GLI ALTRI ROSSOFUOCO: 'CUORE DI PLASTICA' di Deborah Desire




1
Era ora di chiudere, l’ultimo cliente aveva messo soddisfatto gli acquisti nel sacchetto. Un’altra mezz’ora ancora e poi tutti i commessi avrebbero sistemato i propri reparti. Si sarebbero spente le luci, sarebbe stato inserito l’allarme e finalmente il silenzio avrebbe regnato sovrano. Tutto sarebbe stato muto e silenzioso fino all’indomani mattina, quando si sarebbero riaperti i battenti e sarebbe cominciata una nuova giornata frenetica.
Ora la calma, per molte ore, sarebbe stata turbata solo dal passaggio del vigilante con la sua torcia.
Etienne sapeva esattamente quando la luce della pila lo avrebbe inquadrato di sfuggita, senza notarlo, poi la guardia notturna non sarebbe più passata nella sua zona fino alla mezz’ora che precedeva l’alba.
Pierre era fin troppo metodico, non aveva mai cambiato in quegli anni una virgola del suo giro notturno.
Per fortuna che l’edificio era ben protetto, altrimenti per un ladro sarebbe stato anche troppo facile superare il controllo di Pierre.
Com’era facile per lui.
Ogni singola notte, dopo il passaggio del sorvegliante, usciva a compiere il proprio dovere.
Parigi di notte era bellissima, sfavillante di vita, ma purtroppo anche di non vita.
Ed era proprio a questa che Etienne dava la caccia. Vampiri, demoni, licantropi ne popolavano le strade al calar della sera, muovendosi fra gli ignari umani alla ricerca del prossimo pasto. Non era compito suo combatterli, esistevano altri cacciatori per loro.
Lui era specializzato nei Loigul, esseri eterni che si nutrivano dei sogni delle persone. Le loro vittime rimanevano in coma per mesi, per poi risvegliarsi e rendersi conto che non avevano più nessuna aspettativa nella vita. Nessun sogno da inseguire, nessun desiderio da realizzare. Niente. La maggior parte di loro si toglieva la vita nel giro di pochi giorni.
Pierre era appena passato oltre quando il Respiro della Vita gli fece dilatare i polmoni.
Era una sensazione dolorosa rivivere ogni notte solo per poche ore. Un periodo ristretto di tempo in cui si costringeva a non pensare al passato, per essere letale ed efficiente e portare a termine il proprio compito.
Prese un grosso respiro inebriandosi dell’ossigeno che arrivava al cervello. Iniziò a muovere le giunture bloccate dalla forzata immobilità durata un giorno. Saltò giù dalla pedana dove era esposto allo sguardo della gente, cominciando ad aggirarsi tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa per cambiarsi. Non si teneva mai addosso ciò che Sophie gli aveva messo a inizio giornata perché durante la notte non voleva avere niente a che fare con quello che era costretto a essere di giorno.
Mentre s’infilava un dolcevita nero, la sua mente corse alle sensazioni che ogni mattino gli davano le mani tenere e delicate che lo maneggiavano procurandogli brividi lungo il corpo. Piccole scosse elettriche che rimanevano intrappolate nel profondo del suo corpo di plastica.
Ogni giorno Sophie lo smontava per cambiargli i vestiti. Senza mai guardarlo sul serio, gli sfilava le mani dai polsi per infilargli in modo più agevole la maglia. Le dita correvano veloci sul suo corpo, senza immaginare la tempesta di emozioni che provocavano. Perché Etienne, nel corpo statico di un manichino dei grandi magazzini durante il giorno, leggeva i pensieri della gente che lo circondava, recepiva tutto ed era questo il lato peggiore della sua condizione.
Guardingo si avvicinò alla porta d’uscita, era allarmata, ma lui sapeva che bastava un pensiero per annullare l’antifurto e permettergli di sgusciare oltre di essa rientrando nel mondo delle creature viventi.
Quella notte aveva una meta precisa, anche se era consapevole che non era proprio una buon’idea.
I pensieri di Sophie l’avevano tormentato per tutto il giorno. Lei la sera avrebbe avuto un provino al Moulin Rouge, il suo più grande desiderio era far parte del corpo di ballo di quel celebre club. La giovane sapeva che quello sarebbe stato il suo mondo, se solo fosse riuscita a cogliere l’occasione che aveva faticato per ottenere.
L’emozione che Etienne aveva percepito fin dal mattino in lei, mentre lo rigirava per vestirlo, era stata tale da metterlo subito in tensione.
La zona del Moulin Rouge era battuta dal capo dei Loigul, Abryct.
Un desiderio così forte sarebbe stato di sicuro percepito all'istante. La vita di Sophie sarebbe stata in pericolo più del solito quella notte.
Raggiunse in fretta quello che sarebbe stato il suo punto di osservazione per la serata, sperando che nessuna creatura della notte percepisse la sua presenza. Non avrebbe lavorato, se non fosse stato necessario. L’uccisione di una creatura avrebbe palesato la sua presenza in quella zona che gli era stata interdetta. L’unica area di Parigi che gli era proibita perché ci operava il suo gemello, Abryct.
Acquattato in attesa, ripensò all’ultima volta che aveva visto suo fratello. Solo l’intervento della loro madre aveva evitato la sua morte tramutandola nella maledizione cui ora doveva sottostare.
Etienne era sempre stato contrario al comportamento del fratello. Quest’ultimo non faceva distinzioni nel nutrirsi degli umani. Qualunque desiderio per lui andava bene e più forte era la brama che l’umano aveva più era contento.
Abryct aveva passato il segno quando si era nutrito del desiderio di una bimba. La piccola era ferma davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli, il suo sguardo era incantato di fronte a una bambola. Gli occhioni blu erano spalancati di desiderio, le treccine bionde ai lati del viso, la boccuccia rosa aperta in un O di meraviglia.
Etienne aveva intercettato lo sguardo di Abryct troppo tardi, stava già prosciugando la piccola, gli occhi della bambina avevano già iniziato a diventare vacui quando con una spallata aveva cercato di distrarre il gemello. Questi era saltato addosso a Etienne in preda alla furia perché il fratello aveva osato mettersi in mezzo fra lui e quel nutrimento prelibato, lui non aveva cercato di difendersi, la mano che gli aveva stretto la gola era stata forte e spietata. Molto più di Etienne, poiché il gemello si nutriva spesso di desideri innocenti.
Etienne, quando ormai aveva pensato che fosse arrivata la sua fine, aveva sentito la madre che patteggiava per la sua vita. Alla fine lei era riuscita a convincere Abryct a rinunciare all’idea di ucciderlo, a patto che non si fosse mai più fatto vedere nella sua zona e che la madre lo bloccasse in un manichino durante il giorno, lasciandolo libero solo poche ore di notte per nutrirsi. La crudeltà del fratello era ben conosciuta da Etienne, non era la prima volta che ne faceva le spese. Più di una volta si era chiesto come potessero essere gemelli, a parte l’aspetto non potevano essere più diversi, avevano sempre faticato ad andare d’accordo e ora entrambi avevano rinunciato a provarci.
Etienne allora aveva fatto una promessa a se stesso, non si sarebbe più nutrito degli umani, ma avrebbe cacciato la sua stessa gente, i Loigul appunto, cibandosi dei desideri che questi avevano immagazzinato.
Non aveva mai infranto le regole, per lo meno fino a quella notte. Sapeva che non era una buona idea sfidare la sorte, ma non poteva nemmeno permettere che Sophie finisse fra le grinfie di Abryct.
Dal punto in cui si era nascosto, vedeva l’entrata del locale. Non aveva visto Sophie, ma c’era la probabilità che fosse entrata prima che lui arrivasse.
Era tardi e, stanco di aspettare, stava pensando di farsi un giro per rimediare da mangiare, quando la porta del club si aprì e ne uscì proprio lei.
La zaffata dell’emozione che la giovane provava fu come un pugno nello stomaco. Poteva percepirne l’aroma dolce ma pungente, di cannella e zenzero, l’intensità era così forte che gli fece venire le vertigini. La fame gli diceva di attingere a piene mani da quella fonte gioiosa.
La ragazza aveva avuto la parte, poteva leggere nella sua mente il desiderio di sfondare e diventare qualcuno.
Le mani strette a pugno, le unghie conficcate nei palmi nello sforzo di starle lontano per non rischiare di essere proprio lui a saziarsi dei suoi desideri.
Percepì la fame di un suo simile e non certo con i suoi scrupoli.
Non attese che il Loigul si avvicinasse a Sophie.
«Seton.» chiamò, lo aveva riconosciuto subito, era uno dei tirapiedi del fratello.
«Etienne? Le ore che hai di vita ti sono troppe?» lo aveva apostrofato l’altro, già sentiva il potere di Seton premergli addosso per ucciderlo, ma stranamente dal momento della maledizione Etienne aveva scoperto di aver acquisito molta più forza rispetto ai suoi simili. Bloccò subito con la potenza della mente il Loigul risucchiando la forza vitale che questo aveva raccolto da altre vittime.
Mentre gli occhi di Seton perdevano intensità, guardò oltre la sua spalla e si accorse che Sophie li aveva notati, anzi stava fissando proprio lui.
Etienne le lesse nel pensiero. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma aveva l’intenzione di chiamare la polizia. E lui non poteva proprio permetterglielo. Ci mancava solo che lo arrestassero, così in cella la mattina dopo avrebbero trovato un manichino al suo posto!
Lasciò all’istante Seton, che se la diede a gambe levate verso il vicolo da cui era venuto.
Sophie sostenne il suo sguardo rimanendo immobile sulla soglia del Moulin Rouge. Ora che l’altro se n’era andato, era indecisa se mettere in pratica l’idea di chiamare aiuto.
«Ti prego, non lo fare.» la voce profonda e suadente apparteneva al più bel ragazzo che le fosse mai capitato di incontrare.
Jeans scuri fasciavano lunghe gambe che la stavano per raggiungere, un dolcevita nero delineava ogni muscolo che lui stava usando per allungare una mano verso di lei. Il suo palmo era rivolto verso l'alto a chiederle di consegnargli il telefono.
Due occhi verdi con lunghe ciglia scure e capelli castani oltre le spalle completavano l’insieme.
La parte razionale di Sophie le urlava di fare subito dietrofront e raggiungere l’interno del locale il più in fretta possibile. Altre parti del suo corpo, invase da un languore e da un fiotto di calda umidità, le ordinavano di lasciare che lo sconosciuto si avvicinasse quel tanto che bastava per poterlo toccare.
A dire il vero toccare non era esattamente il verbo che la parte inferiore del suo corpo avrebbe scelto.
«E perché non dovrei? Mi sembri addirittura più pericoloso dell’altro.»
Ora che Etienne aveva accorciato le distanze fino a sfiorarla, il profumo di cannella e zenzero era così intenso che poteva percepirlo sulla bocca. Inconsapevolmente si leccò le labbra con la punta della lingua socchiudendo gli occhi quasi in preda al piacere.
«Fidati, di me non devi aver paura.»
«Se lo dici tu.» la voce della ragazza voleva essere scettica, ma Etienne avvertì la paura in essa. L’ultima cosa che voleva era spaventarla, anche se una parte di lui pensava che fosse la cosa giusta. Se lo avesse temuto, lei gli sarebbe stata distante e sarebbe stata al sicuro dalla sua fame.
Gli occhi verdi alzarono subito la mira e si fissarono oltre la testa di Sophie. «Scusami.»
La scossa elettrica che percepì Etienne quando sfiorò le calde dita della giovane nel prendere il cellulare gli evocò situazioni in cui sarebbe stata sotto il suo peso, le gambe ben spalancate e quelle dita che si conficcavano nella sua schiena mentre lui la faceva gemere di piacere.
Oddio, da quanto era che non stringeva una donna?
Se solo avesse potuto…
Si costrinse ad allontanarsi da lei, ma non riuscì a fermare la propria mano che già si era alzata ad accarezzare la sua gota infuocata.
«Ti chiamo un taxi, tranquilla pago io la corsa.» Non era quello che avrebbe voluto dirle.
«Ti rivedrò?» chiese Sophie.
Se avesse potuto, avrebbe gridato che lei lo rivedeva ogni giorno, senza mai vederlo sul serio. Le avrebbe detto dell’angoscia mista a struggente desiderio che provava ogni qualvolta lei lo manipolava per cambiargli i vestiti da esporre in vetrina. Del dolore che percepiva quando il suo sguardo gli si posava addosso solo per aggiustargli meglio gli abiti.
Ma non poteva.
Le aprì la portiera del taxi che nel frattempo era arrivato e sorrise scacciando quei pensieri tormentati. «Forse.» Si chinò a sussurrarle quella parola sibillina all’orecchio e si sentì ricompensato dal fremito che avvertì in lei al proprio respiro caldo che le sfiorava la pelle sensibile. Le mani di Sophie s’infilarono fra i suoi capelli come dotate di vita propria mentre il viso si girava per intercettare le labbra che le avevano solleticato l’orecchio.
Etienne sentì chiaramente il suo sospiro di disappunto quando si sciolse con gentilezza dalle dita che volevano trattenerlo. Suo malgrado sorrise e per un attimo pensò di cedere al desiderio e sedersi sul sedile affianco alla ragazza. Se solo fosse stato sicuro di riuscire a limitarsi a fare conoscenza alla maniera umana, lo avrebbe fatto. Ma la fame che pulsava in fondo alla gola non aveva dimenticato quel profumo di cannella e zenzero, non poteva permettersi di rischiare. Non con lei.
Richiuse lo sportello dopo aver invitato il tassista a partire. Rimase a guardare l’auto allontanarsi sperando di averle fatto provare almeno un po’ del desiderio insoddisfatto che le sue mani ogni giorno accendevano sul suo corpo di plastica.

2
«Davvero, Marie, se avessi seguito il mio istinto, gli sarei saltata addosso e me lo sarei fatto lì sul marciapiede.»
Lei e Sophie stavano scegliendo gli abiti da far indossare ai manichini per la nuova giornata. Aveva raccontato subito all’amica l’esito del provino della sera prima, ma era più eccitata a narrarle  quello che era successo dopo, fuori dal club. L’incontro con lo sconosciuto dagli occhi verdi.
«Ma dai, Sophie, non ti ci vedo proprio a violentare un ragazzo, per strada per giunta. Se sei così timida che, quando Simon ti si avvicina, ti nascondi dietro i manichini.» Marie la stava prendendo in giro di proposito.
Simon era uno dei commessi del reparto articoli sportivi, loro due erano concorde che Thérèse, il capo del personale, avesse dato pieno sfogo al suo lato perfido quando l’aveva assegnato proprio a quel posto. Il ragazzo raggiungeva a fatica il metro e sessanta, magro come un chiodo, due spalle strette ed esili, occhiali da vista. Come se non bastasse, soffriva pure di una balbuzie provocata dallo stress e al lavoro era sempre sotto tensione perché il suo reparto era frequentato da clienti superpalestrati che lo consideravano alla stregua di uno scarafaggio.
Sophie si mise a ridacchiare.
«Che strano.» mormorò all’improvviso. Socchiuse gli occhi guardando meglio il manichino che stava sistemando.
«Cosa è strano?» le chiese Marie mentre infilava una maglia rosa confetto al suo, che era di sesso femminile.
«Questo manichino, ha un dolcevita nero uguale a quello del ragazzo di ieri sera. Io mi ricordavo di avergli infilato un maglione azzurro ieri mattina.»
«Mah, avrai un ricordo sbagliato. Non è che la vita dei manichini sia una delle nostre priorità di solito.»
«Hai ragione.» convenne Sophie, ma sentì un sottile disagio nel togliere le braccia al “suo” per poter meglio sfilargli il dolcevita e, quando le sue dita salirono per levare la testa sempre per lo stesso motivo, gli occhi verdi dipinti di quella bambola di plastica la colpirono.
Erano fissi e senza vita, ma avevano la stessa tonalità di quelli dello sconosciuto.
Una sensazione di struggente perdita le attaccò la bocca dello stomaco.
«Sophie, sbrigati. Ho bisogno di aiuto.» Il richiamo dell’amica, sommersa com’era di scatoloni aperti, la riportò subito alla realtà. Finì di rivestire il manichino, facendo passare il maglione dalla testa senza toglierla. Evitò di guardare di nuovo quel viso di plastica, prima di andare a dare una mano a Marie.

3
Venerdì era la sua prima giornata di lavoro al Moulin Rouge. Sophie lo raggiunse che era ancora pieno giorno. Voleva avere il tempo di dare un’occhiata in giro. Conoscere le altre ballerine prima di uscire in pasto ai turisti che affollavano il locale.
Etienne era certo che suo fratello sapesse che era lì, acquattato ancora una volta nel buio per proteggere la donna che sentiva di amare profondamente, anche se sapeva di non aver alcuna possibilità di averla.
Ripensò alla sera di qualche giorno prima, non era riuscito a neutralizzare Seton e di sicuro questi era corso a riferire tutto ad Abryct.
Il gemello sapeva bene che lui non si sarebbe avventurato nel suo quartiere, se non avesse qualcuno di molto importante da proteggere. Qualcuno che sarebbe stato la sua condanna a morte, se suo fratello avesse deciso di finire la loro partita cominciata tanti anni prima.
Bene, per ora sembrava tutto tranquillo e niente gli impediva di entrare nel locale per godersi lo spettacolo, sperava solo che ci fossero ancora dei posti liberi.
Etienne varcò la soglia proprio nel momento in cui Sophie iniziava il proprio numero.
L’emozione di vederla ricoperta di piume e paillettes fu seconda solo al bisogno estremo che gli ardeva all’interno dei pantaloni. Era veramente splendida e nulla, nel suo atteggiamento sicuro e professionale, aveva a che vedere con la timida commessa dei grandi magazzini.
In un momento di pausa, quando cioè Sophie non si stava esibendo, Etienne fece scorrere lo sguardo ad abbracciare la sala. In uno dei tavolini più vicini al palco era seduta Marie in compagnia di una coppia di mezz’età e di un giovanotto di bell’aspetto. Non essendo molto lontano dal loro tavolo aveva potuto percepire il tono di entusiasmo della compagnia. Gli ci volle poco per capire che la coppia erano i genitori di Sophie e il ragazzone il fratello.
Avevano in programma di attendere la fine dello spettacolo per festeggiare assieme alla loro stella nascente.
Bene.
Per questa sera poteva andarsene, i Loigul attaccavano solo persone solitarie o al massimo coppie se cacciavano in branco.
E poi aveva fame. Doveva assolutamente saziarsi, poiché i parenti di Sophie probabilmente l’avrebbero accompagnata solo quella volta, in futuro sarebbe toccato a lui proteggerla.
Uscito dal locale, si portò veloce alla periferia di Parigi in uno dei quartieri con l’indice di delinquenza più alto. Lì avrebbe trovato di sicuro pane per i suoi denti.
Anche se si era ripromesso di nutrirsi solo dei suoi simili, a volte il bisogno era così alto da farlo ricorrere ancora ai vecchi metodi.
Di sicuro la società umana avrebbe fatto volentieri a meno di qualche criminale.
L’occasione si presentò quando vide uno spacciatore che vendeva una dose a un ragazzino che dimostrava a stento sedici anni.
Inoltre, leggendo nella sua giovane mente, scoprì un’altra amara verità, per procurarsi i soldi necessari a comprarsi quella porcheria che, Etienne lo percepiva distintamente, per lui sarebbe stata mortale, aveva venduto il proprio corpo.
Non lasciò che i due concludessero l’affare. Spostò il ragazzino con una mano e si piazzò davanti al delinquente.
«Ma che cazzo vuoi?» lo interpellò questi aggressivo.
Etienne si rivolse al ragazzo «È meglio che tu te ne vada.»
Il giovane, però, non aveva nessuna intenzione di mollare l’idea di farsi un viaggio. «Ehi, stronzo, c’ero prima io! Se vuoi della roba, vai da qualcun altro.»
Etienne in un attimo decise di introdursi nella mente del sedicenne e manipolare la sua realtà. Era una cosa che faceva di rado, non voleva interferire con il destino. Questa volta, però, voleva che quel ragazzo avesse una possibilità. Gli fece credere di essere uscito da casa un paio d’ore prima e di aver passato la serata da un amico.
Il ragazzo sbatté le palpebre, girò sui tacchi e s’incamminò canticchiando verso casa.
«E ora a noi, pezzo di merda.» La volgarità non faceva parte quasi mai del frasario di Etienne, ma individui come quello che aveva davanti lo facevano andare in bestia.
Cominciò a nutrirsi.
Da lontano sembrava che lui stesse solo aggiustando il collo della giacca della persona che gli stava davanti mentre chiacchieravano amabilmente.

4
Sophie raggiunse i familiari, dopo essersi cambiata, per festeggiare.
«Sophie, tutto bene?» A Marie non era sfuggito lo sguardo dell’amica che continuava a scrutare tutti gli avventori del locale.
«Sì, sto bene, sono solo emozionata. Volete che andiamo? Terminiamo la serata a casa mia?» rispose la ragazza sforzandosi di riportare l’attenzione su di loro. Mentre ballava, le era sembrato di vedere in mezzo al pubblico il ragazzo che aveva incontrato la sera dell’audizione. Il pensiero di questa glielo fece dimenticare e un sorriso radioso si fece strada sul suo viso mentre i genitori si prodigavano in complimenti.
Fu distratta per tutto il resto della serata, finché i parenti non la reputarono troppo stanca per continuare ulteriormente i festeggiamenti e la salutarono per lasciarla riposare tranquilla.
Io non sono quello che credi.
Non potrai mai amarmi.
Non ti potrò mai essere vicino alla luce del sole.
Si svegliò con un urlo strozzato in gola, il corpo madido di sudore lottava con le lenzuola che le si erano attorcigliate addosso mentre dormiva. Era nella sua stanza, ma le ci volle qualche secondo per rendersene conto. Provava un senso di vertigine e una vaga nausea le prendeva lo stomaco.
Il sogno faceva fatica a dissiparsi. Si trovava al lavoro, vedeva il manichino che aveva vestito quella stessa mattina animarsi fino a diventare un uomo in carne e ossa.
I tratti del viso piano piano prendevano i contorni definiti fino a diventare quelli del ragazzo della sera del provino, che da quel momento popolava i suoi desideri.
Quando Sophie si avvicinava per vederlo meglio in viso, lui iniziava a svanire pronunciando le parole che l’avevano svegliata.
«Ok, l’emozione della prima serata come ballerina mi fa brutti scherzi.»
Sophie decise di scendere in cucina per scaldarsi una tazza di latte per tranquillizzarsi.
La mattina dopo non riuscì a essere indifferente, quando si ritrovò tra le mani il manichino incriminato. Osservò il suo viso, ma, a parte il colore degli occhi e una pallida imitazione dello splendido castano delle sue ciocche ribelli in quelle disegnate sulla plastica, non riusciva a trovare alcuna somiglianza con il ragazzo che la perseguitava nella sua mente.
«Mah, sto impazzendo. Devo smetterla di leggere così tanti urban fantasy. Non posso credere sul serio in vampiri, demoni… o che i manichini di plastica possano diventare persone reali! Dai, Sophie, resta con i piedi per terra. Ti manca così tanto avere un ragazzo che ti andrebbe bene anche un amore impossibile con un pezzo di plastica.» Beh, probabilmente un ragazzo-manichino sarebbe stato più affidabile del suo ex. La delusione era stata forte quando, prendendosi impulsivamente un pomeriggio libero per cercare un regalo proprio per il suo lui, aveva scoperto che Paul era anche il ragazzo di Belle. Di giorno stava con la giovane di buona famiglia con cui già prospettava di sposarsi e di sera calmava i bollenti spiriti con la timida commessa dei grandi magazzini. Era stato allora che aveva deciso di scrollarsi di dosso un po’ d’inibizioni e di dare una chance al suo sogno di bambina: essere una ballerina del Moulin Rouge, appunto. Il corso dei suoi pensieri la portò al nuovo ballo in programma per il prossimo venerdì mentre finiva di vestire il “pezzo di plastica”.
Le prove, a dir la verità, iniziavano a essere estenuanti, doveva farle tutti i giorni e, anche se per ora lavorava solo il venerdì, già cominciava ad avere sonno la mattina ai grandi magazzini. Ma doveva tenere duro, si diceva, le avevano assicurato che dopo il mese di prova, se andava bene, si sarebbe esibita tutti i giorni, coronando così il suo sogno. E avrebbe potuto lasciare il posto di commessa.
Percependo tutto quel turbinio di pensieri, il cuore di Etienne si colmò d’angoscia, non l’avrebbe più vista di giorno, lei non avrebbe più fatto scorrere le calde dita sul suo corpo di plastica mentre lo vestiva, facendogli gemere il cuore dal desiderio. Il buio più totale sarebbe ricaduto su di lui.
La parte di lui più razionale ne era contenta. Una volta ottenuto il posto, i desideri di Sophie sarebbero scemati d’intensità proteggendola dai Loigul.

5
«Ciao, allora mi stai seguendo.» Sophie finse di esserne indignata. Si era accorta di lui che, nascosto nel vicolo, attendeva la sua uscita per seguirla fino a casa già dalla sera dopo il suo debutto. Ma non era spaventata, anzi aveva tutta l’intenzione di saperne il perché.
«Beccato. Chiedo pietà. Sono Etienne.» Il sorriso del ragazzo la contagiò.
«Bene, Etienne. Non era più semplice chiedermi di uscire con te?» Sophie andò dritta al sodo, non aveva alcuna intenzione di lasciarselo scappare. Il suo ex si lamentava sempre della sua indecisione, ma a quanto sembrava era un problema che aveva avuto solo con lui.
«Ed io che avevo paura che mi dicessi di no.» commentò il giovane affiancandosi. C’era qualcosa di più di una gioia maliziosa in quelle parole, Sophie lo percepì, era come se lui avesse voluto con la stessa intensità accettare e rifiutare. Lei, però, non aveva intenzione di tirarsi indietro dopo che la sua proposta era stata accolta positivamente, non senza un buon motivo, che lui non sembrava essere in grado di fornirle. Etienne voleva stare con lei.
Fu così che poté accompagnarla ogni venerdì senza più doversi nascondere. Stranamente di suo fratello o dei Loigul non c’era alcuna traccia e la cosa cominciava davvero a impensierirlo, non che non ne fosse contento dato che in uno scontro con il fratello sarebbe stata decretata la sua fine.
«Dai, sali, il minimo che posso fare è offrirti un caffè.» lo invitò Sophie una volta raggiunta casa sua.
Etienne sapeva che non sarebbe stata una buon’idea. Oddio, come avrebbe fatto a resistere a quegli occhi imploranti? Come sarebbe riuscito a tenere le mani lontano da lei? Avrebbe dato l’anima per assaporare il suo dolce sapore. L’avrebbe fatta stendere e si sarebbe saziato del suo corpo facendola gridare di non smettere mai di possederla. Avrebbe gustato il sapore delle sue labbra.
Se avesse potuto…
«No, Sophie, è meglio di no.»
Sophie, però, la timidezza la riservava solo per la commessa dei grandi magazzini, la Sophie ballerina era audace e maliziosa. Avvicinandosi a lui, lo spinse con le spalle al muro. La sua lingua iniziò ad assaggiare languida i contorni della sua bocca, con una mano gli aveva abbassato la nuca per baciarlo meglio e l’altra iniziava a strofinargli, attraverso la stoffa dei jeans, il membro rigido come l’acciaio. Il gemito soffocato di Etienne la fece sorridere soddisfatta.
«Ripensandoci, forse hai ragione un caffè ci sta benissimo.» mormorò questi mentre anche le sue mani erravano veloci sul corpo di lei fino a stringere le natiche sode e farla aderire ancora di più al proprio inguine.
Quel poco di razionalità che era rimasta in Sophie aveva rinunciato a farla desistere da quello che stava facendo limitandosi a urlare a pieni polmoni che non era il luogo adatto. Che cosa avrebbe fatto se la dolce signora Annette fosse scesa proprio in quel momento per portare il cane a fare una passeggiata? Già aveva rischiato l’infarto quando aveva saputo del Moulin Rouge, era una vecchina all’antica e tutto l’affetto che provava per Sophie non sarebbe bastato a farle passare sopra al fatto che lei stava amoreggiando in strada davanti alla porta del loro condominio.
Si obbligò a lasciare la presa sui suoi capelli e costrinse le labbra a fare altrettanto mentre cercava la chiave di casa. Le due rampe di scale che li separavano dal rifugio sicuro del suo appartamento le sembravano un’eternità per il bisogno struggente di sentire di nuovo le forti dita maschili accarezzare la sua pelle.
Il tempo di chiudere la porta alle loro spalle e le dita di Etienne corsero leggere sulla pelle di Sophie lasciando la presa sul suo polso con cui le aveva permesso di condurlo oltre la soglia giusta.
Sapeva che non doveva fare l’amore con lei, se l’avesse fatto, le avrebbe lasciato addosso il proprio odore come un marchio. Un marchio che ancora di più avrebbe accresciuto la fame di Abryct, se lei si fosse trovata sulla sua strada.
Sophie sentì l’esitazione nel corpo del giovane, si era allontanato di un passo togliendo le mani dalla sua pelle e ficcandosele in tasca. Non poteva lasciarlo andare. Lei voleva le sue mani forti lungo il proprio corpo, la bocca dolce a gustare la propria pelle e il membro duro dentro di sé. Fece un passo verso di lui a colmare la distanza che Etienne aveva rimesso fra loro. La bocca di Sophie si avvicinò alla sua e una mano elegante scese ad agganciargli la cintura dei pantaloni dove appena sotto premeva la più potente erezione che lui avesse mai avuto.
Etienne abbassò gli occhi a incontrare quelli della ragazza mentre la sua volontà stava dandosi per vinta. L’avrebbe amata e l’avrebbe difesa o sarebbe morto nel farlo. Anche lui aveva bisogno di essere amato. Fu quello che vide nello sguardo limpido di lei, non era solo bisogno sessuale c’era qualcos’altro. La bocca di Etienne si posò calda e vogliosa su quella di lei.
Un caldo fiotto di umore le inondò il sesso quando Etienne la appoggiò contro il muro, le mani di lui si erano infilate sotto i suoi vestiti e ora le stavano accarezzando i capezzoli che, turgidi premevano contro i suoi palmi. Lui aveva alzato un ginocchio appoggiando il piede contro il muro e ora ve l’aveva fatta accomodare sopra. Sophie aveva iniziato a strofinarsi contro la gamba virile. Il clitoride sensibile si gonfiava sempre di più a ogni sfregamento. La bocca di Etienne aveva seguito le sue mani e adesso succhiava avidamente un capezzolo. I denti ne mordicchiavano delicatamente la sommità mentre la lingua passava subito dopo a lenire l’eventuale dolore. Sophie insinuò le mani sotto i vestiti di lui fino a raggiungere la schiena calda. Lunghe ondate di piacere le invadevano il corpo, si aggrappò alla sua schiena graffiandolo. Etienne le aveva tolto la parte inferiore del vestiario e ora, dopo averla presa in braccio e aver fatto posto sul bancone della cucina, ce l’aveva depositata sopra. La camicetta, insieme al reggiseno, andò a raggiungere il resto dei vestiti. Il marmo del bancone contrastava freddo con il calore bollente del suo corpo.
La bocca di lui scese a esplorare il rosso fiore che le pulsava tra le gambe. La lingua le assaporò ogni piega e i denti le mordicchiarono il bottoncino eretto. «Sei bellissima, sì così, apriti per me.» la voce roca, carica di desiderio la eccitò ancora di più. Sentì l’orgasmo montare dal centro del suo corpo.
«Lasciati andare. Vieni per me.» Le mani di Etienne la tenevano saldamente mentre la sua bocca la succhiava in profondità. Due dita presero il posto della lingua esigente, portandola di nuovo al culmine. Ma non era abbastanza, lui era ancora vestito. Troppo.
Prendendo fiato, lo allontanò da sé e si mise a sedere. Confuso lui la fissò, ma un largo sorriso di soddisfazione gli rischiarò il viso quando vide le piccole mani di lei volare verso l’erezione che gli bruciava i lombi. Veloce si spogliò. Il membro lungo e duro svettava in cerca della propria casa. La fece riadagiare sul bancone e con un unico affondo s’immerse nel suo bozzolo caldo. Sophie non aveva mai provato niente di più travolgente, sentiva il proprio corpo sciogliersi intorno alla durezza che la riempiva in profondità. I sentimenti si accavallarono dentro di lei, aveva voglia di ridere, di piangere e di urlare a pieni polmoni dal piacere che provava. Con un’ultima spinta Etienne raggiunse il suo mondo.
Ansimante e soddisfatto lui si accasciò  su di lei.

6
Quello era l’ultimo venerdì per Sophie, Etienne lo sapeva. Per la ragazza era arrivato il momento decisivo, finito il periodo di prova con quello spettacolo avrebbe scoperto il suo destino: restare una timida commessa dei grandi magazzini o diventare l’audace ballerina che sentiva di essere? Ma c’era un’altra cosa che la assillava, la ragazza aveva cercato di tenere a bada quel pensiero per tutta la mattina, pur non riuscendoci dal tutto, quando si era occupata del suo solito manichino affiancata da Marie. Tanto che Etienne era stato in grado di coglierne un accenno che lo aveva confuso, tutto quello che era riuscito a capire era stato che aveva a che fare con lui. Non con il manichino che Sophie stava toccando, ma con l’Etienne misterioso che aveva sedotto.
Lei temeva di non vedere più l’aitante ancora mezzo-sconosciuto giovane che le aveva fatto da scorta ogni venerdì. E stava pensando a un modo per indurlo a rivelare qualcosa in più della sua identità, le piaceva troppo per permettergli di svanire dalla sua vita.
Lo stava ancora cercando quando uscì dal Moulin Rouge a spettacolo finito, non si stupì di trovare Etienne ad aspettarla, lo aveva già occhieggiato tra il pubblico quando si era esibita. Le sembrò stranamente agitato quando le andò incontro, come se avesse voluto allontanarsi da lì in fretta. Ancora stupita lo assecondò quando lui propose di muoversi, scoprì ben presto il motivo della sua irrequietezza.
«Guarda un po’ chi si vede. Pensavo che io e mamma avessimo convenuto che non dovessi venire qua.»
Sophie trasalì a quella voce alle loro spalle mentre sentiva Etienne farsi ancora più teso, c’era qualcosa in essa che gliela fece sembrare familiare. Si voltarono entrambi e lei percepì subito la tensione fra Etienne e il nuovo arrivato. Solo un secondo più tardi notò l’enorme somiglianza fra loro, se non fosse che l’altro sembrava ben più pericoloso del giovane che aveva affianco.
«Come se non ti aspettassi la mia presenza, Abryct. Mi stupirebbe che Seton non sia corso a informarti.»
Il gemello sorrise. «Mi chiedevo se le tue immobili giornate ai grandi magazzini ti avessero anestetizzato il cervello quando l’ha detto, in effetti. Poi ho capito il tuo interesse.» commentò spostando lo sguardo su Sophie. Lei sussultò alla prima frase mentre il suo disagio acquistava senso, si scostò di un passo da Etienne.
Il sorriso di Abryct si allargò. «Ops, forse non glielo avevi ancora detto, fratellino? Chiedo venia, pensavo che le avessi già parlato della tua vera natura. Non è poi tanto diversa dalla mia, per quanto tu faccia la parte dell’angioletto.»
Etienne ignorò il fratello. «Sophie, devi andartene. Corri ed entra nel primo bar affollato che trovi. Da lì chiama un taxi per tornare a casa.» le ordinò. Lei all’inizio s’irritò al tono di comando, poi annuì, quei due sembravano uno più pericoloso dell’altro, avrebbe fatto meglio a togliersi di lì.
Etienne la guardò sparire poi riportò l’attenzione sul gemello, sapeva che sarebbe successo da quando aveva seguito per la prima volta Sophie, proprio come sapeva che non aveva molte speranze di uscire vivo da quello scontro, ma non si pentì della sua decisione. Si preparò ad affrontarlo, ringraziando per lo meno che Sophie fosse ormai al sicuro.
La ragazza, però, era arrivata sì al primo bar ed era entrata, ma ora guardava indecisa il cellulare. Una parte di lei premeva per tornare indietro, convinta di aver lasciato il giovane nei guai. E da quanto aveva detto quello chiamato Abryct, lei ne era la causa.
Ignorò la voce della ragione che le diceva di lasciarsi tutto alle spalle, rimise in tasca il cellulare e veloce tornò sui suoi passi. Quando li raggiunse, la situazione era degenerata e purtroppo era proprio il suo Etienne che stava avendo la peggio. Sophie non si fermò a riflettere quanto sulla pericolosità del momento, si lanciò fra i due contendenti pronta a fronteggiare Abryct.
Il Loigul non trovò alcun desiderio di cui cibarsi in lei né tantomeno paura, solo una volontà d’acciaio di rimetterlo al suo posto. Una personalità così forte in un essere umano, e per di più donna, lo stupì. Di solito quando capivano che cos’era scappavano a gambe levate nella migliore delle ipotesi, nella peggiore avevano una crisi isterica, per questo lui preferiva che non lo scoprissero, gli avrebbe reso problematico nutrirsi in entrambi i casi.
Nessuno dei due si accorse di Etienne che, alle spalle di Sophie ben piantata davanti a lui, tentava di rialzarsi in piedi. Non poteva certo lasciare che lei affrontasse Abryct al suo posto, per quanto ferito toccava a lui proteggerla e non viceversa.
Per la prima volta Abryct provò dispiacere all’idea di uccidere, quella ragazza aveva fegato e non sentiva il desiderio di ammazzarla nemmeno per arrivare al fratello che lei stava proteggendo. Certo, avrebbe potuto evitarla senza problemi e punire Etienne lo stesso per aver sconfinato nel suo territorio, ma non lo fece.
Si limitò ad accettare la sconfitta con un sorriso malizioso sul viso, sua madre aveva sempre avuto un debole per Etienne e si sarebbe sentita in debito alla notizia che lo aveva risparmiato volontariamente ed era proprio quello di cui Abryct aveva bisogno perché lei gli concedesse quello che voleva. Si ritirò nell’ombra per seguire la scia di un desiderio che gli solleticò l’appetito senza voltarsi indietro.
Sophie non riuscì a credere alla propria fortuna, era davvero stata in grado di interrompere lo scontro ed era ancora viva, poi. S’inginocchiò affianco a Etienne e quello che vide fu sufficiente a farle passare la voglia di esultare. Non era stato per niente merito suo se l’altro se n’era andato, si era solo reso conto che forse il colpo di grazia non era necessario.
Sophie non voleva accettare che finisse così, la grande storia d’amore che aspettava non era nemmeno iniziata. Chiamò un taxi e portò il giovane a casa sua. Non sapeva cosa fare, era chiaro che lui, come l’altro, non era umano e una corsa all’ospedale sarebbe stata inutile.
Si limitò a stargli accanto per tutta la notte, non era mai stata molto devota, ma in quelle ore buie ripescò tutte le preghiere che aveva imparato controvoglia e le recitò sperando in un miracolo.
Alla fine cedette alla stanchezza e si addormentò al suo fianco.
Fu la presenza di un estraneo a risvegliarla con lo stomaco annodato da una sensazione di disagio. La stanza era illuminata solo dalla luce che si era dimenticata accesa in corridoio quando era entrata, le sue dita cercarono la mano di Etienne tirando un sospiro di sollievo quando appurarono che la pelle era rimasta tale.
«Cannella e zenzero. Davvero un mix inebriante. I miei complimenti, sorellina. In un’altra occasione ti avrei assaggiato volentieri.» Sophie si voltò di scatto al suono di quella voce. Lanciò un’occhiata irritata al terzo incomodo che aveva pensato di essersi lasciata alle spalle nel vicolo un paio di ore prima e che invece la stava fissando come se stesse pregustando un piatto prelibato. «Cosa vuoi?» lo apostrofò.
Abryct ridacchiò. «Suvvia, sorellina, puoi essere più gentile di così. Ti ho portato un regalo.»
«Che tipo di regalo? E smettila di chiamarmi “sorellina”.»
Il Loigul scrollò le spalle. «Non credo che le preghiere bastino, sai.» disse guardando verso il gemello disteso sul letto dietro di lei. Sophie raddrizzò le spalle immediatamente squadrandolo con aria di sfida.
«Cosa vuoi?» ripeté la ragazza calcando le parole.
«Una piccola riunione di famiglia?» chiese di rimando Abryct. «Sei invitata anche tu naturalmente. Nostra madre è impaziente di conoscere la sua prima nuora, ha sempre nutrito una grande aspettativa per le “ragazze” che io ed Etienne avremmo scelto.»
Sophie non riusciva a credergli, quegli occhi dello stesso verde delle iridi di Etienne promettevano sangue e pericolo. Contenevano, però, anche la risposta alla domanda che non osava porgli, chiedendo aiuto proprio a lui le sembrava di tradire Etienne.
Abryct non distolse lo sguardo. «Sono venuto per questo. Spetta a te decidere se hai il coraggio di lasciarti tutto alle spalle seguendo mio fratello.» Era la prima volta da molti anni che pensava di nuovo a Etienne in questi termini, ma sua madre era stata inflessibile su quel punto: per Abryct l’aiuto del gemello era indispensabile per affrontare la sfida che lo attendeva. E l’unica che poteva convincerlo era la sua nuova fiamma umana.
Sophie lo fissò conscia che il Loigul pretendeva un giuramento da lei. Improvvisamente lui si girò verso la finestra, all’esterno il cielo stava iniziando a schiarirsi. «Scegli in fretta, sorellina. Sai, noi non resistiamo alle ore in cui la luce del sole è padrona, se siamo feriti.»
Le sembrò di sentire vera urgenza nel suo tono e la ragazza la sentì crescere anche dentro di sé quando le parve di sentire la pelle sotto le sue dita perdere tepore.
«Hai la mia parola. Adesso fallo.» disse soffocando il pensiero di aver appena legato la vita sua e di Etienne a quella di Abryct.
«Subito, sorellina.» Il sorriso soddisfatto fece capolino sulle labbra del Loigul mentre obbediva più che volentieri rimuovendo dal gemello la maledizione della madre insieme alle ferite che gli aveva causato poche ore prima. Abbandonò la stanza lasciando a lei il compito di spiegare la nuova piega che avevano preso gli eventi a Etienne.
Sophie sentì le sue ultime parole aleggiare nell’aria come una minaccia. «Benvenuta in famiglia.»

FINE

L'AUTRICE

Deborah Desire nasce nel 1990 nell’hinterland padovano. Diplomata Tecnico Per il Turismo, frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova.È da sempre abituata a considerare i libri come vecchi amici da riprendere in mano con piacere. A parte qualche racconto scritto per gioco o per diletto adolescenziale, è stato quattro anni fa il momento in cui si è avvicinata davvero alla scrittura. Il tutto grazie a un sogno o meglio alla decisione di trascrivere un sogno che altro non era che l’embrione da cui si è sviluppato Xyen, il suo libro Fantasy d’esordio.
Contribuisce con la poesia Bambino all’iniziativa di Autori per il Giappone.
Attualmente è alle prese con altri tre libri di cui uno è il seguito naturale di Xyen, Seshen.
Giugno 2012: Alcuni dei suoi tweet vengono scelti per far parte della raccolta "2012 cose da fare prima della fine del mondo" edita da Mondadori a cura di Mafe de Baggis.
Settembre 2012: I primi 20.000 caratteri di "Lost Soul" si classificano in seconda posizione per gradimento di pubblico al concorso "LEGGI. SCRIVI. VINCI UN SOGNO!" promosso da Fazi Editore. Visita il suo sito Facebook: http://www.facebook.com/deborah.desire?fref=ts



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