveva confermato la propria predilezione per Clovis. Zoe gli aveva regalato dei libri illustrati con le avventure dell’unicorno e lui l’aveva abbracciata di slancio, felice di aver ricevuto quel dono.
«Ci rivediamo di nuovo, signor Al Kharat.» Lo aveva salutato d’impulso lei, guardandolo dritto negli occhi.   
«Già, e voglio approfittarne per scusarmi. Sono stato poco gentile nei suoi riguardi, la
volta scorsa» aveva esordito lui serio.
«Non importa.»
«Invece sì. Non è stato un gesto intenzionale e sono cose che possono succedere e reagire villanamente... be’, ero in ansia per mio figlio e anche per un colloquio di lavoro che mi premeva.»
«La prego, non deve giustificarsi, la colpa è stata mia.»
«Ammettendolo, è stato imperdonabile essere sgarbati con una signora solo perché era distratta, oltre che di corsa.»
«Signorina.»
«Mi perdoni, signorina, la pazienza non è il mio forte, temo.»
Lei non riusciva a distogliere lo sguardo da Uday. Possedeva l’aura un po’ selvaggia tipica degli uomini del deserto e si domandò perché la sua presenza la scombussolasse a quel modo. Uday Al Kharat esercitava sulla sua emotività un inspiegabile ascendente. O forse si trattava di altro... Zoe non avrebbe saputo dire che diamine le capitasse, ma qualunque cosa fosse, aveva effetti incontrollabili su di lei.
«Non avrei dovuto mostrarmi così scortese» ribadì Uday. 
«Vogliamo chiudere l’incidente, signor Al Kharat, che ne dice?»
«Dico semplicemente sì» l’uomo ebbe un accenno di sorriso che rivelò una fila di denti bianchi e forti. Le tese la mano. «Se ricorda, mi chiamo Uday e il suo nome lo conosco a memoria. Awad parla così spesso di lei, Zoe, e delle belle fiabe che racconta all’asilo, che mi sembra di conoscerla meglio di quando lei conosca me.»
Lei avvampò. «Awad è un amore e sono molto affezionata a lui.»
«Be’, è reciproco, se ne sarà accorta. Comincio a essere geloso.»
Zoe sentiva le guance scottare. «E a me parla in continuazione del suo papà e di come giocate a pallone nel tempo libero.»
«Sul serio?»
«Può scommetterci!»
Lui aveva fatto un cenno di approvazione, prima di aggiungere in tono esitante: «Zoe, verrebbe alla festa di compleanno di Awad, tra un paio di settimane? Non abbiamo un gran numero di amici, in questa città, e lui sarà felice di avere accanto la sua amica cantastorie.»
«Cantastorie?»
«Questo soprannome gliel’ho dato io» aveva puntualizzato. «Se accetta gli faremo una bella sorpresa. Vuole venire da noi?»
«Più che volentieri, Uday.»
L’entusiasmo di Zoe aveva accentuato il sorriso di lui, aprendo due fossette
irresistibili sulle guance scarne di quello che per lei era un principe Tuareg sotto mentite spoglie. Il contatto con le sue dita la fece fremere al punto da dubitare che Uday se ne avvedesse, mentre assorbiva il calore trasmesso dall’asciutta pressione della sua mano. Sembrava che quella loro stretta non dovesse finire mai. Le girava la testa e si domandava come sarebbe stato essere baciata da un uomo dotato di un tale carisma. Solo fissargli le labbra evocava in lei voluttuose visioni di loro due abbracciati, le bocche fuse in un susseguirsi di baci ardenti che pian piano accendevano i sensi.
Con lui l’atmosfera da mille e una notte sarebbe potuta diventare una realtà dai contorni magici, pensò vagamente.  

**
Si erano rivisti anche dopo il compleanno di Awad. La festa era riuscita benissimo e il bambino si era vantato con i compagni di avere un’amica cosi in gamba a fare l’animatrice e a intrattenere i suoi ospiti. Quando Zoe si era congedata, Awad si era fatto promettere che si sarebbe recata con lui e il suo papà in pizzeria, il sabato successivo, e così era stato. Poi si erano divertiti al cinema per tre venerdì di fila, e la terza sera, quando erano usciti dalla multisala, Uday le aveva chiesto di salire da lui. Abitava in zona Montenapoleone in un bel palazzo d’epoca, e l’appartamento, non grande ma accogliente, era molto funzionale. Solo dopo aver messo a letto il figlio Uday si era aperto alle confidenze.
Era nato a Londra ma la famiglia era originaria del Cairo. Il bisnonno era stato veramente un capo tribù Tuareg e lui era orgoglioso delle sue radici. Uday e Fatima, la
madre di Awad, si erano imbattuti uno nell’altra a un ricevimento dell’ambasciata egiziana e tra loro c’era stato il classico colpo di fulmine. Avevano convissuto per un certo periodo, finché lei non si era accorta di aspettare un figlio. Fatima non aveva esultato e avrebbe voluto abortire, ma Uday si era opposto, persuadendola a portare a termine la gravidanza. Era una top model all’apice della carriera e al ruolo di madre  preferiva il successo e le copertine delle riviste più alla moda. Dopo essersi lasciati lei si era trasferita a New York  per frequentare l’Actors Studio e diventare un’attrice. Era più che mai concentrata su se stessa e sulle proprie potenzialità e Awad era come se non esistesse, aveva concluso Uday con amarezza. Lui si occupava del bambino da che era in fasce, rubando ogni minuto al suo lavoro di manager di una multinazionale che produceva fibre ottiche. Dopo l’asilo c’era una  baby sitter efficiente e affidabile che badava al piccolo dall’ora di merenda fino al suo rientro dall’ufficio, ma era chiaro che Awad era penalizzato dall’assenza di una figura femminile che vivesse con loro in maniera stabile, riservandogli quell’amore e quelle attenzioni che tutti nell’infanzia vorrebbero. 
«Mi spiace» Zoe non sapeva cosa dirgli di confortante, e dopotutto non era stato affatto necessario perché Uday, dopo quello sfogo liberatorio, l’aveva fissata con un’intensità capace di farla tremare di emozione, mentre la spingeva contro i cuscini del divano su cui sedevano.
«Perché mi guardi così?» aveva farfugliato con la gola contratta, sopraffatta dalla quella stretta, intima vicinanza con il corpo di lui.
Anziché rispondere, Uday era stato più esplicito e finalmente si era chinato a baciarla. Lei non aveva capito più niente.

**   
Ecco, tra loro era cominciata così, un po’ formalmente alle prime battute, poi il rapporto era sfociato in quella familiarità che aveva a che fare con i sogni impossibili che di colpo diventano una fantastica concretezza. Zoe non chiedeva nient’altro al destino, se non assaporare l’immensa felicità che coronava aspirazioni soltanto vagheggiate, prima di innamorarsi del suo guerriero Tuareg dal nome esotico e degno di essere il protagonista di un romanzo in cui la passione sbocciava in ogni pagina.
 Perché abbandonarsi tra le braccia di Uday significava perdersi nei sensi e ritrovarsi nel piacere assoluto. 

**
L’incantesimo si era spezzato la sera in cui Zoe aveva comunicato a Uday che sarebbe uscita a cena con un ex compagno di università che risiedeva in Canada, e che era di passaggio a Milano.
Sfoderando un’offensiva perentorietà mai riscontrata in precedenza, lui le aveva proibito di accettare l’invito.
 Lei gli aveva risposto che invece sì, ci sarebbe andata, e che non era una schiava ai suoi ordini. Diamine, cosa c’era di peccaminoso a trascorrere una serata con un amico cui voleva bene come a un fratello?
Uday le aveva allora posto un aut-aut: «Se mi disobbedisci tra noi è finita, ti avverto. L’unico uomo nella vita della donna che amo devo essere io, e non accetto discussioni.»
«Non sei il mio padrone! Le tue imposizioni sono ingiuste e anacronistiche, e non mi piegherò alla volontà di chi non rispetta la mia autonomia.»
«Allora addio, Zoe.»
«Addio, se è quello che vuoi» lei non gli aveva mostrato fino a che punto Uday  l’avesse ferita. «È evidente che non mi hai mai realmente amata per comportarti così con me.»
«Neppure tu, se è per questo» era stata la gelida replica di lui.

**
I mesi seguiti alla rottura della loro relazione erano stati orribile per lei. Uday aveva ritirato Awad dalla scuola materna, partendo per chissà quale destinazione e senza lasciarle neppure un biglietto di commiato. Era stato un sogno breve e aleatorio, quello con Uday. Una bolla di sapone esplosa nell’attimo in cui aveva creduto di poterla afferrare. Perciò la prospettiva delle imminenti festività era deprimente, pensò Zoe, spezzando il filo di quei pensieri. Il Natale da soli non era il massimo della vita, si disse ancora, costeggiando il Naviglio con il cuore pesante come piombo. Awad e i suoi irruenti abbracci le mancavano terribilmente, e Uday, quel suo selvaggio principe Tuareg, anche di più. Respirò a fondo l’aria densa di foschia in cui aleggiava un sentore di pioggia in arrivo e l’umido afrore di foglie ormai avvizzite che caratterizza l’avanzato autunno.
Non avrebbe fatto neppure l’albero, giurò a se stessa prima di varcare le porte scorrevoli del supermercato.

**                 
Che accidenti ci faceva davanti alla casa di lei l’antivigilia di Natale, sotto un cielo greve di nuvoloni che minacciavano una fitta nevicata? Minuscoli fiocchi ghiacciati volteggiavano leggeri nell’aria, scompigliati da un gelido vento di tramontana che oltre a sferzargli la faccia, lo faceva rabbrividire di freddo e di apprensione. Come biasimare Zoe se lo mandava all’inferno? Si era comportato da stronzo e durante quei mesi i suoi cavillosi pretesti per averla lasciata erano entrati in conflitto con uno struggente bisogno di lei, una donna dalla figura esile come quella di un elfo e un cuore enorme. Zoe era straordinaria nel darsi agli altri, e a lui piacevano le persone fatte capaci  di distinguersi per i loro slanci altruistici... quelli che scaturiscono dal cuore e che non celano secondi fini. Fatima lo aveva trasformato in un individuo sospettoso, egoista, meschino e soprattutto ingiusto. Il livore si era riversato su qualcuno che non c’entrava nulla con il conto in sospeso che aveva verso la madre di Awad. Fatima era volubile, egocentrica e calcolatrice e non le importava altro che di se stessa.
Zoe era di tutt’altra pasta e persino suo figlio, un bambino di pochi anni, lo aveva compreso, attaccandosi profondamente a lei. Nonostante il debito di gratitudine per la ritrovata serenità di Awad, lui aveva ripagato Zoe con una dichiarazione di sfiducia che niente poteva giustificare. Uday ammise che era stata la paura di perderla a spingerlo a reagire così, poi alla distanza si era sentito un imbecille che non aveva saputo apprezzare i disinteressati sentimenti di lei, calpestando le sue legittime esigenze. Furioso e risentito, non aveva saputo fare altro che dirle addio, da quel presuntuoso che era. Ma l’amava, se questo poteva rappresentare un alibi, e non voleva dividerla con nessuno quello scricciolo di donna.
Adesso era lì per tentare di farsi perdonare da lei.
Awad gli aveva consegnato una lettera da spedire a Babbo Natale e Uday l’aveva letta, ovviamente: lui rinunciava ai giocattoli e ai dolci, purché gli fosse concessa una mamma come Zoe, a cui voleva già tantissimo bene. Le parole del figlio avevano scatenato in Uday una lancinante nostalgia di lei, acuendo il tormento di un uomo troppo intransigente per meritare di essere felice con una compagna alla quale aveva negato il rispetto dovuto.
Perché diavolo doveva privare suo figlio e se stesso della presenza di Zoe, quando la sorte era stata così generosa da far incrociare le loro esistenze?
 Ma davvero poteva vivere senza di lei solo per appagare il suo orgoglio di maschio che vuole spadroneggiare?
All’inferno l’amor proprio! Era stato crudele con Awad e con Zoe, e forse era perfino tardi per rimediare alla sua idiozia, ma era lì per riprendersela, possibilmente. L’amava e affrontare la vita senza di lei, lo sgomentava fino al panico.
«Uday, che ci fai qui?»
Lui trasalì, udendo la voce stupita di Zoe. La fissò ammutolito. Anche lei lo guardava incredula. Fiocchi di neve scintillavano come diamanti tra i suoi morbidi capelli castani, e nei luminosi occhi verdi si era accesa la speranza.  «Sono il messaggero di un moccioso che ti vuole un bene dell’anima, e che sotto l’albero vorrebbe trovare una mamma meravigliosa come te.»
«Come sta Awad?»
«Sta benissimo, e tutti e due, se sei disposta a perdonare il somaro che ti sta davanti, vorremmo allargare la famiglia, se tu sei d’accordo. Ti prometto solennemente di tenere a freno la gelosia e che potrai incontrare tutti gli amici che vuoi.»
«Uday...»
«Sono un uomo di parola, Zoe.» 
Il viso di lei si distese in un’espressione dolcissima. «Be’, Uday, a Natale il perdono è d’obbligo, dovresti saperlo.»
«E mi sposerai, anche?»
Il sorriso innamorato di Zoe, mentre annuiva sullo sfondo delle luminarie natalizie, sembrò a Uday il regalo più bello che avesse mai ricevuto.      

 FINE

CHI E' L'AUTRICE
Mariangela Camocardi è nata a Verbania nell’immediato dopoguerra e ha sempre vissuto nella sua bella e amata Intra. Decide di cimentarsi nella scrittura, che rappresenta una sua grande passione, quando resta priva di occupazione a causa della grave crisi industriale che colpisce l’alto novarese nel 1983. “Nina del tricolore” è il primo romanzo che firma e che invia alla Mondadori. La pubblicazione avviene nel giugno del 1986. Da allora ha dato alle stampe  circa 50 tra romanzi e racconti spaziando dal genere storico all’horror, women’s fiction e steampunk, favole e commedia romanticaTra i suoi titoli più apprezzati, Tempesta d’amore, Sogni di vetro,Talismano della dea, La vita che ho sognato, Lo scorpione d’oro, Ciribalà, Un segreto tra noi. L’autrice è stata direttore della rivista Romance Magazine.

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19 commenti:

  1. Penso che questo racconto sia una buona base di partenza per un romanzo bellissimo, davvero molto intenso ed emozionante. Ma così come è, in così poche righe, mi dispiace ma non riesco davvero ad apprezzarlo.

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  2. Breve ma dolce dolce dolce.
    Grazie. auguri
    Antonella_78

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  3. DAVVERO MOLTO SUGGESTIVO E ROMANTICISSIMO !!!! Mariangela Camocardi non s' é smentita nemmeno in questa circostanza !!!!

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  4. Un'autrice che credo di avere conosciuto qui tramite "La Mia Biblioteca Romantica"e anche mia concittadina essendo anche io nativa di Intra.Un bel racconto che mette in evidenza le differenze di mentalità con un tema attuale ma che unisce due corpi uguali, che si amano. Grazie Mariangela mi è piaciuto molto,davvero romantico.

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  5. Grazie per questa lettura piacevole. Simbolico il bambino che induce i due innamorati a fare la pace, proprio nel periodo Natalizio.

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  6. Un racconto molto carino sarebbe stato anche un bel libro!!!!

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  7. Una lettura molto carina che mi ha intenerita e fatta sospirare, solo che è finita troppo presto!

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  8. Un racconto molto carino. Brava Mariangela.

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  9. Una bella storia. Da' una speranza all'umanità.

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  10. Una storia romantica proprio adatta al clima natalizio che dovrebbe essere un periodo di pace, serenità e ritrovata armonia. Almeno sulla carta possiamo sognare ...

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  11. io mi tiro un po' fuori dai commenti precedenti.
    il racconto non è male, ma mi ha coinvolto poco,
    l'ho trovato un po' freddo dal punto di vista del romanticismo. mi ha dato la sensazione che lui ritorni da lei solo per via del figlio non perchè veramente innamorato di questa ragazza. a parte questo, complimenti comunque all'autrice, perchè chi si mette in gioco, vince sempre

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  12. Nel complesso mi è piaciuto, ma sul finale avrei voluto maggiore coinvolgimento, ho percepito una certa freddezza.. In ogni caso faccio i miei complimenti a Mariangela che ho già avuto modo di apprezzare in altri suoi scritti <3

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  13. A me è piaciuto molto soprattutto perchè parla di due vere solitudini che s'incontrano e si riconoscono e che guardano oltre le apparenze.

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  14. Un bel racconto. C'è un po' di tutto. Lui è da padellate, il bambino un tesoro e lei, nonostante i suoi sentimenti e il suo essere minuta, sa ben farsi valere.
    Brava come sempre Mariangela.

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  15. RACCONTO TENERO E MOLTO BELLO.LA SCRITTRICE HA NARRATO UNA STORIA PROPRIO ADATTA ALLE FESTE DI NATALE.ELISABETTA

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  16. Bel racconto anche se avrei menato lui! Però Zoe capisce e lo perdona.... anche il bambino è stato un bel personaggio, un pochino cupido della situazione che fa rinsavire il genitore!

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  17. Carino, ma un po' troppo veloce. Sarebbe stato ideale come romanzo e/o novella.

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  18. Un racconto dolcissimo dove la brevità non toglie niente alla caratterizzazione dei personaggi.

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  19. Il racconto è molto carino, veramente "natalizio". Ho avuto modo di apprezzare altre opere dell'autrice che, anche in un breve racconto, sa rendere bene personaggi ed atmosfere.

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