Christmas in Love 2017: "UN VICHINGO PER NATALE" di Nora June Peebles



“Chi va là?!” Chiese con voce tremante. La luce del soggiorno illuminava debolmente le scale che scendevano fino all’ingresso. Un gigante, non c’erano altre parole per descriverlo, le dava le spalle guardando verso la porta. Si girò molto lentamente e una risata sommessa e profonda la accolse.

“Mi stai minacciando con una padella? Su serio?” Chiese divertito l’intruso. Non riusciva a vedere bene nella penombra ma le sembrava di conoscerlo.

“Nei film di Bud Spencer funziona… e tu sei un gigante! Cos’altro dovrei fare?” Replicò stizzita Sara. “E nell’altra mano ho il telefono!” Si affrettò ad aggiungere: “Dimmi cosa stai facendo in casa mia o chiamo la polizia!”

“Mi sto nascondendo. Dei paparazzi mi inseguono e non mi danno tregua da giorni. Sono sfinito. Voglio solo un po’ di pace e potermene tornare al mio hotel senza essere stressato da domande idiote su…”

“Sali un paio di gradini, lentamente, voglio vederti in volto.” Lo interruppe lei. Il gigante si mosse piano, con eleganza e quando entrò nel cono di luce della lampada, Sara poté vedere il volto abbronzato dell’invasore, il mento deciso, le labbra piene tirate e piegate leggermente all’insù come a trattenere un sorriso, il naso diritto e gli occhi verdi che brillavano divertiti e la scrutavano con calma, la fronte rilassata sotto i folti capelli biondo scuro.

“Ti stanno inseguendo, dici?” Chiese appena si fu ripresa dallo shock di essersi ritrovata con una divinità nordica sul pianerottolo di casa.

“Guarda fuori dalla finestra, sono ancora qui che girano, quei maledetti” suggerì Thor a bassa voce.

“Stai lì dove sei” intimò lei: “non muovere un muscolo!”

Il gigante sollevò lentamente entrambe le braccia in segno di resa e sorrise: “non mi muovo di qui, capitano”.

Sara fece un paio di passi all’indietro e andò a vedere alla finestra. Quattro o cinque uomini con delle macchine fotografiche enormi si aggiravano per la via come a fiutare la preda. Tornò da Thor e gli ordinò: “D’accordo, mi hai convinta. Sali, togliti la giacca e siediti pure al tavolo. Vado a preparare un tè. O preferisci un caffè?”

“Un tè, per favore. Sono mezzo congelato. Sono quasi sicuro che stia per nevicare di nuovo.”

Il gigante salì le scale, sempre con le braccia alzate e un sorriso spavaldo incollato alla faccia.

“Oh, per piacere, puoi abbassare le braccia! Quante storie!” Sbuffò Sara.

“Sarai anche un folletto, ma sei ancora armata.” Fece lui fingendo di essere serio.

Sara lo guardò confusa per un secondo prima di accorgersi di stare ancora brandendo la padella che aveva afferrato d’istinto quando aveva sentito la porta d’ingresso aprirsi e scoppiò in un riso nervoso. “La metto via, scusami. Mi sono spaventata quando ho sentito aprire la porta.”

“Nessun problema.” Disse Thor salendo le scale e togliendosi la giacca.

“Dove stai andando?” Chiese lei allarmata quando le passò davanti.

“Ad appendere la giacca. Dan non tollera il disordine e le mette sempre via in quell’armadio.” spiegò l’uomo indicando il guardaroba di legno antico sul fondo della stanza.

Senza parole Sara andò in cucina e accese il bollitore elettrico. Il gigante la seguì e si sedette su uno sgabello dall’altra parte dell’immensa isola con il top di granito scuro. Dan aveva una cucina da sogno. Grande, spaziosa, super-attrezzata. Aveva persino i fornelli a gas, cosa ben rara a Londra, e la moka Bialetti che gli aveva regalato lei per Natale due anni fa. Aveva anche una macchina da caffè da fare invidia a un bar, ovviamente. Il suo amico chef non poteva vivere senza caffè, pensò con tenerezza.

Thor la studiava con calma, sembrava che si stesse godendo quel momento di pace a cui diceva di anelare tanto.
Dopo qualche istante le chiese con voce profonda e sommessa: “Allora? Hai deciso se chiamare la polizia?” E rise nuovamente.
“Dipende da come ti comporti” rispose quasi infastidita.
“Sarò un bravo ospite, lo prometto. Da quanto conosci Dan?”
“Da sempre.” rispose Sara con sincerità. “Siamo cresciuti insieme in un paesino sulle Alpi, abbiamo frequentato lo stesso asilo, le stesse scuole… poi io sono andata all’università e lui si è lanciato nel mondo della cucina.”
“Dan è un cuoco fenomenale.” Confermò Thor. E dopo una pausa aggiunse stupito: “non vuoi sapere come lo conosco?”
“Hai le chiavi di casa sua. Dan mi ha avvisato che un suo amico americano era in città e che ogni tanto viene a stare da lui e -testuali parole- a mettergli in disordine tutta la cucina.”
Quella che accolse le sue parole non fu una risata ma un rombo profondo.
“Dan è un ingrato! Cucino le lasagne migliori del West!” Esclamò mettendosi una mano sul petto come se fosse stato colpito a morte. 
“E va bene, John Wayne, con questa affermazione ti sei ufficialmente guadagnato il diritto di usare questa casa come rifugio ogni volta che vuoi.” Rispose ridendo Sara.
“Ti piacciono le lasagne?” Chiese stupito Thor.
“E a chi non piacciono? Sono calde, soffici e parlano di casa e di domeniche passate in famiglia.” Spiegò lei con semplicità.
“Tu sei la donna perfetta, lo sai?” La informò Thor.
“Sì, come no? Mi sa che questa informazione non è arrivata al resto della popolazione maschile.” commentò asciutta la ragazza.

Thor la soppesò per un momento ma non disse nulla.

“Senti, Tho..” Sara si accorse troppo tardi dell’errore.

Un ghigno soddisfatto la accolse: “Mi stavi per chiamare Thor!”

Perfetto. Ora sapeva cosa voleva dire il detto “arrossire fino alla punta dei capelli”.

“Non conosco il tuo nome e tu sei un gigante biondo, come altro dovrei chiamarti?”

“Thor era un dio.” Fece il gigante con aria compiaciuta. “Aspetta, cosa vuol dire che non conosci il mio nome?” Sembrava esterrefatto.

“Significa che oltre a entrare di soppiatto in casa, non ti sei nemmeno presentato, per cui non so come ti chiami.” Spiegò con calma lei versando il tè in due tazzine di porcellana a fiori. Quando gliene passò una si ritrovò a sorridere. Sembrava minuscola e fragile tra mani di quell’omone. Mani enormi, tra l’altro, attaccate a braccia gigantesche e bicipiti così larghi che due sue mani non sarebbero bastate a circondarli. Si ritrovò a chiedersi come ci si senta ad essere abbracciati da braccia del genere. Male, ti verrebbe un attacco di panico, si sgridò. Dalla luce divertita che danzava nei suoi occhi verdi e striati di nocciola - maledizione, Sara, riprenditi! - era chiaro che aveva colto la direzione dei suoi pensieri. Ma se anche fosse, si comportò da gentiluomo e non commentò. Piuttosto posò la tazzina e le chiese con curiosità: “mi stai dicendo che tu non hai idea di chi io sia, ma siccome avevo le chiavi di casa di Dan sei tranquilla e mi offri un tè così come se niente fosse? Folletto! Potrei essere un serial killer con un doppione delle chiavi! Potrei essere una persona orribile e…”

“Ho detto che non conosco il tuo nome, non che non so che tipo di persona tu sia.” Lo interruppe Sara impaziente. “Conosci il temine mansplaining? Ecco, ne hai appena dato una dimostrazione esemplare.”

“Ti chiedo scusa, folletto. Per il mansplaining. Sono sicuro che tu ti sappia difendere bene da sola e valutare i rischi senza bisogno che un Thor qualunque ti faccia una ramanzina.” Disse il gigante con fare contrito. “Dimmi come fai a sapere che tipo di persona sono senza conoscere il mio nome.”

“Ti ho visto ieri sera.” Rispose semplicemente Sara. “Avevo avuto una giornata pesante: il volo alle 7, il treno, la corsa in università per dare un talk e poi finalmente sono potuta venire qui da Dan. Sono a Londra in vacanza per due settimane per le feste di Natale. Non ho preso ferie per quasi tre anni e avevo bisogno di una pausa.” Si ferma a prendere fiato: “Non so perché ti sto dicendo queste cose… tutti vanno in vacanza, io ho deciso di prendermi un mese di pausa e… non importa. Ero appena arrivata e avevo appena preparato un tè quando mi sono avvicinata alla finestra e ho visto una bimba sola nella neve sotto un lampione piangere disperata. Stavo per correre fuori a chiederle cosa ci fosse che non andava quando sei passato tu con altri due uomini, ti sei fermato e ti sei abbassato sulle ginocchia per guardarla negli occhi. Hai fatto un cenno ai tuoi accompagnatori che se ne sono andati e sei rimasto con la bimba. Ti sei tolto la giacca per assicurarti che stesse al caldo, hai fatto una chiamata con il cellulare e dopo circa cinque minuti sono arrivati i genitori della bambina correndo.” Il gigante le sorrideva, sottili linee intorno agli occhi, emanava la calma di una persona che sta bene nella propria pelle.
“Quindi so che non sei un serial killer e che non sei una persona orribile indipendentemente dal tuo nome.” Concluse Sara.

“Potrei essere una persona orribile che soffre a vedere una bambina in lacrime.”

“Hai ragione. Un duro con il cuore morbido.”

“Sono molto duro.” Annuí con fare serio. “Sono una divinità nordica, dopotutto.” E scoppiò a ridere. Una risata potente, che ti coinvolge e ti fa sentire all’improvviso felice e leggera.

“Allora, folletto, vuoi rivelarmi il tuo nome?”

“Mi chiamo Sara.”

“Piacere di conoscerti, Sara. Io sono…”

“No, non dirmelo.” Lo interruppe nuovamente Sara.

“Non vuoi conoscere il mio nome?” Chiese perplesso Thor.

Sara lo guardò con dolcezza: “Prendila come una garanzia.” La sguardo di Thor si fece corrucciato. “Se non conosco il tuo nome, non posso dire a quegli sciacalli dove ti trovi.”

Il gigante si sciolse in un sorriso travolgente: “Sei davvero la donna perfetta, folletto. Quegli sciacalli, come li chiami tu, fanno solo il proprio lavoro, purtroppo.” Aggiunse con una nota di amarezza.

“Non difenderli. Rovinare la vita alla gente? Quello non è un lavoro. Non riuscirai a convincermi del contrario. Ci sono un sacco di modi onesti per pagare l’affitto senza inseguire divinità nordiche nel freddo dicembre londinese. Non offenderti ma non ho intenzione di farti pensare che ti ho offerto riparo e un tè solo perché sei qualcuno di famoso. Ti inseguono perché sei… famoso?” L’indecisione nella sua voce era palpabile e il gigante chiese con voce sommessa “Tu non hai proprio idea di chi io sia, vero?” Sembrava quasi che parlasse a se stesso e Sara non rispose.

“D’accordo, folletto. Faremo come suggerisci tu.” Disse poi a voce più alta. “Mi chiamano tutti per cognome e gli amici… e a volte anche i paparazzi… usano un diminutivo del mio cognome per chiamarmi. Cosa ne dici di usare il mio nome di battesimo? Altrimenti puoi continuare a chiamarmi Thor, se preferisci. Fa di certo bene alla mia autostima.” Aggiunse ridendo.

“Chissà come, ma ho l’impressione che la tua autostima non abbia bisogno di aiuto.” Il rombo profondo della sua risata la accolse nuovamente. “Ecco, come mi immaginavo. Ok, vada per il nome di battesimo, Thor.”

Thor le fece l’occhiolino e disse: “Puoi chiamarmi Nathan o Nate.”

“Nathan.” Ripeté lei testandolo. “E’ un bel nome.”

“Ora piace anche a me.” Le sorrise.

“Mi dispiace di esserti piombato in casa così senza preavviso, Sara. Avevi dei piani per stasera? Non voglio scombussolarti tutto.”

“A rischio di sembrarti patetica, no. Nessun piano. Ieri sera ho preparato l’impasto della pizza e stasera volevo cuocerla e collassare sul divano, ascoltare un po’ di musica, magari guardarmi un film… Passano Triple X, l’avrò visto 500 volte ma lo riguardo sempre…”

Nathan spalancò gli occhi ed esclamò: “i tuo piani per la serata consistono in pizza fatta in casa e un film con Vin Diesel?”

“Ok, hai ragione, sono patetica. Ma sono così stanca che proprio non mi va di fare nulla…”

“Donna perfetta, sposami!” Esclamò lui con un sorriso a trentadue denti.

“Non se ne parla nemmeno. Ma puoi farmi compagnia, se ti va.” Rispose ridendo lei.

“Aspetta, io ti dichiaro i miei sentimenti con slancio e tu mi rifiuti così? Con sdegno? Guarda che sono un buon partito, folletto! Non sono così male come mi dipingono.”

“Sei pericoloso, e lo sai anche tu. E non mi vorrai dire che quella era una dichiarazione! Mettici almeno un po’ di impegno!” Lo sgridò ridendo. Ma era seria. Tipi come Nathan non si incontrano tutti i giorni. Era bello da svenire. Non era come i ragazzi con cui usciva di solito. D’altronde, chi esce con uno come Nathan tutti i giorni? Era alto, con due spalle così larghe da fare invidia a un armadio a quattro ante. La maglia nera a maniche lunghe non nascondeva affatto braccia e torso. Era snello ma solido, alto ma non allampanato. Ma quello che lo caratterizzava di più era che la sua sola presenza cambiava l’atmosfera della stanza, la riempiva di gioia pura e genuina. Il rombo della sua risata, la voce profonda e leggermente roca e il sorriso che trapelava dal suo sguardo la rendevano allegra. Praticamente un pericolo ambulante.

“Mi stai dicendo che non ti basta che io mi dichiari?” Finse lo sconcerto più assoluto.

“No, John Wayne, non mi basta. Sarai anche il pistolero più veloce del West,” e questa frase le guadagnò un’altra risata potente “ma non sverrò ai tuoi piedi solo perché mi hai fatto l’onore di una battuta.”

Gli occhi di Nathan brillavano divertiti. “Ma non mi dire. Quindi non ho chances con te?”

“Temo di no, gigante. Non sei il mio tipo.”

“E’ la prima volta che qualcuno me lo dice.”

“C’è sempre una prima volta per tutto, mi dispiace.” Rimarcò Sara.

“E chi è il tuo tipo, se posso chiedere?”

“Non ho un tipo. E non ho intenzione di averne uno nel futuro prossimo.” Qualcosa nel suo sguardo o nel suo tono doveva averla tradita perché Nathan cambiò argomento quasi con eleganza. 

“Allora, donna perfetta, dimmi che hai della birra in frigo e dovrò concentrarmi su come convincerti a diventare mia.”

Sara annuí rigida: “La birra è in frigo.”

Nathan la guardò con dolcezza e sorrise prima di chiedere: “Posso aiutarti con la pizza?”

Sara era sempre stata orgogliosa della propria ricetta. Aveva imparato a farla da sua nonna Nora a dieci anni e l’aveva modificata piano piano fino a perfezionarla. La sua pizza veniva alta e soffice perché la faceva lievitare in frigorifero per ventiquattro ore. La pizza perfetta, diceva Dan.

Nathan si dimostrò subito abile ai fornelli. Stese l’impasto con delicatezza, senza rompere le bolle, come se stesse sprimacciando un cuscino di piume. Doveva essere per questo che era amico di Dan. Non voleva troppi dettagli su di lui, non voleva scoprire chi era per il resto del mondo. Voleva solo godersi la sua inaspettata e piacevole compagnia per una serata.

Si sedettero sul divano con un piatto di pizza fumante, stapparono un paio di birre gelate e iniziarono a guardare Triple X.

“Confessa, folletto. Vin Diesel è il tuo tipo.” Chiese Nathan a un certo punto posando il piatto sul tavolino e prendendo un sorso di birra.

“Vin Diesel è il tipo di ogni donna dotata di senno. E’ intelligente, ha senso dell’umorismo… altrimenti certi suoi film non si spiegano… non se la tira e ha due spalle da impazzire.”

“Ah, ecco che facciamo qualche passo avanti. Ti piacciono gli uomini con le spalle larghe, folletto?”

“Togliti quel sorriso spavaldo dalla faccia, vichingo. Se è vero che Vin Diesel è il mio tipo, hai decisamente troppi capelli.”

“Potrei sempre rasarmi a zero.” Suggerì il gigante con fare imperturbabile.

“Non provarci nemmeno!” Esclamò lei inorridita e, accorsasi della gaffe: “Oh cavolo, te l’ho servita su un piatto d’argento, vero?”

Un sorriso da predatore gli si allargò sul volto: “Ammetti che mi trovi attraente?”

“Neanche sotto tortura.” Ribatté lei. “Oh, guarda, Vin Diesel! Non distrarmi, vichingo, potrei perdermi una battuta essenziale.”

Lo sentì ridere sommessamente: “Come preferisci, folletto.”

Rimasero così, in silenzio, a godersi il film per un po’. Sara si ritrovò a osservare che non c’era nulla di strano o imbarazzante nel trascorrere un momento cosÌ normale con un perfetto sconosciuto. Nathan non aveva tutti i torti a considerarsi attraente. Diamine, un cieco l’avrebbe notato ma erano la sua aria di pacifica sicurezza e il suo buonumore che le facevano tremare le gambe. Devo stare proprio male se mi trovo a fantasticare sullo sconosciuto sexy che mi è piombato in casa. Si disse. Doveva essere dura essere inseguito dai paparazzi e non poter nemmeno camminare per le strade come una persona normale. Che sia un attore? Di sicuro ha il fisico, e un viso interessante. Lo guardò di nascosto e le sfuggì un gridolino. La stava osservando con attenzione.

“Nope, honey.” Rispose alla domanda che non aveva posto con un marcato accento americano: “non sono un attore.”

Sara scoppiò a ridere imbarazzata. “Mi hai letto nel pensiero! Ma come hai fatto?”

“Non sei molto difficile da leggere, honey. E arrossisci alla velocità della luce.” Rispose sorridendo.

Mandando al diavolo la propria carnagione chiara, Sara si decise a confessare: “D’accordo, lo ammetto. Sono curiosa! E’ deformazione professionale, sono una scienziata, e devo sapere. Se non sei un attore, che lavoro fai? Perché ti inseguivano con tanta costanza?”

“Sono un atleta.” Rispose semplicemente Nathan. “Un giocatore.”

“Continuo a non capire perché ce l’abbiano con te. Sei qui per una partita?”

“No. Sono qui perché volevo fare una pausa. Avevo un paio di settimane libere e me le sono prese. Se avessi immaginato cosa mi aspettava una volta a Londra, sarei andato in vacanza nel deserto di Atacama.”

“E’ un posto meraviglioso. Il deserto di Atacama, intendo. Il cielo è uno spettacolo maestoso, il nero assoluto tempestato di stelle. Nelle notti di luna nuova è pieno zeppo di stelle, tanto che anche andare su quelle stradine scoscese a luci spente non è poi così drammatico.” Si ritrovò a raccontare. L’esperienza in Cile era stata uno dei suoi momenti preferiti degli ultimi anni.

“Ci sei stata?” Chiese Nathan con aria sorpresa.

“Solo una volta, all’inizio del dottorato in Fisica. Ho studiato fisica teorica ma volevo avere comunque un po’ di esperienza osservativa. Sono andata a imparare come si raccolgono i dati e… ma non voglio annoiarti.”

“Non mi annoi. E’ questa l’impressione che hai di me? Una mente vuota in un fisico ipersviluppato?” Chiese sorridendo ma il sorriso non gli raggiunse gli occhi.

“Certo. Ti voglio solo per il tuo corpo, baby.” Confermò Sara dandogli una gomitata giocosa sul braccio.

“Dimentichi i miei soldi.” Replicò Nathan. “Sono ricco.”

“Ovviamente. Il tuo corpo e i tuoi soldi, baby.”

“Mi stai dicendo che non ti importa?” Chiese con voce roca il vichingo.

“I soldi?” Sara si trovò a riflettere: “no, non mi importa. Guadagno una miseria e lavoro un milione di ore alla settimana, non so cosa siano il weekend o la notte ma per ora va bene così. Il mio lavoro mi assorbe totalmente. So che non potrò continuare per sempre. Se un giorno avrò una famiglia o dei figli… potrò scordarmi il lavoro in università, non c’è posto per entrambi purtroppo. O almeno così mi sembra al momento. Poi, è chiaro… Con i mille euro che prendevo a inizio dottorato non si va da nessuna parte ma già con mille e tre si stava meglio e ora sono postdoc quindi piano piano guadagno di più.” Nathan la fissava a bocca aperta.

“Mille euro?” Chiese sconcertato.

“Già. Il mio primo stipendio. Mille euro al mese. E mi è andata bene! Conosco gente che ne prendeva 600.”

Lo vide scuotere la testa lentamente: “Ma con milleetre va meglio?”

“Oh, sÍ. Riesci almeno a risparmiare qualcosa e a pagarti una vacanzina se la pianifichi bene.” Confermò lei.

“Certo. Mi sembra ragionevole.” Fece Nathan sorridendo gentile. Sembrava a disagio.

“Scusami,” si trovò a giustificarsi lei: “non volevo metterti in imbarazzo parlando di soldi. Volevo solo spiegarti… è chiaro che i soldi contano. Un minimo devi averne, per non soffrire, e non stare sempre con l’acqua alla gola ogni mese. Ma tutto ciò che viene dopo, è un di più. E non è vero che guadagno una miseria, so che c’è chi guadagna molto meno di me…”

“Sara,” la interruppe lui serio: “non devi rendermi conto delle tue parole. Sono d’accordo con te.” E prese visibilmente fiato: “io guadagno molto di più di mille euro al mese ma non spendo in futilità. Mi sono comprato casa nella città dove lavoro e un’auto. I miei amici sono rimasti perplessi dalla scelta. Si aspettavano un loft, ma mi danno l’idea di essere così vuoti e freddi…”

“Che sport pratichi? Non credo di riuscire a non saperlo.” Chiese curiosa Sara.

“Secondo te?” Rispose beffardo. “Ti do un indizio. C’è una palla.”

“La risposta scontata sarebbe calcio, a questo punto. Ma non mi sembri un giocatore di calcio.”

“Questo è perché non sono un giocatore di calcio.”

Sara rimuginò per un istante e la colpì un’immagine a cui aveva assistito il giorno prima. Dopo il talk, aveva deciso di fare due passi in un parco vicino all’università e aveva visto un gruppo di ragazzi giocare in una radura.

“No! Non può essere.” Esclamò: “Dimmi che mi sbaglio! Non giocherai mica a cricket, vero?”

Altro che rombo, questa volta la risata di Nathan fu un vero e proprio boato. Non sembrava riuscire a controllarsi, si teneva la pancia con le mani ed era piegato in due dalle risate, le lacrime che gli rigavano le guance.

“Ok, non c’è bisogno di farla tanto lunga.” sbuffò Sara mezza offesa. “Non giochi a cricket, questo è certo.”

“No, folletto mio, non gioco a cricket. Mai giocato a cricket.” E continuò a ridere.

“Rugby, forse?” Azzardò allora. Grande e grosso com’era, poteva anche starci.

“Altro indizio: sono americano.” Sorrise in attesa.

Sara sbarrò gli occhi: “Football? Quello sport dove ti devi mettere un casco e proteggere le costole perché degli energumeni ti saltano addosso per rubarti una palla deformata?”

Il vichingo buttò indietro il capo ridendo nuovamente e le diede un buffetto lieve sulla guancia prima di rispondere: “Mancavano solo golf e tennis e avevi finito gli sport con una palla.”

“Dimentichi il ping-pong e il calcio-balilla” replicò torva.

“Avresti preferito che giocassi a cricket?”

“No. Il cricket non lo capirò mai. Non capisco nemmeno quale sia la differenza tra le due squadre in campo, figuriamoci.”

“Il football non è solo un branco di energumeni che litigano per una palla deformata.” Continuò lui serio. “Non fraintendermi: non voglio farne più di ciò che è. E’ uno sport come un altro. Ci sono due squadre e una palla. Ma è una parte importante della mia vita. Al momento, a dire la verità, sembra essere tutta la mia vita. E’ un lavoro ma è anche una passione. Ed è uno sport violento, hai ragione. Ogni volta che scendi in campo rischi di uscirne su una barella, ferito sul serio. E di sicuro ti farai male ma” e alzò le spalle come a scusarsi “al dolore ci si abitua.”

“Il dolore ti aiuta a concentrarti.” Completò lei. “E’ qualcosa che capisco.”

Nathan la guardò stupito: “Pare di sì. Come mai?”

“Capisco la determinazione. Il mettere tutto te stesso in qualcosa. Il sacrificare tutto il resto per quel qualcosa. Capisco quando dici che sembra essere tutta la tua vita. Per me è la stessa cosa con la scienza. E’ un’esperienza totalizzante. Ho molti amici, sparsi per il mondo. Ma non riesco ad avere una vita separata dalla mia vita di scienziata. La mia carriera mi definisce e le ho sacrificato tanto. Ma è la mia passione, fatico a distinguere lavoro e divertimento. A volte sono così stanca che penso che mi stia per esplodere il cervello. Sono certa che quando sarò vecchia e demente sparerò equazioni senza senso, tante ne ho in testa. Quando sono così devastata, l’unico modo per riprendermi è andare a correre o a nuotare. E lo faccio fino allo sfinimento, fino a quando tutti i miei muscoli si lamentano per la fatica e il dolore. Solo allora smetto. Solo allora riesco finalmente a dormire con un po’ di serenità.”

Lo vide sorridere con comprensione.

“Ok, ora sono riuscita finalmente a convincerti di essere una nerd pazza e senza vita sociale, bel lavoro, Cherubini.”

“Ti chiami Cherubini di cognome? Come l’angelo?”

“Sì”.

“Be’, caro il mio angelo, no, non hai fatto altro se non convincermi che sei una persona dannatamente interessante. A questo punto, però, devo alzarmi ed andare. Spero di averli seminati.” E iniziò a sparecchiare il tavolo. Quando lo vide caricare la lavastoviglie, Sara provò un misto di commozione e dolore.  

“Posso chiederti il tuo numero di telefono, Sara? Così la prossima volta ti avviso prima di invaderti casa.” Le chiese mentre si stava infilando la giacca.

Decisamente non la serata tranquilla che si era immaginata. Molto, molto meglio, atrocemente meglio. E ora che Nathan se ne stava andando, Sara si sentiva dolorosamente sola.

“Certo. Non vorrei mai ritrovarmi con te in casa quando esco dalla doccia.” Rispose scrivendo il proprio numero su un foglietto trovato vicino al telefono.

Lo sguardo di lui sembrò per un momento suggerire il contrario. Poi si riscosse, le prese il foglietto dalle mani, la ringraziò di cuore per l’ospitalità, le prese con delicatezza una mano nella sua e la sfiorò con le labbra. “Arrivederci, folletto, dormi bene.” E così dicendo se ne andò.

§

Sconosciuto: Mi sono dimenticato di darti il mio numero di telefono, folletto.

Sara: Forse sono stata io a non chiedertelo, energumeno.

Thor: Così ferisci i miei sentimenti, honey.

Folletto: Ah, dimenticavo che sei un duro con il cuore morbido.

Thor: Ho la scorza dura del guerriero vichingo, io, e un fisico scultoreo.

Folletto: Sei morbido e dolce come un pancake, Thor. E conosci il termine “scultoreo”, ammirevole!

Pancake: Ouch! Tutto ciò che di maschio c’era in me è stato appena annientato da questa tua affermazione, folletto.

Pancake: E ho studiato all’università, per tua informazione. Per 4 lunghi anni.

Folletto: 4 lunghi anni di feste interminabili, vorrai dire.

Pancake: E di allenamenti strazianti e notti a rompermi la schiena sui libri.

Folletto: Ma soprattutto di feste.

Pancake: Non ho mai amato particolarmente le feste. Tu?

Folletto: Sono andata a circa 3 o 4 feste in tutto. Lavoravo e studiavo e non avevo mai tempo.

Pancake: Quindi niente notti insonni e incontri bollenti? L’abbandono dei sensi?

Folletto: Non sono fatta per lasciarmi andare e perdere il controllo.

Pancake: Non l’avrei mai detto.

Folletto: Divertente. Be’, non tutti sono a proprio agio con se stessi come te. A questo punto credo che andrò a dormire. Buonanotte, energumeno.

Pancake: Pancake, vorrai dire. E forse non hai ancora trovato la persona giusta con cui lasciarti andare. Perdere il controllo può essere fantastico.

Folletto: o terrificante. Io propendo per terrificante. Buonanotte, pancake.

Pancake: Buonanotte, folletto. Sogni d’oro.

Sara scelse di passare la giornata seguente a vagabondare per la città senza una meta precisa. La mattina la dedicò all’immancabile visita al mercato di Camden Town, già addobbato per le feste. Le bancarelle che invadevano pacificamente tutto il quartiere erano una sua destinazione fissa ogni volta che visitava Londra. Sempre allo stesso posto da anni, nel padiglione vicino al naviglio, c’era quella bancarella che vendeva sciarpe dove infallibilmente lasciava una somma ragguardevole di denaro. Ne comprò due per sé, una per sua sorella, una per sua mamma e una per Daria, la loro vicina di casa da sempre. Come previsto, spese una fortuna. Per risparmiare un po’, pranzò a casa di Dan con gli avanzi della pizza della sera prima e chiamò il suo ospite mentre si gustava un ottimo caffè macchiato fatto con la sua moka.

“Daniele, io e te dobbiamo parlare!”

“Hai da ridire sulla bomba sexy che ti è entrata in casa ieri sera?” Sara lo sentì ridere, il disgraziato.

“Esatto. Potevi dirmelo! Mi sono presa un colpo! E’ un gigante!”

“E una bomba sexy.” Precisò Daniele.

“Parliamone. Ma dove l’hai trovato? Ci hai provato, per caso?”

“E mi ha dato un due di picche clamoroso.” Le disse ancora notevolmente infastidito.

“Ma non mi dire. Non pensavo che succedesse anche a te.” Dichiarò Sara ridendo.

“Capita ai migliori tra noi. Allora, cosa ne pensi?”

“E’ un tipo interessante.”

“Un tipo interessante. Certo, come no? Sputa il rospo, Cherubini!”

“Ok, mi ha fatto ridere un sacco, ho passato una serata meravigliosa.”

“Ma?” La incalzò Dan. Mai che le desse tregua.

“Ma è una bomba sexy. E ha un cartello lampeggiante con la scritta pericolo sulla fronte.”

“Sara, non puoi escludere a priori un uomo solo perché ha dei bicipiti da urlo. Non è colpa sua. Chiamalo. E’ a Londra per due settimane, da solo. Sta cercando di riprendersi da un brutto incidente e ha finito da poco la fisioterapia. Meno pensa al football e meglio è, credimi. Tu ti stai prendendo la prima pausa da mezzo secolo. Goditi queste due settimane, esci con lui, divertiti. Lasciati trasportare dallo spirito del Natale.”

“Stai cercando di vendermelo, oh piccolo aiutante di Babbo Natale?” Fece Sara sconcertata.

“No. Sto cercando di dirti che siete due bei ragazzi, single, entrambi siete a Londra a leccarvi le ferite ed entrambi avete bisogno di ricominciare. Sara, sono tre anni che non esci con qualcuno. Sei praticamente una vergine di ritorno.” Lo poteva sentire scuotere la testa.

“Mettiamo un paio di cose in chiaro. Primo, non c’è qualcosa del tipo vergine di ritorno. Una volta andata, l’imene è andata per sempre. Per fortuna, aggiungerei. Secondo, bello lo è lui, di sicuro. Io sono un fisico teorico, niente a che vedere con il bello. Terzo, non è vero che non sono uscita con nessuno per tre anni.”

“Non sei uscita per più di mezz’ora con nessuno per più di tre anni. L’appuntamento con il dottore noiosissimo non conta. No,” la interruppe “nemmeno il mezzo stalker conta. Senti, tesoro, devo andare. Mia nonna vuole a tutti i costi preparare gli gnocchi alla zucca per domani. Chiama Nathan e divertiti. Solo ricordati che non ha il cuore di ghiaccio. Non romperglielo.”

“L’unica a rischio qui sono io, credimi. Sono certa di non essere il suo tipo. Salutami tutti a casa, Dan. Mi mancate!”

“Certo, tesoro. Ci vediamo fra un paio di giorni! Buona giornata!”

Londra a dicembre la affascinava da sempre. Le luci di Natale la illuminavano a festa, l’odore delle caldarroste e della resina si spargeva per le viette intorno a Covent Garden, le vetrine dei negozi colme di oggetti luccicanti ammiccavano ai passanti e c’era quel ristorante indiano… solo a pensarci le veniva l’acquolina in bocca. Sarebbe stato di certo la sua meta quella sera. Le era mancato troppo. Una sfortuna che Dan non fosse lì con lei. Ma l’avevano invitata a presentare il suo lavoro in una delle università più prestigiose della Gran Bretagna, con un programma di Astrofisica all’avanguardia, il 20 dicembre. Per quanto fosse una data folle non aveva potuto dire di no. E aveva così tanto bisogno di una pausa, di pensare al proprio futuro senza avere intorno la famiglia e gli amici di sempre che aveva accettato l’offerta di Daniele. Poteva stare da lui nei giorni prima delle feste, tanto casa sua era vuota, e poi avrebbe passato il Natale e il capodanno con lui. Poteva visitare tutti i suoi musei preferiti, magari andare a qualche concerto di Natale e a vedere un paio di musical se riusciva a comprare qualche biglietto scontato. Aveva così tante ferie arretrate che si sarebbe potuta prendere due mesi di vacanza e nessuno si sarebbe potuto lamentare.

Decise di passare il resto del pomeriggio a vagare per il British Museum. Ci era già stata un numero imprecisato di volte e ci tornava sempre, anche se solo per un paio d’ore. Le stanze enormi trasudavano storia, amori e drammi. Potevi immaginarti di camminare tra le strade affollate di Ninive, perderti per ore ad osservare l’elegante bellezza del Partenone e sognare il mondo alla morte di Alessandro, diviso in regni governati dai suoi generali, il ritorno dell’interesse della letteratura ai temi privati…

Pancake: Credo di averti appena vista davanti alla stele di Rosetta.

Folletto: E’ possibile. Sei al British Museum?

Pancake: Mi crederesti se ti dicessi di sì?

Folletto: Ieri hai confessato di aver passato quattro anni sui libri.

Pancake: 4 lunghissimi anni. Quindi so leggere e scrivere. :)

Folletto: Sei interessato alle ceramiche cinesi?

Pancake: Più alla stanza degli orologi.

Folletto: Sei un uomo da sposare.

Pancake: Ti ricordo che recentemente hai reagito con orrore alla mia proposta ferendo il mio orgoglio e i miei sentimenti.

Folletto: Ogni giuria sarebbe dalla mia parte nel dire che non era una proposta seria.

Pancake: Dimmi come fare una proposta seria, angelo, e l’avrai.

Folletto: Ti conosco appena.

Pancake: Allora conoscimi. Iniziamo dalla stanza degli orologi.

Folletto: Solo se poi mi accompagni a mangiare al ristorante indiano. Ti avviso, puzzerai di curry per almeno una settimana.

Pancake: Allora puzzeremo insieme, angelo. Ci sto sempre quando si parla di cibo indiano.

Il resto della giornata e la serata passarono in un attimo. La stanza degli orologi del British Museum era meravigliosa come sempre. Piccole stanzette dalle pareti scure colme di manufatti preziosi e curiosi. Fin dalla prima visita al museo, quando aveva quindici anni ed era venuta in Inghilterra per imparare l’inglese, Sara era rimasta affascinata da quel luogo pieno di ingranaggi, orologi meccanici, carillon e cronometri marini. Nathan guardava con interesse tutti i pezzi in esposizione, ne leggeva i dettagli e sembrava totalmente assorto nella visita. Era una compagnia piacevole, presente ma non stressante, a suo agio tra i reperti come sospettava fosse sul campo.

Andarono a cena nel suo ristorante indiano preferito, vicino a Covent Garden, in taxi. Nathan le disse che era la loro unica chance di evitare turisti americani che l’avrebbero potuto riconoscere e tradire la sua presenza ai paparazzi. Il trucco era scendere dal taxi non troppo lontano dal proprio obbiettivo ma nemmeno troppo vicino, così da non rivelare al tassista la propria destinazione finale.

“Hai totalmente ragione. Queste sono senza dubbio le migliori zucchine al curry dell’Universo. Fino ad oggi non sapevo che ci fosse qualcosa come le zucchine al curry ma sono da urlo.” Disse con chiaro apprezzamento Nathan dopo aver assaggiato il piatto che aveva consigliato lei.

La voce sommessa e profonda la riscosse dai suoi pensieri: “Nulla le batte.”

“Cosa ti tormenta, angelo?”

“Nulla!” Esclamò forse con troppa energia. “Solo… oggi ho parlato con Dan e mi ha detto alcune cose che mi danno da pensare.”

“Dan è un pettegolo della peggiore specie. Vuoi parlarmene?” Chiese con cautela Nathan.

“Non qui. Quando siamo a casa.” Lo vide sorridere sornione.

“Non volevo dire che… cioè…”

“Inspira a fondo, Cherubini.”

“Sei un macho, lo sai?” Disse stizzita.

“Sono un vichingo.” La corresse lui divertito. “E mi farebbe molto piacere venire da te stasera.”

Questa volta fu lui a prendere un bel respiro: “Sara, devo chiederti un favore ma mi mette in imbarazzo.”

Questa poi… il gigante a disagio, chi l’avrebbe mai detto?

“Ieri sera quando sono tornato al mio albergo, c’erano ancora un paio di giornalisti accampati. Sono entrato dal retro e stamattina sono sgusciato via da un’altra porta di servizio. Però sono infastidito. Dan mi ha suggerito di chiederti asilo per un paio di notti. Dice che magari si stancano di cercarmi se non mi faccio vedere per un po’.”

“Nathan, la casa di Dan è ridicola tanto è grande. Ci sono tipo tre stanze degli ospiti. E’ ovvio che tu sia il benvenuto. Dobbiamo passare a prendere le tue cose?”

“No, grazie. Ho un paio di cassetti pieni a casa di Dan. Praticamente una di quelle tre stanze è il mio rifugio usuale quando sono a Londra e voglio nascondermi per un paio di giorni. Dan è sempre molto ospitale.”

Sara annuì. Daniele aveva un cuore d’oro. Non avrebbe mai lasciato un amico in difficoltà e poteva tranquillamente immaginarsi come l’idea di una persona cara assediata dai giornalisti in un momento complicato lo potesse mandare in bestia.

Dan era arrivato a Londra a diciannove anni, si era da subito rimboccato le maniche e aveva iniziato a lavorare in una cucina come tuttofare. Viveva in un ostello e studiava in una scuola da chef o qualcosa del genere. Piano piano si era fatto notare e aveva iniziato a fare carriera. A ventisette anni aveva aperto il proprio ristorante ed era già un giovanissimo chef, amato dalle star e dai palati più esigenti di Londra. A trent’anni poteva tranquillamente dire di avere sfondato. Ma tutta questa notorietà non lo aveva cambiato di una virgola. L’unica differenza era che ora poteva permettersi di prendersi due settimane di ferie prima del Natale, il periodo più stressante dell’anno come diceva lui, e tornare nel suo paesino appollaiato sulle Alpi orobiche. Gli amici e la famiglia venivano sempre al primo posto. Sara era molto alta in classifica e si sentiva sempre al sicuro con lui. Anche ora che non era lì con lei, casa sua era una vera e propria oasi di pace.

Nathan sfruttò la sua distrazione per pagare il conto e chiamare un taxi. E accettò stoicamente e in silenzio le sue recriminazioni perché era un vichingo maschilista che si sentiva in dovere di pagare il conto e tenerle aperta la porta del ristorante e del taxi e che si era persino alzato in piedi quando lei era andata in bagno e quando era tornata.

La seguì dentro casa e una volta in soggiorno, le prese la giacca e andò a riporla nel guardaroba.

“Sara,” le disse con serietà “non è questione di maschilismo. Il fatto che mi comporti da gentiluomo non significa che io ti reputi inferiore a me, meno capace o che so io. So benissimo che sei in grado di aprire una porta, di ritrovare la strada per il tuo tavolo al ristorante una volta che sei andata in bagno”, lo vide sorridere beffardo al ricordo delle sue proteste, “e che ti puoi permettere di pagare una cena da diciotto sterline. Hai un dottorato in fisica teorica, per l’amor del cielo. Niente è più impressionante di così. Sei la persona più interessante che io abbia mai incontrato. Hai un debole per i musei e per la storia, ti piacciono i film di Vin Diesel, cucini la pizza migliore dell’Universo e hai un senso dell’umorismo da impazzire. Non so perché tu stia ancora perdendo il tuo tempo con me ma ho intenzione di godermi ogni secondo della tua compagnia. Fatto sta che non mi comporterò da vichingo sgarbato con te solo perché hai inutilmente paura che non ti stimi abbastanza. Ti conosco da ieri sera e ti ammiro già come se fossi il tuo fan numero uno. Sei sorprendente e meravigliosa. Ma io sono stato cresciuto da gentiluomo. Perciò, rassegnati. Le porte le apro io, quando ti alzi da un tavolo mi alzo anche io. Credimi, faccio abbastanza ginnastica da riuscire a farlo. E il conto lo pago io. Ho uno stipendio esagerato e posso permettermelo.”

Tutto ciò che Sara riuscì a fare fu annuire, a questo punto.

“Perfetto. Ora che ci siamo chiariti, ti va un tè?” Sara annuì di nuovo.

“Hai intenzione di continuare ad annuire?” Sara ripeté il movimento con un sorriso.

“Allora, mi vuoi dire cosa ti affligge?” Il movimento morì sul nascere. “Cosa ti ha detto Dan?” Incalzò lui.

Sara si sedette su uno sgabello vicino all’isola e si decise a parlare: “Nathan, mi trovo a disagio. Chiamami egoista ma mi sto godendo questa nostra non-conoscenza. Non voglio dire che non voglio conoscerti, voglio dire che sto avendo l’opportunità di conoscerti con calma, senza pregiudizi, senza gossip, e sono certa che questa non sia un’occasione che si presenta spesso.” si affrettò ad aggiungere.

“Sara,” le rare volte che pronunciava il suo nome lo caricava di dolcezza: “mi sto godendo anche io questo momento. Non sei egoista. E hai ragione. In genere, conoscono tutti una versione pubblica di me, che mi piaccia o meno. Ogni mio errore, ogni frase viene sezionata e sbattuta sui giornali, sui blog. Internet è l’inferno per uno come me. Il fatto che tu non mi conosca come il giocatore di football che sono mi riempie di gioia. So che sembro un ingrato. Amo il mio lavoro e la mia squadra. Mi ha dato degli amici inseparabili nel corso degli anni. Sono praticamente la mia famiglia e mi sono sempre vicini. Il football ha fatto di me una star, non avrò mai problemi di soldi, la gente mi vuole bene, anche se ci sono in giro un paio di pazzi che mi vogliono morto, credo. Ma difficilmente mi sono sentito così bene come in queste ultime ventiquattro ore. Sarà che non ti importa un fico secco del football, sarà che non sei americana, ma riesco a essere me stesso. Non riesco nemmeno a usare un filtro quando parlo, accidenti a me.”

Sara rise divertita: “Non dirlo a me! Sembra che io abbia l’istinto di raccontarti qualunque cosa mi passi per la testa!”

“Usiamo questa dichiarazione: differenze tra rugby e football. Tre, due, uno…”

“Oh, sì. Il football è molto più violento del rugby che è uno sport violento.”

“Non ti piace il football?”

“Assolutamente, no. E’ terribile. Non ho mai guardato una partita, a dire la verità, lo so che non dovrei giudicare, ma non capisco proprio cosa ci sia di entusiasmante. Il rugby lo capisco un po’ di più. Ho visto una partita bellissima, una volta.”

“Davvero?”

“Sì, Italia – All Blacks tanti anni fa. Quella sì che è stata una partita magnifica. Non c’era gioco. Il rugby non è un gioco molto popolare in Italia, non da molto comunque, e gli italiani non hanno sempre il fisico per contrastare i neozelandesi. Se fossi stata uno di loro appena visto il loro inno mi sarei fatta stordire da un amico così non avrei dovuto giocare contro di loro. Mi hanno fatto paura persino dalla televisione. Guarda che non c’è nulla da ridere! Avresti dovuto vederli!”

“Li ho visti. Sono enormi davvero, hai ragione.” Disse lui ridendo. “E come è andata la partita?”

“Be’, innanzitutto c’erano un sacco di famiglie sugli spalti. Non ho mai visto tanto spirito sportivo. Mi ha fatto enormemente piacere. Negli stadi di calcio, in genere lo lasciano a casa. Bene, gli All Blacks stavano vincendo cinquantasei a zero. Il pubblico incitava comunque i nostri a fare del loro meglio. Ma sapevamo tutti che non sarebbero riusciti a fare nemmeno un punto. Insomma, non prendiamoci in giro. Era come una partita di calcio fra la nazionale italiana e la squadra della scuola elementare dell’Isola di Pasqua. Nonostante la loro buona volontà, non avevano chances. Eppure, verso la fine, uno dei nostri è riuscito a segnare un punto. Non so se sia stato davvero per sua bravura o perché si era trovato lì con la palla. Però ha segnato. 56 a 1. Un’esplosione di gioia ha investito gli spalti. E gli All Blacks dopo i primi momenti di comprensibile sconcerto lo sai che cosa hanno fatto?”

“No, cosa?”

“Hanno sollevato il ragazzo italiano e l’hanno portato in trionfo per tutto lo stadio. Non si aspettavano nemmeno un punto dagli italiani e invece si sono trovati davanti una squadra che nonostante la visibile e ovvia inferiorità ha continuato a giocare onestamente e cocciutamente. E alla fine è riuscita a fare loro un punto che valeva per noi come una vittoria. E’ stata una manifestazione di grande sportività. Da noi se ne è parlato per una settimana. Ed è stata una bella lezione per tutti.”

“Sì, spesso si pensa solo a violenza e odio e si dimentica che lo sport è soprattutto un gioco. Anche nel football è così, sai? Quando entri nella NFL diventa un lavoro e la pressione è immensa, ma prima, quando ancora giochi al college… nulla è meglio di cosÌ.

“NFL?”

“National Football League”, spiegò divertito.

“E’ come la serie A del calcio italiano?”

“Qualcosa del genere.”

“E in che ruolo giochi?”, si azzardò a chiedere.

“Secondo te? In che ruolo gioco?”

“Portiere?”

Una risata fragorosa accolse il suo suggerimento.

“Non… non c’è il portiere.”

“Stai balbettando, te ne rendi conto?”

“Ok, mi riprendo, scusami, è che… portiere…” e rise di nuovo.

“Quindi? In che ruolo giochi?”

“Le chiamiamo posizioni. Sono un quarterback. Se proprio vuoi continuare con il paragone con il calcio, sono una specie di attaccante.”

“Sei quello che segna i goal?”

“Di solito sì.” Sorrise soddisfatto. “Allora, cosa ti ha detto Dan?”

“Non ti arrendi mai?” Chiese esasperata Sara.

“Non è nella mia natura, no.”

“Dan mi ha detto che sei qui per riprenderti da un brutto incidente, che hai appena finito la fisioterapia. So che nel football sono comuni le commozioni cerebrali e questa informazione mi ha turbata.”

“Per fortuna, no. Non ho mai sofferto una commozione cerebrale e spero che non capiti mai. Hai ragione ad esserne spaventata. Si rischiano danni permanenti al cervello. Il mio infortunio è stato alla spalla sinistra. Sono stato fuori per un pezzo. Ma ora va molto meglio, ho già ricominciato con degli allenamenti leggeri.”

 “Perché sei a Londra?”

“Sto pensando di lasciare. Sono stato fortunato con la spalla, poteva essere la schiena. Non lo so, è stata come una doccia fredda per me. Come ti ho detto, il football è tutta la mia vita al momento. Gioco da professionista da nove anni e forse è giunto il momento di lasciare. I giornalisti hanno fiutato qualcosa e non mi danno tregua. I miei amici dicono che sono depresso e che passerà appena sarò ritornato sul campo. Dan dice che sono un idiota anche solo a pensare di voler tornare a giocare.” Sorrise leggermente scuotendo la testa.

“Lo capisco.” Ammise Sara. “A noi sembrano quasi scene di guerra, con quegli energumeni così bardati. Sta meglio la spalla?”

“Sì. Ho la mia cicatrice di guerra e via. E tu? Perché sei a Londra?” Chiese a bruciapelo.

“Sto pensando di lasciare l’università. Mi è stata offerta una posizione prestigiosa e non sono certa di volerla accettare. Un paio di anni fa avrei fatto i salti di gioia.” Confessò. “Solo Dan lo sa. Non voglio dare pensieri a nessuno. Mi sembra di aver sacrificato così tanto. Ho traslocato già parecchie volte. Sono stata a Bologna per l’Università, a Marsiglia per la tesi, a Monaco di Baviera per il dottorato e ora sono a Heidelberg come ricercatrice. E nel mentre ho fatto lunghi viaggi di lavoro, tra gli Stati Uniti, il Cile e Giappone. Non sono più certa che il gioco regga la candela. Mi sembra che manchi qualcosa nella mia vita e non so come fare a riempire questo vuoto.”

“So che sei stata ferita, e molto.” Aggiunse con cautela Nathan e spiegò: “Dan non mi ha detto nulla, non temere. E’ qualcosa che ho notato subito in te. Essere un bravo osservatore fa parte del mio ruolo. So che qualcuno ti ha fatto del male. Vedo come mi guardi, come sembri a disagio se qualcuno ti passa troppo vicino, come ti muovi a volte con circospezione. Non devi dirmi nulla se non te la senti. Voglio solo dirti che so, che non ti farò mai volontariamente del male e che non ti bacerò finché non sarai tu a chiedermelo.”

“C—cosa?” Non esattamente cool.

“Non prendermi per un pazzo ma desidero baciarti da quando ti ho visto brandire quella padella ieri sera. E ogni minuto che passo con te mi fornisce una ragione o due in più per farlo. Ma non ho intenzione di spaventarti ancora più di quanto tu già non lo sia. So che la mia mole ti mette a disagio. Non so esattamente perché ma posso immaginare uno o due scenari.” e così dicendo si incupì. “Voglio solo che tu sappia che vorrei tanto prenderti tra le mie braccia, sfiorare con la punta delle dita il tuo viso, toccare le tue labbra e poi baciarti. Ti bacerei piano, con calma, lascerei che ti abituassi alla sensazione e poi approfondirei il bacio, metterei una mano tra i tuoi capelli e ti attirerei a me. Ma non lo farò finché non sarai tu a chiedermelo.”

“Angelo? Non vuoi dire nulla?” Disse con fare divertito: “Mi stai fissando a bocca aperta.”

Sara si riscosse, le gambe le erano improvvisamente diventate di gelatina. Poggiò una mano sul piano di lavoro dell’isola per trovare appoggio.

“Cosa… cosa dovrei dire?” E si lasciò andare, mai che riuscisse ad attivare il filtro cervello-bocca in presenza di Thor. “Mi stai prendendo in giro, per caso?”

Nathan reagì con tono quasi offeso: “mai stato più serio in vita mia.”

“Ricapitoliamo: ti conosco da ieri sera. Sei un atleta superfamoso. Sei divertente, intelligente e colto. Fino a ieri non pensavo che fossero gli aggettivi perfetti per descrivere un giocatore di football.” Questa affermazione le guadagnò un sorriso compiaciuto: “Sei una bomba sexy, chissà quante donne somiglianti a Barbie ti si lanciano ai piedi. E vorresti farmi credere di volermi baciare? E’ forse una specie di scommessa con te stesso perché ti ho detto che non ero interessata?”

“Bomba sexy, eh? Mi piace la piega che sta prendendo la nostra conversazione.” Replicò Nathan soddisfatto.

“Parole di Dan.”

“Lo so.” rispose lui soddisfatto. “Mi chiama spesso così. E ora lascia che ti spieghi qualcosa, e non osare chiamarlo mansplaining. E’ qualcosa che evidentemente non sai.”

Sara si irrigidì ma lo lasciò parlare.

“Hai ragione. Sono famoso. Ci sono un sacco di Barbie, come le chiami tu, che farebbero follie per stare con un giocatore di football professionista. Per le suddette Barbie, ogni giocatore vale l’altro. Io sono la star del momento, per cui sono magari fissate su di me, ma l’anno prossimo sarà qualcun altro. Con te è diverso. Tu vedi me. E so che sei attratta da me. Per la prima volta nella mia vita, spero che il mio aspetto fisico piaccia a qualcuno. Di solito l’idea mi infastidisce ma con te ci tengo.  Forse non riesci a vederti come ti vedo io. Sei una donna bellissima. Sei snella e sportiva. Sei uno scricciolo in confronto a me, ma non sei bassa o minuta. Mi fa impazzire come quel maglione di lana bianca abbraccia tutte le tue curve. Mi fa impazzire quando ti sciogli la coda e i tuoi capelli color cioccolato ti scendono sulle spalle in onde morbide. Perché me lo sento, sono morbidi come seta. Mi piacciono il tuo collo sinuoso, la tua bocca piccola, sempre pronta al sorriso, le tue labbra color corallo, i tuoi occhi profondi e scuri. Mi perderei per ore a guardarli. Sono così intelligenti e vivi e… e non dirò nulla di ciò che penso dei tuoi jeans al momento perché ci conosciamo troppo poco perché possa esprimere un pensiero del genere.” Rise di gusto ma continuò a guardarla negli occhi. “Ma c’é altro. Mi piace come ti muovi, con grazia e calma. Adoro il fatto che non indossi trucco e che porti scarpe basse perché ti piace camminare. Trovo irresistibile il fatto che con te io possa parlare di arte e di tecnologia, che possa raccontarti del football anche se sembri odiarlo. Mi addolora pensare che tu non voglia parlarmi di scienza perché temi di annoiarmi o, peggio, che io non capisca. Sono terrorizzato dal fatto che tu possa considerarmi troppo immaturo o incolto o stupido…”

“Stop. Smettila.” Lo interruppe con fervore Sara che era al contempo impallidita e arrossita alle sue parole. “Mai e poi mai ti considererei stupido! E non ti giudico immaturo perché ami il football. Lungi da me! So quanta dedizione, quanta fatica si nasconde dietro a ogni partita. Quindi smettila di preoccuparti. Per quanto riguarda il resto, non credo di potertelo dire guardandoti in faccia.”

Nathan fece un passo verso di lei. Spalancò molto lentamente le braccia e le disse: “Permettimi di abbracciarti. Così mi puoi parlare senza dovermi guardare in volto.”

Sara si immobilizzò. “Stai dicendo sul serio.” constatò.

“Sono serissimo.”

Il respiro le accelerò, il cuore le si mise a battere all’impazzata nel petto che sembrava a un passo dal voler esplodere ma Sara decise che forse Dan aveva ragione e che doveva smettere di scappare da se stessa. Fece un passo in avanti, poi un altro, fino a quando non fu a pochi centimetri da Nathan. Posò la testa sul suo petto e notò che anche il suo cuore batteva forte.

“Sto per chiudere le braccia.” Disse lui con voce roca: “dimmi quando è troppo e le aprirò immediatamente.”

“Non sei stupido.” Ripeté convinta.

“D’accordo. Non sono stupido.” acconsentì lui a voce bassa.

 “Non sono abituata a parlare del mio lavoro con i miei amici, con persone che non sono colleghi.”

“Lo capisco. Dall’esterno la prospettiva è sempre diversa e di solito più rosea del dovuto. Anche lo sport è visto con romanticismo. Nessuno vuole vederne gli aspetti negativi. Immagino che sia lo stesso con la Fisica.”

“Sí.” rispose. Per un attimo non disse più nulla, si lasciò cullare dal calore che emanava da Nathan, dal conforto che il suo abbraccio le stava dando. Profumava di pulito e di spezie.

“Mi hai chiesto se ti trovo attraente.” Aggiunse con un filo di voce. “Sei bellissimo, ovviamente ti trovo attraente. Sei una montagna di muscoli. Solo a un alieno non piaceresti.” Nathan fu scosso da una risata sommessa. “Ho paura di te. Rappresenti un pericolo per me.” l’abbraccio si strinse leggermente, come a darle forza.
“Ti trovo così bello da essere irreale. Il tuo sguardo è così intenso che non riesco a sostenerlo. Il tuo senso dell’umorismo mi riempie di gioia. Sei comprensivo e dolce e intelligente. Sei colto e so che ti ferisce il pregiudizio per cui uno sportivo deve per forza essere una testa vuota. Non sto dicendo che al mattino quando mi sveglio voglio poter discutere di Proust ma…”

“Stai citando Woody Allen? Sono io che sono in pericolo. Adoro Woody Allen!” Lo sentì mormorare con sorpresa.

Si ritrovò a ridacchiare. “Non dico di voler parlare di Proust al mattino, ma può capitare. Non voglio sentirmi in colpa quando lo faccio. Io sono curiosa e non ho paura di ciò che non conosco, di ammettere di non sapere qualcosa. Per tanta gente non è così. E so che con te non mi devo preoccupare di ciò che dico. L’ho saputo subito.”

Prese fiato e si avventurò: “Ma ciò non significa che io mi lasci baciare dal primo quarterback che attraversa il mio cammino. Non dopo ventiquattro ore che lo conosco. Ti sto già dicendo più di quanto dovrei. Ti sto lasciando fare più di quanto dovrei. Alla fine di queste due settimane te ne tornerai in America alla tua vita di sempre e io sarò a pezzi. Già lo so.”

“Mi sento male solo al pensiero ti tornare alla mia vita di sempre.” Le sussurrò Nathan. “L’idea di non averti con me mi addolora. Mi sembra di essere impazzito. Possono ventiquattro ore cambiare tutto?”

“Non mi vorrai dire che ti sei preso una cotta per me, pancake!?” Replicò lei cercando di ritrovare un po’ di leggerezza.

“No. Non sono un sostenitore dell’amore a prima vista.” Corresse lui. Non le sfuggÌ che avesse parlato di amore, non di cotta. Sentì le guance bruciare all’improvviso e rispose: “nemmeno io. Sono una persona troppo razionale per crederci.”

“Credi all’istinto?” Chiese lui con la sua voce profonda.

“Sí. Con tutta me stessa. Fa parte di me in quanto fisico e lo coltivo da anni.”

“Anche io. E’ stato l’istinto a salvarmi sul campo. Ho come sentito che qualcosa non andava e mi sono mosso in tempo per limitare i danni. A quest’ora sarei per sempre su una sedia a rotelle se non fosse stato per il mio istinto. E il mio istinto mi dice che io e te dobbiamo passare molto tempo insieme.”

“Nate.” La voce le tremava quando disse: “non posso. Mi sono lasciata con il mio ragazzo e…”

“Quando?” Chiese semplicemente.

“Tre anni fa.”

Lo sentì aggiustare la posizione delle gambe, come se si stesse preparando a ricevere un colpo.

“Cosa ti ha fatto?”

Era possibile che sapesse? Nemmeno Dan sapeva tutto. Non avrebbe mai sopportato la vergogna di confessargli cosa era successo.

“Siamo stati insieme tanti anni, anche se avevamo una relazione a distanza. E’ un ingegnere, di un paio d’anni più grande di me. Capiva tutto del mio lavoro, conosceva bene la fisica. Ha molto talento.”

“Immagino. Era il tuo ragazzo, dopotutto.” Confermò con delicatezza Nathan.

“Una sera eravamo…” e si fermò. Come poteva dirgli queste cose?

“Vai avanti, honey, era il tuo ragazzo. So che dovete essere stati in intimità. Non mi spaventerò per questo anche se il pensiero mi disturba.”

Sara chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e sparò tutto d’un fiato: “Una sera eravamo a letto. Non so perché ma non mi andava… non ero di buonumore o non me la sentivo. Non mi ricordo.” Le braccia di Nathan la strinsero di più. “Fatto sta che gli dissi che non ero molto interessata. Forse non l’ho detto con sufficiente convinzione, forse non ha sentito… insomma, facciamola breve, si è preso ciò che voleva. Io ero come paralizzata. Non riuscivo a muovermi o a parlare. Mi ricordo di aver premuto con le mani sul suo petto, di aver provato a muoverlo ma niente. Mi ricordo ancora di come mi toccava il seno, la sua aria soddisfatta dopo che era venuto…” la sua voce era solo un flebile sussurro. Se non fosse stata tra le sue braccia, dubitava che Nathan la avrebbe anche solo potuta sentire. “Forse ne ho fatto un dramma senza motivo. Sono troppo sensibile…  Non so. Si è rotto qualcosa. Ho rotto con lui, tagliato tutti i ponti. Da allora non riesco a uscire con nessuno, ho degli incubi, non riesco nemmeno a…” e iniziò a singhiozzare. Lui la lasciò piangere e si limitò ad abbracciarla e a cullarla contro di sé.

“Riesci ad avere un orgasmo quando sei da sola?” Le chiese con dolcezza quando si fu calmata.

Sara sobbalzò. “No. Mi irrigidisco. Non ci riesco. Te l’ho detto. Ne ho fatto un dramma senza ragione.”

Sentì una mano ruvida sotto al mento. “Guardami negli occhi.” Intimò lui.

La voce era seria e severa.

“Angelo, non pensarci nemmeno per un secondo. Quell’animale ti ha violentata.”

Quelle parole crude la fecero sussultare nuovamente.

“Honey, ti chiedo scusa se ti sono sembrato privo di tatto. Ma dovevi sentirmelo dire. Era il tuo ragazzo, doveva proteggerti, doveva capire come ti sentivi e non pensare con il cazzo.” Borbottò un insulto a se stesso. “Scusami, non riesco a controllare il mio tono. Sento vergogna nella tua voce ma non c’è nulla di cui vergognarsi. Sei stata tradita e violentata. Il fatto che fosse un bravo ingegnere e che non fosse in genere una persona malvagia, non cancella il fatto che fosse un bastardo. Le persone purtroppo non sono solo bianche o nere, buone o cattive.”

Le lacrime ripresero a scendere copiose sulle sue guance. Si sentiva svuotata e stanca. Abbassò nuovamente lo sguardo e mormorò: “Ora sai. Non dirlo a Dan, per piacere. Starebbe solo male. Te l’ho raccontato solo perché tu capissi. Io non posso, non riesco… non sono neanche certa che potremmo fare l’amore, che tu riusciresti a… entrare…”

“Angelo, ci sono molti modi per fare l’amore che non coinvolgono la penetrazione. E ti darei tutto il tempo che ti serve, di questo ne puoi stare certa.”

“Non ti sei ancora arreso? Non capisci che ci potrebbero volere mesi, anni?”

“Non sono mai stato un tipo da una notte e via.”

“Adesso mi stai prendendo in giro.”

“No. Non ti nego di aver avuto le mie brevi esperienze e, no, nessuna grande relazione fino ad ora. Ma ho appena scoperto che ventiquattro ore possono cambiare tutto.”

“Mi hai detto di non credere all’amore a prima vista.”

“Infatti. Credo all’amore che cresce giorno per giorno, ma credo che inizi da qualcosa. Quel qualcosa è l’immagine di te che brandisci una padella minacciandomi di darmi una lezione come in un film di Bud Spencer.” E si mise a ridere di cuore.

“Prima o poi dovremo lavorare su questa tua ossessione per le padelle.”

“E’ il mio nuovo sogno erotico.” Commentò sempre ridendo Nathan.

“Andiamo a sederci sul divano?” Chiese titubante Sara. Nathan lasciò la presa con delicatezza, come ad assicurarsi che riuscisse a stare in piedi da sola e andò verso il divano.

Sara si sciacquò velocemente il viso sotto l’acqua del lavandino, si asciugò con una salvietta morbida e si avviò con decisione verso il suo vichingo.

“Non dire nulla. Resta seduto lì e non ti muovere.” Gli intimò.

“Agli ordini, capitano.” Rispose ridendo Nathan.

Sara strinse i pugni, prese un bel respiro profondo e gli salì a cavalcioni sulle ginocchia. Lo vide trattenere bruscamente il fiato. “Dan dice sempre che devo darmi una seconda chance.” mormorò mentre gli accarezzava con esitazione il viso. Sentì la superficie ruvida delle guance, la pelle morbida degli zigomi, vide quegli occhi verdi e nocciola riempirsi di commozione e tenerezza e lo baciò leggermente sulla fronte.

“Promettimi che mi ascolterai. Promettimi che non mi farai del male.” pregò.

“Verrai sempre prima tu, folletto.” E un sorriso gli si stampò in faccia.

“Era un doppio senso?!” Esclamò divertita e sconcertata Sara. “Come osi?” E gli diede un pugno sul petto. “Ahia! Ma cosa c’è lì sotto, acciaio?”

La sua risata profonda la accolse nuovamente. “Sei curiosa di scoprirlo? Puoi scartarmi come tuo regalo di Natale, se vuoi”. Aveva ancora le braccia lungo il torso, come se avesse paura di spaventarla.

“Promesse, promesse… Piuttosto dimmi, cosa hai studiato all’università, vichingo?” chiese.

Un’altra risata: “Psicologia e matematica.” Fu la risposta.

“Dovevo immaginarmelo.” Concluse. “Eri anche nella squadra di dibattito, per caso?”

“Se rispondo di sì, guadagno dei punti o li perdo?” Rispose divertito.

“Pancake, baciami come hai promesso e domani ti porto alla National Gallery.”

“Chiudi gli occhi e fai un bel respiro, angelo. Stiamo per fare l’amore per la prima volta.”

E mantenne la promessa.
                                              
                                                                       §

“Mac, se solo non ti amassi alla follia, ti starei insultando. Dannazione, fratello, sono le 2 di notte. Dimmi che è un’emergenza!”

“Alec, non ci ho pensato, scusami. Qui sono le sette del mattino… E’ solo che…”

“Cosa c’è, Mac? Mi stai facendo preoccupare.”

“Alec, mi sono preso una cotta da paura.”

Il silenzio all’altro capo del filo accolse le sue parole. Poteva sentire le rotelle girare nel cervello del suo più caro e vecchio amico nonché compagno di squadra da sempre.

“Mac, lo ammetto, è una bomba sentirtelo dire. Ma posso capire che una volta deciso, tu non sia riuscito ad aspettare. E’ questo che ti turba? Sai che sono dalla tua parte, amico. Sempre. Sono tuo fratello, dopotutto.”

“Ma cosa stai blaterando, Alec?”

“Ti sto dicendo che hai il mio supporto. Hai intenzione di renderlo pubblico o volevi solo dirlo a me?”

“Ma cosa…?”

“E’ il tuo amico italiano?”

Uno scroscio di risa nervose lo colse. Non sapeva se fosse il lato comico o la disperazione che lo faceva ridere ma ci mise più di un minuto a riprendersi.

“Alec, siamo cresciuti insieme, diamine! Ti pare che avrei potuto tacerti una cosa del genere? Siamo sempre insieme, tipo venti ore al giorno!”

“Non mi hai chiamato per dirmi che sei gay?”

“Ti ho dato mai l’impressione di essere gay?”

“No, ora che mi ci fai pensare no.”

“Ecco. Ora ascoltami: Dan è un carissimo amico e mi sta ospitando a casa sua ma non é per lui che ti ho chiamato. Ha un’altra ospite… una sua amica italiana, assolutamente fuori dalla mia portata.”

“Mac, poche donne sono fuori dalla tua portata. Dovresti saperlo ormai. Se solo ti decidessi a uscire con qualcuna, invece di vivere come un santo eremita, lo sapresti.”

“Alec, ha un dottorato in fisica ed è bellissima.”

“Ok, dicevamo, fuori dalla tua portata. Figurati se non andavi a sceglierti un mezzo genio. Quando l’hai conosciuta?”

“Mercoledì sera, verso le sette.”

“Mercoledì sera come in circa 40 ore fa?”

“Vedo che sai contare.” Commentò asciutto Nathan.

“Sono fratello tuo, dopotutto.” Rispose rassegnato Alec “Ok, te lo devo chiedere. Te la sei già portata a letto?”

“No. Ma ci siamo baciati.”

“E?”

“E basta. L’ho baciata e ora sono certo di essere innamorato di lei.”

“E chi sei, la bella addormentata nel bosco? Strega! Cosa ne hai fatto di mio fratello, il quarterback?” Lo derise Alec. “Senti, Mac, io queste cose non le capisco. La mia diagnosi in genere sarebbe che non scopi abbastanza.”

“Ma?”

“Ma siccome sei tu e sei fuori di testa, ci può anche stare. Vorrei solo ricordarti quello che hai detto a Jim qualche mese fa.”

“Non esiste l’amore a prima vista.” Ripeterono all’unisono.

“Però esiste la chimica.” Ribatté Nathan “Ho detto anche questo a Jim. A volte si fa semplicemente click.”

“Spiegala con gli ormoni, con il tuo periodo del mese, con quello che vuoi, Nate, ma stai attento.” La voce si fece sommessa e roca: “Ti ho visto a terra come non mai negli ultimi mesi, fratello. Dan e Jake erano preoccupati da morire. I ragazzi sono ancora mezzi scioccati dall’incidente. Non ti voglio vedere di nuovo a pezzi. Ricordati che tra due settimane sei di nuovo a New York. Come farai?”

Nathan rispose con un filo di voce: “Non lo so. E’ per questo che ti ho chiamato. Non so come farò.”

“Maledizione, Nate. Vuoi che prenda il primo volo? E' venerdì. Forse posso venire per il weekend.”

“No, no, Alec. Non ti voglio rovinare il Natale. Devo affrontare questa situazione da uomo.”

“Questa ragazza, com’è?”

“Uno schianto. Ha un accento fantastico. Sembra un elfo di Babbo Natale tanto è carina.”

“Dimmi che non glielo hai detto?! Altrimenti ha tutte le ragioni per non dartela.”

“La chiamo folletto. E’ meravigliosa.”

“E le sta bene?” Chiese sconcertato Alec.

“Mi ha minacciato con una padella due sere fa.”

“Già mi piace. Me la dovrai far conoscere, Mac. Ora me ne torno a dormire o il coach mi massacrerà all’allenamento se scopre che non ho dormito come un neonato.”

“Certo, grazie, Alec.”

“Prima dimmi: ti stai allenando? So che è un argomento che non ti piace e capisco che tu non ne voglia parlare ma abbiamo bisogno di te.”

“Sono già andato a correre, mamma, e ho fatto 350 addominali. Le flessioni… lo ammetto, ne ho fatte poche ma la spalla mi fa ancora un male cane.”

“Mac, fa attenzione, fratello. E vaffanculo.”

“Ti amo, Alec.”

“Anche io, Nate, e non so perché. Notte.”

“Notte.”

                                                                       §

“Che buon profumino!” Esclamò Sara arrivando in cucina. “Oh, non ci credo! Hai usato l’astronave per fare il caffè?”

“Quella macchinetta infernale non so come funzioni.” Si giustificò burbero il suo gigante indicando la moka. Smettila di chiamarlo il tuo gigante! Ti ha solo baciato, sei proprio disperata! Disse una vocina malvagia nella sua testa.

“Hai dormito bene?” Chiese per distrarsi.

Nathan scosse il capo: “Non ho dormito. Tu?”

“E’ brutto se dico che non ho mai dormito meglio? Mi sono tolta un peso dal petto.” E chiese con voce meno ferma di quanto avrebbe desiderato: “Perché non sei riuscito a dormire? Forse ti sei… ti sei pentito per ieri sera? Posso capirti, sai. Se è tutto troppo intenso, se ti sembra di aver fatto un errore…”

Non poté continuare perché si trovò avviluppata tra le sue braccia.

“Ok, non stritolarmi però.” E rise.

“Non dirlo nemmeno per scherzo.” Esclamò Nathan e aggiunse con voce più calma: “Mi prendi per un pazzo maniaco se ti dico che non sono riuscito a dormire perché ho pensato a te tutta notte?”

“E a cosa hai pensato? Non ci conosciamo quasi, non può averti preso tutto quel tempo.” Rispose Sara ridendo.

“Ho pensato a tutto quello che vorrei fare con te, i posti che vorrei visitare qui a Londra, a quello che mi hai detto ieri.”

Sara si irrigidì e chinò il capo: “Nathan, non so perché te lo ho detto. Forse perché non ti conosco affatto ed è più facile parlare a uno sconosciuto, forse perché volevo che tu capissi le mie remore. Che capissi che non riuscirò a prendere questa cosa tra noi troppo alla leggera. Non te l’ho detto perché avessi pietà di me.”

“Sara, ti è stato fatto del male. Non provo pietà, provo dolore.” Lo sentì tremare leggermente “E rabbia. Provo molta rabbia. Per quanto riguarda la ragione per cui tu me l’hai detto, non è nessuna di quelle che hai elencato tu. Me l’hai detto perché volevi spaventarmi. Aspetta,” stroncò sul nascere le sue proteste: “non lo dico in senso negativo. E lo capisco. Come hai detto tu, questa cosa tra noi è incredibilmente intensa. Io vivo sul continente sbagliato, gioco a football… hai voluto assicurarti che io sapessi che non stai cercando una scopata natalizia. Oops, scusa per il linguaggio.” Si scusò dopo aver notato la sua smorfia. “Ho appena parlato al telefono con un amico e…”

“Non scusarti. Hai ragione. Non sto cercando una scopata natalizia. Anche volendo, non credo di farcela prima di Natale.” disse ridendo. “Però mi piacerebbe.”

Fu scossa dalla risata profonda di Nathan, che continuava ad abbracciarla e a non mollare la presa.

“Cosa ti piacerebbe, esattamente?”

“Lo sai e non me lo farai ripetere.” Si finse offesa. “Ad ogni modo, hai ragione. Se proprio inizierò qualcosa, voglio che abbia significato. Non deve per forza andare bene ma almeno avere una prospettiva.”

Nathan la liberò dal suo abbraccio e le diede un lieve bacio sulle labbra. “Troveremo una soluzione, folletto.” mormorò.

E a voce più alta le chiese: “allora, lo vuoi provare questo cappuccino? Ho anche comprato due croissant al bar italiano qui di fronte.”

“Guarda che sono italiana, stai correndo un grave rischio. Noi abbiamo un’ossessione per il caffè! E così dicendo provò il cappuccino. Perfetto, figuriamoci. Glielo doveva aver insegnato Dan. Lui era il maestro della schiuma.

Parlarono del più e del meno durante la colazione e fecero piani per la giornata. Avrebbero visitato la National Gallery e sarebbero andati a comprare un abete. Dan sarebbe stato felicissimo di tornare a casa e trovarla addobbata per il Natale. Sara sapeva dove teneva tutte le decorazioni e con un po’ di fortuna avrebbero anche trovato la scatola con il presepe.

Il giorno passò in un soffio: parlarono di tutto e di niente, camminarono per ore e si godettero una giornata senza neve e non troppo fredda. Una volta arrivati a Trafalgar Square decisero di non andare alla National Gallery perché sembrava troppo affollata e Nathan voleva evitare a tutti i costi di essere riconosciuto. Andarono quindi alla poco distante National Portrait Gallery.

“Ma insomma, non è ridicolo istituire un museo dove sono conservate le facce ritratte di gente famosa? E poi, sono sicuro che se andassi in giro con una T-shirt con la faccia di Hegel stampata in grande nessuno lo riconoscerebbe. Si lamentò Nathan. Da quando erano entrati non faceva che bofonchiare e borbottare.

“Cosa c’è di male? E comunque Hegel non era poi un gran bel vedere, con quello sguardo arcigno. E questo è un modo per ricordare persone che hanno fatto la storia.” Si ritrovò a commentare lei.

“E’ una versione preistorica e per VIP di Facebook. A cosa vuoi che serva sapere che faccia aveva   … la regina Vittoria, per esempio? Oh, guarda, Ian McKellen!”

“Oh, è uno dei miei attori preferiti! Il miglior Gandalf che si potesse desiderare! Sono così contenta che abbia accettato quel ruolo!” Esclamò lei ammirando il ritratto dal tocco moderno.

Nathan la guardò in un modo strano e cambiò argomento: “Sto morendo di fame, dove andiamo a mangiare?”

“Ieri sera ho scelto io. Adesso tocca a te.”

Un sorriso luminoso la travolse: “Solo se posso pagare io.”

“Mi fai quasi paura.” Commentò lei divertita: “Non so se voglio sapere dove andiamo.”

“Che sorpresa sia, allora!”

“Oh no, quanto mai l’ho detto! Ricordati che ho i jeans.”

“Non me lo potrei mai dimenticare, credimi.” Replicò il gigante fermandosi a osservarla per un istante.

Con sua grande sorpresa non presero un taxi ma camminarono per due isolati fino a un ristorante italiano. Era un locale grazioso e senza pretese e Nathan fu accolto come un habitué dal cameriere. Vennero condotti in una stanza separata e fatti accomodare a un tavolo rotondo vicino a un camino acceso.

“Non c’è nulla di più piacevole di un camino acceso in un giorno d’inverno.” Commentò lui assorto. “Questo è, dopo il ristorante di Dan, il mio posto preferito a Londra.”

“Ti piace la cucina italiana?” L’informazione la riempì inaspettatamente di gioia.

“Tesoro, poche cose mi piacciono quanto la cucina italiana.”

“Niente burgers? Tex-mex?”

“Anche.” Sara impazziva per quella risata franca e aperta che la scuoteva nel profondo. “Ma siamo qui perché sono mesi che mi sogno il loro risotto al radicchio, speck e brie.”

“E’ appena diventato anche io mio posto preferito.”

Il cameriere prese le loro ordinazioni, risotto e vino e portò loro un bicchiere di prosecco come aperitivo e una bruschetta di benvenuto.

“Parliamo di decorazioni natalizie, la domanda da un milione di dollari.” Iniziò Nathan.

Sara prese fiato e confessò seria: “Hai ragione. E’ davvero la domanda da un milione di dollari. Ho delle idee ben precise sulle decorazioni natalizie.”

“E sarebbero?” Il vichingo si stava chiaramente godendo il suo evidente nervosismo.

“Le palline dell’albero sono rosse e oro. In cima cosa metti? Stella o angelo?”

“Ti prego dimmi che sei una di quelle che mettono la stella, folletto. Mi spezzeresti il cuore altrimenti!” Supplicò lui ridendo.

“Sulla stella non transigo!” Rispose sollevata. “Luci e altre decorazioni?”

“Più sono e meglio è.”

Sara confermò: “Il kitsch è necessario a Natale.”

“Ieri mi hai detto che ti hanno offerto un posto prestigioso e che non sai se accettarlo.” Il discorso virò nuovamente su temi difficili. Sara annuì.

“Se due o tre anni fa mi avessi detto che avrei potuto ottenere quel posto… non so come spiegare… è un sogno che si avvera. Non ci avrei mai creduto. E ora mi sento orribile anche solo a mettere in discussione il fatto che lo devo accettare.”

“Perché non lo vuoi accettare?” Le chiese il gigante sorseggiando il suo prosecco.

“A parte la mole di lavoro e l’impossibilità di avere una vita privata?” Cercò di ribattere con leggerezza ma si fece subito seria: “E’ lontano. Più lontano del mio posto attuale. E non ho amici in quella città. Conosco un paio di colleghi, ovviamente. Il nostro è un mondo piccolo, ci si conosce quasi tutti almeno di vista. Ma sarei lontana dalla mia famiglia e dai miei amici e mi spaventano i prezzi degli appartamenti. Ho dato un’occhiata a degli annunci online ed è scioccante. Ma non mi posso lamentare. La paga è buona e Dan mi ha detto che ha deciso di aprire lì un ristorante. Dice che ci stava pensando da un po’ e che ha trovato un locale strepitoso in centro e l’ha comprato. Quel ragazzo” disse scuotendo la testa con affetto: “è bravissimo. Ha già organizzato tutto, assoldato non so che studio di architetti per la ristrutturazione, trovato e formato il personale e ha deciso che passerà là qualche mese per lanciare il ristorante, forse più di qualche mese. Ha un’energia incredibile. L’altro giorno mi ha detto che ha intenzione di comprare un appartamento anche lì e che possiamo dividere casa. Sono molto indecisa. Mi piacerebbe vivere con lui ma il mio posto è per due anni e lui se ne tornerà a Londra ben prima.”

Nathan l’aveva ascoltata con attenzione fino a quel momento e la sorpresa si era fatta sempre più evidente man mano che parlava.

“Non ci posso credere.” La interruppe con voce malferma. “Non oso sperarci. Dove ti hanno offerto il posto?”

“Alla Columbia.”

“Alla Columbia? A New York?” Un sorriso si allargò lentamente sul suo volto quando lei annuì. Scattò in piedi, girò intorno al tavolo, la fece alzare e la abbracciò con calore.

Dopo un momento di confusione Sara capÌ: “Dimmi che è vero. Dimmi che è come penso e sei di New York.”

“Meglio! Vivo a New York! Gioco per i Giants.”

“Mai nome fu più azzeccato!” Commentò allegra Sara: “L’avevo detto io che eri un gigante!”

Ridendo lasciò la presa e tornò a sedersi al suo posto.

“Sara, quando dovresti iniziare?” Disse dopo che il cameriere ebbe portato loro il tanto decantato risotto al radicchio.

“Ho il posto da febbraio in poi. E’ anche per questo che sono confusa. Dovrei organizzare il trasloco e tutto il resto. Non me l’aspettavo. Il mio contratto attuale scade a novembre, per esempio. In genere, i contratti vengono pubblicizzati in autunno per l’anno successivo a settembre o ottobre. Ma il posto si è liberato inaspettatamente. Insomma, tanto inatteso non era. Il ragazzo che lo occupava prima è bravissimo e si trasferisce a Harvard perché la sua compagna ha trovato un lavoro a Boston.”

“Puoi scegliere dove lavorare?” Chiese stupito.

“Io no.” Rispose sorridendo Sara: “Lui sì. E’ un astro nascente della fisica. Chiunque gli offrirebbe un posto.”

Nathan annuì e si fece serio.

“Sputa il rospo, Thor. Cosa ti turba?” Chiese titubante Sara. La solita vocina maligna le stava suggerendo che gli fossero venuti i sudori freddi solo al pensiero di essere nella stessa città con lei.

“Vorrei che tu accettassi il posto.” La sorprese lui. “Vorrei che tu ti trasferissi a New York tra due settimane e che venissi a vivere con me. E so di essere egoista…”

“Non sei egoista. Sei matto.” Interloquì Sara ridendo. “Mi conosci da due giorni e vuoi che venga a vivere con te a New York? Potrei essere il tuo peggior incubo. Potrei russare come un orso,” disse guadagnandosi un boato: “potrei essere un serial killer.”

“Folletto, peso forse il doppio di te e sono un giocatore di football professionista.”

“Vuoi dire che russi?”

“Ti preoccupa?”

“Se dico di no, è brutto?”

Lo vide chiudere gli occhi: “Fatto sta che sei venuta a Londra per riflettere sulla possibilità di dire di no.”

“Succede sempre così, no?”

“Quale è l’alternativa?”

“Mi prometti di non ridere?”

“Con una mano sul cuore.” Gli occhi che brillavano di entusiasmo e la mano aperta sul cuore.

“Vorrei scrivere libri per bambini.”

“Niente scienza?” Chiese sorpreso, ma non rise.

“Libri per bambini che parlano anche di scienza.” rispose. “Non stai ridendo.”

“Perché dovrei? E’ un’idea meravigliosa.”

“E tu? Cosa vorresti fare dopo il football?” Nathan le sembrò all’improvviso timido e indeciso. “Non riderò, promesso, e non lo dirò a nessuno. Ti puoi fidare di me.”

“Ho studiato matematica e psicologia. Sono passati anni, è vero, ma vorrei tornare a studiare e fare qualcosa in una di queste due direzioni. Io non ho però le idee chiare come te. Penso di più alla psicologia ma ci devo riflettere con calma.”

“Puoi prenderti una pausa per deciderti?” Chiese Sara titubante.
 
“Sì. Posso prendermi del tempo e posso smettere di lavorare e tornare a studiare. Ho speso poco relativamente a quanto ho guadagnato. Ho un buon agente e mi ha consigliato bene.”

“Fa paura, vero? Fermarsi e pensare, dico.” Nathan annuì e Sara continuò: “Io non posso permettermi di smettere di lavorare per molto tempo ma ho risparmiato un po’. Ciò che per me sarebbe realistico è accettare il lavoro a New York e usare una parte del mio tempo per scrivere e piano piano provare a fare la transizione. Ciò che più mi spaventa è però cambiare completamente, lanciarmi in un altro ambiente… affrontare le perplessità che sono certa la mia famiglia e i miei amici esprimerebbero.”

“I miei amici avrebbero un colpo se sapessero cosa sto pensando di fare.”, confessò Nathan. “Mio fratello, Alec, ha dei sospetti ma gli altri pensano solo che abbia bisogno di cambiare aria.”

“Come farai a deciderti?”

“Sono diviso tra il non volere rimettere un piede in campo mai più e il sogno di portare la mia squadra al Super Bowl e lasciare subito dopo.”

“Quand’è?”

“La prima domenica di febbraio.”

“Manca poco in entrambi i casi. Sarà davvero uno shock per tutti.” Commentò Sara.

“Credo anche io. Ma non riesco più a pensare di continuare. Ora,” disse alzandosi con eleganza: “Cosa ne dici di andare a comprare un albero di Natale e decorare la casa di Dan?”

“Più Natale per tutti!” Esclamò Sara entusiasta.

Scelsero un albero gigantesco, con le foglie di un bel verde scuro venato d’argento e lo trasportarono a casa. Nathan si rivelò molto utile nel sollevare l’albero e portarlo su per le scale fino all’appartamento di Dan. Una volta arrivati, andarono nelle rispettive stanze a farsi una doccia e cambiarsi dopo la giornata nello smog londinese. Quando si furono ristorati, si prepararono un tè, accesero la radio e con José Feliciano in sottofondo si misero all’opera. Sara andò a prendere nell’armadio in camera di Dan le scatole con le palline e le luci e si lanciò con entusiasmo nella decorazione. Nathan la aiutò in tutto ad eccezione di una breve pausa per rispondere a una telefonata. Quando tornò aveva quasi finito.

“Manca solo la stella, mi sembra”, disse guardandola mentre rimirava l’albero dalla porta.

“A te l’onore, gigante”. E così dicendo gli porse la scatola che custodiva la stella dorata da mettere in cima all’albero. Nathan la prese con cura e la mise al posto d’onore.

“Sei molto domestico.” Si trovò a commentare Sara.

“Ecco che se ne va un altro pezzo della mia virilità.”

“A proposito di cose che se ne vanno…” iniziò la ragazza con voce malferma: “Eri serio quando hai suggerito di scartare i regali?”

Nathan si voltò di scatto e disse con voce grave: “Folletto, non ti prendere gioco di me. Certo che ero serio. Puoi scartare il tuo regalo quando preferisci.” Un sorriso sensuale gli si allargò sul viso.

“Non è ancora Natale. Forse dovrei aspettare la notte della vigilia…”

“Sai che voglio molto bene a Dan e non credevo che l’avrei mai detto ma, se mi chiamasse ora per dirmi che hanno cancellato il suo volo e sarà in ritardo di un paio di giorni, non mi dispererei troppo.” Continuò a voce bassa e decisa.

“Dan! E’ vero! Torna domani! Mi ero già dimenticata!”

“Sara,” la interruppe Nathan: “torniamo all’argomento scottante. Mi stavi forse proponendo ciò che credo?”

“Io non… non prendo mai l’iniziativa, mi credi?” Rispose quasi balbettando Sara: “Scusa, forse non avrei dovuto, è solo che… che mi sento molto attratta da te e non riesco a smettere di pensare…”, la voce le morì in gola. Nathan l’aveva presa tra le braccia e aveva iniziato a baciarla con passione. Quando furono entrambi senza fiato, lei più lui meno, si staccò da lei e le sussurrò: “Angelo, non devi giustificarti con me per qualcosa che desideri. Lo desidero anche io. E trovo dannatamente sexy il fatto che tu me l’abbia chiesto.” E la baciò di nuovo.

“Ok, basta.” Si fece forza Sara. “Se continui così non ci sarà proprio nulla da scartare alla fine.” Si staccò da lui e lo prese per mano. In silenzio lo condusse verso la propria camera da letto. Sentiva lo sguardo di lui bruciarle sulle spalle e farle stranamente coraggio. Una volta arrivata vicino al letto prese fiato e si voltò: “Inizio io. Non riesco ad aspettare un altro istante.” confessò. Stava per sollevare le mani e iniziare a sbottonargli la camicia bianca quando si accorse che sembrava titubante, quasi imbarazzato. “Sempre che tu voglia, ovviamente.”

“Certo… certo che voglio. Solo… non vorrei deluderti.”

Sara scoppiò a ridere: “Scusa, non voglio offenderti ma questa è chiaramente la mia battuta.” E rise nuovamente.

“Sara, sono serio. L’infortunio… ha lasciato dei segni e ho altre… altre cicatrici sparse per il corpo.”

“Nate,” fece Sara con dolcezza: “non mi farò impressionare, se è questo che temi. E non ti troverò meno attraente. Sono ferite di guerra, fanno parte di te e di ciò che sei. Nessuno può giocare a football al tuo livello e sperare di non avere nemmeno un segno. E io non sono meglio, credimi. Ne ho fin troppe di cicatrici. Ne ho una lunghissima sulla schiena… ma lasciamo stare. Quello che voglio dirti è che ciò che trovo attraente in te è qui,” e gli mise una mano sul cuore “e qui” e la spostò sulla tempia. “Poi, sì, è vero, sei una bomba sexy come dice Dan, e sei una montagna di muscoli e non vedo l’ora di sbottonare quella camicia perché per ora hai solo le maniche arrotolate fin sotto al gomito e tutto ciò che posso vedere di te sono le mani e gli avambracci e sto impazzendo dalla voglia di toccarti e baciarti. Quindi smetti di lamentarti perché i pacchi regalo di solito non lo fanno, siediti sul letto e non muovere un muscolo. Altrimenti non finiremo più. Ho in mente di accarezzarti e baciarti a lungo.”

Ridendo le ubbidì, si sedette sul letto e confermò: “Hai scelto tu le regole del gioco. E va bene, angelo, cercherò di non muovere un muscolo e mi lascerò torturare da te. Cosa succede se perdo il controllo?”

“Non saprei” rispose incerta Sara: “Potrei sempre decidere di bendarti.”

“Ahia, il gioco si fa duro.” Rispose con un sorriso travolgente: “Ma io non sono abbastanza duro. Voglio vedere i tuoi occhi, voglio vedere come reagisci a me. Puoi legarmi se vuoi, ma non bendarmi, te ne prego.”

“Come preferisci, gigante.” Accettò Sara: “Tu non muoverti e non ci saranno conseguenze.” E così facendo prese la sua mano sinistra nelle sue, iniziò a sfiorarne il palmo ruvido con delicatezza, a percorrerne le dita e a baciarla con baci leggeri. Quando prese la punta dell’indice tra le labbra lo sentì trattenere il respiro. Lo baciò con curiosità, succhiò, mordicchiò finché non lo senti fremere e mormorare: “Tu vuoi proprio torturarmi.”

Ridacchiando lasciò la presa e iniziò a mordicchiare il pollice, poi passò alla pelle sensibile del polso e lo sentì irrigidirsi nuovamente. Esplorò con calma l’avambraccio esposto, lo accarezzò, lo baciò e poi percorse con le mani la manica della camicia fino a che non arrivò al collo. A quel punto sfilò i bottoni uno a uno, con lentezza esasperante baciando la striscia di pelle che esponeva, e arrivata in fondo ritornò con le mani in alto e lo aiutò a toglierla con delicatezza. A quel punto restò senza parole. Non si mosse e non disse nulla, come paralizzata.

Lo vide strizzare gli occhi: “Angelo, te l’avevo detto che…”

Sara lo zittì all’istante: “Non ci pensare nemmeno. Santa polenta!” Esclamò in italiano guadagnandosi una risata incredula: “dammi un momento. Mi devo riprendere… Non dovresti scorrazzare così in libertà lo sai?”

“Prego?”

“Dovresti girare con un cartello attorno al collo che avvisa la gente del pericolo. Altro che bomba sexy… sei… sei bellissimo.”

“Sono bellissimo?” Le chiese a mezza voce.

“E lo sai!”

“E’ piacevole sentirtelo dire.” Ammise lui con un sorriso timido.

“Sei… sei… non ho mai visto niente di più bello.”

“Adesso stai esagerando. O fai davvero troppa poca vita sociale.”

“No, no. Sono sicura… Ok. Devo solo decidere da dove iniziare.”

“Iniziare cosa?” Sembrava perplesso.

“A toccarti e a baciarti, che domande.” E così dicendo lo baciò alla base del collo. “Credo che inizierò da qui.” Spiegò dopo averlo sentito trattenere il respiro. Lo accarezzò senza fretta, baciando e mordicchiando con delicatezza. Si prese tutto il tempo che voleva per esplorare quelle spalle larghe, quei muscoli solidi che definivano il suo torso, la cicatrice larga sulla spalla e le altre che raccontavano di scontri violenti e incidenti sul campo. Leccò e succhiò i piccoli capezzoli rosa e si beò della tensione e dei fremiti che provocava. Nathan rispettò la promessa e mantenne il controllo, lasciando stoicamente che lei scoprisse i suoi punti deboli, ciò che lo faceva impazzire, ciò che lo faceva imprecare. Arrivata all’ombelico, iniziò ad accarezzare con curiosità la fascia di muscoli sopra ai jeans e strofinò il naso sulla traccia di peli biondi che scendeva fin sotto alla cintura. Inspirò con calma e slacciò la fibbia. Quando toccò il primo bottone, lui le prese le mani nelle sue.

“Credevo avessi promesso di non muoverti.” Lo rimproverò fingendosi arrabbiata.

“Cavolo, non ci ho pensato.”  Rise imbarazzato lui. “Ok, puoi fare ciò che desideri, solo… non voglio che tu ti senta in dovere. Abbiamo tutto il tempo del mondo.” Le spiegò.

“Sto andando troppo veloce?” Si riscosse Sara. “Se è così, scusami, mi sono lasciata prendere dall’entusiasmo e…”

“Angelo, puoi andare a tutta velocità per quello che mi riguarda.” Le rispose serio. “Se continui così non risponderò più di me stesso. Se non ho fatto ancora nulla, è solo perché intendo ripagarti con la tua stessa moneta. Ho intenzione di spogliarti lentamente e di esplorare il tuo corpo con le mani e con le labbra finché non conoscerò tutto di te. E poi ricomincerò da capo. Ciò che mi importa è solo che tu vada alla tua velocità, che tu ti senta sempre a tuo agio con me. Voglio che tu ti senta libera di dirmi quando c’è qualcosa che vuoi e quando c’è qualcosa che non vuoi.”

Sara non lo guardò negli occhi quando rispose a bassa voce: “E’ brutto se ti rispondo che l’unica cosa che voglio è vederti senza questi jeans? Lasciami aggiungere che li trovo fantastici, ma non vedo l’ora di vederti senza.”

“Senza jeans? Vuoi che me li tolga?”

Sara annuì. Nathan abbassò la cerniera lentamente e si sfilò i pantaloni, lasciandole scoprire un paio di boxer neri aderenti. Sara allungò una mano incerta e sfiorò la sua lunghezza evidente sotto il tessuto sottile.

“So che è stupido ma ho paura di come reagirò.” confessò.

“Non c’è nulla di stupido. E non abbiamo fretta. Se e quando vorrai, potrai scoprirlo.” Rispose lui con voce roca.

“Voglio… voglio scoprirlo ora. Solo… ti prego, promettimi che non te la prenderai se non reagirò come ti aspetti.”

“Non mi aspetto nulla, tesoro.” La incoraggiò lui. E così dicendo si liberò dai boxer rivelando qualcosa che lei non si era decisamente aspettata.

“Ti stai coprendo la bocca con le mani.” Commentò lui con ironia: “Avevi ragione. Non mi aspettavo una reazione del genere.”

“Hai… sei… io…” balbettò non distogliendo lo sguardo.

“Honey, fai un bel respiro e dimmi cosa ti turba.” La incoraggiò divertito.

“Io… ti prego non prendermi per una vergine inesperta… cioè, non voglio dire che io abbia poi tutta questa esperienza ma…”

“Dicevamo, un bel respiro profondo.” Continuò lui ridacchiando.

“Non ho mai visto…” e sollevò gli occhi spalancati su di lui: “sei davvero un gigante.” A quel punto la sua risata si fece aperta e profonda.

“Honey, sei una scienziata. Non credo di doverti spiegare che anche tu ti espandi.”

“Non sono certa di espandermi così tanto…” commentò stupita lei. Un nuovo boato di risa accolse le sue perplessità.

“Non vedo l’ora di scoprirlo, honey.” disse abbassando la voce e, avvicinandosi a lei, sussurrò: “Ci prenderemo tutto il tempo necessario, tesoro. Quando finalmente faremo l’amore, sentirai ogni movimento, ogni spinta, te lo prometto.”

Un tremito la scosse: “credo che sentirti parlare così sia la cosa più sensuale che mi sia mai capitata.” Confessò a mezza voce.

“Buono a sapersi, folletto. Ci assicureremo che continui a essere così. E ora posso scartare il mio regalo?”

“Non pensarci nemmeno!” Esclamò con forza. “Siediti di nuovo sul letto, mani sul materasso. Non ho ancora finito!” Thor rise nuovamente ma fece come aveva chiesto.

Sara si avventurò a toccarlo, con un dito, una mano e poi due mani. Gli diede lievi baci e scese ad accarezzare le gambe. Stava per mettersi in ginocchio, per toccare meglio i polpacci solidi quando sentì le mani di lui afferrarla e sollevarla di peso.

“No.” Le disse. “Non ho intenzione di vederti in ginocchio. Non ora.” La strinse fra le braccia e la baciò. “E ora la mia pazienza è decisamente terminata. Iniziamo con il togliere questo maglione.” E così dicendo le sfilò il pullover nero.

“Eccoci qua, camicia bianca in partner look. E’ tutta la sera che sogno di farlo.” commentò. “Ora voglio che ti sdrai su questo letto morbido, honey, e che ti rilassi. Perché ci passeremo molto, molto tempo. Il prossimo passo sarà sbottonare questa camicetta e levarla di torno.” La fece sdraiare e fece esattamente come aveva detto. Sbottonò la camicia con calma, sfiorando solo la delicata pelle del collo e passando con delicatezza sulla canottiera, come a promettere senza sbilanciarsi. La fece sollevare a sedere, le tolse la camicia e le disse: “Le mie regole sono diverse dalle tue, honey. Non devi stare ferma, puoi fare ciò che vuoi, puoi toccarmi, graffiarmi, stringerti a me. Ma devi sempre essere sincera. Se ti becco a mentirmi… fammi pensare… che punizione sarebbe appropriata?”

“Smetterai di fare ciò che stai facendo?” Chiese con un filo di voce Sara.

“Oh, no, honey. Sarebbe troppo facile per te. E non c’é nulla di facile in ciò che intendo fare. No. Ecco, ci sono. Ricomincerò da capo. Ricomincerò a baciarti da qui,” e le sfiorò il collo sorridendo: “scenderò con calma qui” le sfiorò il seno e accennò a stringerle un capezzolo tra due dita. “Passerò di qui:” disse sfiorando l’altro seno, “e scenderò qui.” Disse percorrendo la pancia fino ai pantaloni. I muscoli le si strinsero spontaneamente senza che potesse farci nulla. “Dopodiché ti bacerò qui. Mille baci leggeri, e poi più intensi fino a quando non perderai ogni senso del tempo e ti lascerai andare tra le mie braccia.”

“Non l’ho mai fatto.” La verità le esplose di bocca prima che potesse attivare il filtro cervello-bocca.

“Cosa non hai mai fatto, honey?” Chiese con dolcezza Nathan.

“Quello che hai appena descritto.” Sara era così eccitata e così nervosa da dimenticarsi persino del proprio innato problema a parlare di sesso apertamente. “E non ho mai… non ho mai baciato o preso un pene in bocca.” Si lanciò. Tanto valeva giocare a carte scoperte.
“Honey, mi hai baciato poco fa.” le ricordò. “E non è qualcosa che devi sentirti in dovere di fare. Se e quando vorrai provare, ti lascerò provare. Ma non ora. Ora voglio che tu riprenda confidenza con il tuo corpo, un passo alla volta. E con il mio. Se ti disgusta, lo posso capire.”

“No,” lo interruppe con energia senza guardarlo negli occhi: “Non mi disgusta affatto. Cioè, credevo che l’avrei trovato disgustoso. Lo temevo ma non è così. E’… è bello, fa un po’ paura… sembra una barra d’acciaio coperta di seta… sembra pulsare… ma mi piace… mi incuriosisce…”

“Come ti ho detto, un passo alla volta. Per il resto? Come ti senti? Lascerai che esplori il tuoi corpo?” Sara annuÌ. “Puoi sempre fermarmi, questo lo sai. Ma il mio piano prevede un esame accurato e al centimetro di ogni tua zona erogena. E dato che non tutti hanno le stesse zone erogene, intendo esplorare con cura tutto il tuo corpo.”

“Tu.. tutto? Oh devo smetterla di balbettare!” Si sgridò. Nathan rise e le sfilò la canottiera.

“Confermo. Tutto il tuo corpo, al centimetro.” Le sganciò il reggiseno e si fermò a guardarla. La tensione era così alta che si coprì con le mani.

“Vuoi che ti guardi?”

“No… sì… non lo so… io…”

“Ho capito” disse spingendola con fare giocoso sul letto. “Ricominciamo dall’inizio.” E così dicendo la baciò alla base del collo, scese con calma verso il seno e seguì esattamente l’itinerario che aveva dichiarato di voler seguire.

Quando le sbottonò i jeans, Sara era senza fiato ed era convinta di aver avuto la cosa più simile ad un orgasmo da tre anni a quella parte.

“Non riesco a stare ferma.” Si lamentò.

“Nessuno te lo ha chiesto, angelo.” Disse Nathan senza farsi distrarre dal compito di toglierle i pantaloni.

“Nathan,” lo interruppe lei “aspetta. C’è una cosa che ti devo dire… Io… ecco, io vado spesso a nuotare e il costume è un po’ sgambato ma io non… e so che ad alcuni uomini dà fastidio quando non sei depilata del tutto…”.

Nathan avanzò su di lei con l’eleganza di un predatore e le sussurrò all’orecchio mentre la accarezzava attraverso gli slip muovendo lievemente il pollice avanti e indietro: “Alcuni uomini sono degli idioti, folletto, e il look da teenager prepubertà non mi ha mai interessato. Sei perfetta come sei, honey. E ora spiegami perché stai cercando di rovinarmi la sorpresa.”

“Ah… non sto cercando di rovinarti la sorpresa… solo non mi aspettavo di…” disse ondeggiando sotto il suo tocco incessante e gli affondò le mani nelle spalle con forza. 

“Nemmeno io me lo aspettavo. E’ un meraviglioso regalo di Natale. E ora lasciamelo scartare in pace.” Disse ridendo e continuando ad accarezzarla.

Con delicatezza le sfilò le mutandine e si fermò a contemplarla. “Tesoro, non nasconderti,” la incoraggiò quando lei strinse le gambe. “Apri bene e fatti guardare, honey. Sei bellissima.”

Sara si fece forza e strizzando gli occhi allargò un poco le gambe rigide per la tensione. Lo sentì mormorare compiaciuto e sentì che si avvicinava. Non la toccò ma soffiò piano facendola divincolare e sospirare per la sorpresa. “Ti piace?” Mormorò e continuò a soffiare muovendo la bocca lentamente dall’alto verso il basso. “Sembra di sÍ.” Commentò ridendo con gioia quando Sara spinse il bacino in alto. A quel punto la toccò. La accarezzò piano, senza mostrare fretta o impazienza, prima  sfiorandola solo con la punta di un dito nellincavo della gamba, poi con più convinzione ma sempre con estrema delicatezza, lasciandole il tempo di abituarsi ad essere nuovamente toccata da un uomo. Infine la accarezzò con due mani, facendola sobbalzare. Quando le sue labbra la sfiorarono, si ritrovò a conficcargli le unghie nelle spalle. Le diede baci leggerissimi, quasi lo sbattere d’ali di una farfalla finché lei non sentì i muscoli delle gambe rilassarsi e tendersi di nuovo per l’eccitazione e l’attesa.

“E’ meraviglioso.” ansimò. “E’ sempre così?”

“No, honey. Non per me, almeno.” Rispose serio Nathan smettendo di baciarla. “Ma ti confesso che è la prima volta che mi sento così.”

“Cosí come?”

“Completo. Rilassato, leggero, eccitato…” scoppiò a ridere: “mi sembra di essere eccitato come un teenager alla sua prima volta, devo essere impazzito”.

“Dan mi ha chiamata una vergine di ritorno, se ti può consolare.” Il rombo della sua risata la circondò.

“Allora facciamo ciò che due vergini farebbero a questo punto.” Commentò lui. La fece scivolare sotto le coperte, la attirò a sé e la abbracciò. “Dormiamo insieme, folletto?”

“Non provare a sgattaiolare via durante la notte.” Intimò lei e si lasciò cullare dalla sua risata e dal calore del suo corpo.

§

Il mattino seguente venne svegliata da un bacio leggero sulla spalla. “Honey, vuoi fare la doccia con me?”

“Gigante, ho bisogno di un momento da sola, mi sa.” Confessò lei. “Aspetta che mi metto qualcosa…”

“Niente vestiti, è la nuova regola.” Fece lui serio.

“E chi l’ha fatta questa regola?” Chiese Sara ridendo divertita.

“Io. Per nulla al mondo mi perderei l’occasione di vederti nuda alla luce del sole, folletto. Corri in bagno, fra cinque minuti saremo entrambi sotto la doccia, dopodiché ricominceremo da dove ci siamo interrotti ieri sera. Se ben ricordo non ho ancora avuto il piacere di studiare né la tua schiena né il tuo derrière.”

“Cinque minuti soltanto? Ma sei un despota!”

“Sono un uomo impaziente, è noto.”

“Non mi sembra.”

“Sto contando, folletto. Quattro minuti e cinquanta secondi…”

Sara si lanciò dal letto e corse in bagno ridendo.

Dopo una lunga doccia si vestirono e andarono a fare colazione al bar italiano di fronte a casa, prima di andare a fare la spesa per la cena della Vigilia e per il pranzo di Natale. La via era vestita a festa, come il resto della città. Le vetrine erano ornate da nastri, ghirlande e luci e in ogni negozio e caffè risuonavano le note delle canzoni natalizie. Uscirono dal supermercato carichi di borse stracolme.

“Trovo questa tua decisione coraggiosa e avventata allo stesso momento, folletto.” Ripeté Nathan per l’ennesima volta.

Sara rise divertita. “Miscredente. Dovresti avere più fiducia in me. E per quello che ti riguarda, cowboy, sbaglio o un paio di giorni fa ti sei vantato di preparare le lasagne migliori del West?”

“Infatti. Del West. Ma qui siamo a Est. E Dan ha una stella Michelin.”

“Stella Michelin o no, Dan cucina tutto l’anno e almeno a Natale si merita che siano i suoi amici a preparargli da mangiare. Faremo come abbiamo sempre fatto quando vivevamo in Italia. Stasera tortellini in brodo e pesce e domani lasagne.”

“Ma i tortellini non sono ripieni di carne?” Chiese perplesso Nathan mentre attraversava la strada imprecando contro tutti i pazzi che guidano sul lato sbagliato della strada e sul lato sbagliato della macchina.

“Senti un po’, yankee, non oserai mettere in dubbio una tradizione lunga decenni, vero? Non mi importa di ciò che dice la gente: Dan e io mangiamo i tortellini e il pesce alla vigilia.”

“Ok, capitano. Tu impartisci gli ordini, io ubbidisco.”

“Ci siamo capiti, soldato. Ora dobbiamo darci una mossa perché abbiamo un fitto programma. Dobbiamo preparare il dessert, gli antipasti e per fare i tortellini ci vuole un’eternità.” Salì gli scalini di buona lena e si fermò solo un momento a inspirare profondamente. L’aria di Londra non era esattamente quella del suo paesino sulle montagne ma c’era qualcosa di simile, quasi un senso di attesa, che permeava l’aria allo stesso modo poco prima di nevicare. Sarebbe stato un Natale perfetto, se lo sentiva.

Nathan infilò la chiave nella serratura ma prima di aprire la porta si volse verso di lei e specificò: “Giusto per capirci, gli Yankees giocano a baseball. Io sono uno dei Giants.”

“D’accordo, gigante, datti una mossa. Sto congelando qui fuori con tutti questi sacchetti.” Replicò ridendo e dandogli una gomitata e sempre ridendo entrarono in casa. La voce di Nat King Cole li accolse.

Everybody knows a turkey and some mistletoe,
Help to make the season bright.

“Dan!” Esclamarono in coro: “sei arrivato?” E si affrettarono su per le scale.

Attorno all’isola della cucina erano seduti Dan e due veri e propri giganti. Nathan sembrava persino piccolo in confronto a uno di loro. Una massa selvaggia di capelli castano scuro, occhi blu e un’aura di calma quasi zen, il gigante numero uno torreggiava su uno degli sgabelli di legno, le gambe piegate in qualche modo sotto il piano di granito, le mani comodamente poggiate sulla pietra. Il gigante numero due dava loro le spalle. Era più basso del primo, anche se parlare di basso sarebbe stato ridicolo.

“Alec! Jake! Cosa ci fate qui?” La voce stupita e felice di Nathan la riscosse.

“Siamo venuti a passare il Natale in famiglia, Mac.” Disse con voce profonda il gigante numero uno alzandosi con cautela dallo sgabello.

Sara usò la scusa delle cose da mettere in frigorifero per sgusciare verso Dan. Il suo amico la abbracciò stretta per un lungo momento. Il familiare profumo di sandalo e agrumi della sua colonia la accolse. Era stato il primo regalo di Natale che gli aveva fatto dopo che le aveva detto di essere gay, a diciassette anni. Aveva risparmiato per mesi per comprarglielo. Una colonia da usare su tutto il corpo. L’aveva accompagnata con un pacchetto di preservativi e un biglietto che diceva “Per le tue future conquiste!”. Lui era scoppiato a ridere, le aveva detto che era la cosa più inappropriata che potesse regalargli e che lo adorava. Da allora aveva sempre e solo usato quell’essenza. Sara era stata la prima a cui l’aveva detto e lei gli aveva confessato di sapere già da un po’. Erano cresciuti insieme, amici inseparabili e avevano condiviso tutti i momenti più importanti, dal primo brutto voto al primo bacio, dalla prima delusione d’amore all’ansia per la prima volta. Entrambi amavano correre e fare sport e spesso si allenavano insieme. Chiaramente Dan non aveva smesso, anzi dai rigonfiamenti che poteva sentire persino sotto il maglione sembrava che andasse spesso in palestra.

“Sono uno spettacolo per gli occhi, vero?” Commentò Dan indicando i suoi ospiti con il mento dopo averla lasciata andare.

“Sono enormi.” Mormorò lei mentre svuotava le borse della spesa.

“Ha!” Esclamò Dan soddisfatto mentre ne esaminava il contenuto. “Tortellini e pesce, ti adoro, Saretta!”

“E’ il tuo peccato segreto, Dan. Sai che non ti tradirei mai.” Lo assicurò con un buffetto amichevole sulla spalla. “Parliamo piuttosto di questi muscoli d’acciaio che hai sviluppato! Stai compensando qualcosa con la ginnastica forse?” E rise. Dan non era mai stato minuto. Era uno stangone di un metro e ottantacinque con la passione per la pallavolo ma sembrava che le sue spalle già larghe avessero guadagnato dei centimetri dall’ultima volta che l’aveva visto a Pasqua. La passione per le giacche di pelle, i capelli ormai lunghi quasi fino alle spalle, così scuri da sembrare neri e gli occhi di un blu intenso completavano l’opera e avevano contribuito a farlo soprannominare il “bad boy” della cucina inglese. E i critici non sapevano dei tatuaggi. Se avessero saputo, gli sarebbe preso un colpo, le aveva detto una volta lui con un sorrisetto d’intesa.

“Non hai idea.” Rispose vago: “Sto praticando l’ascetismo di un monaco buddista da mesi. In qualche modo devo sfogarmi o finirò per esplodere come una pentola a pressione lasciata troppo tempo sul fuoco.” E scosse la testa in segno di disapprovazione verso se stesso. Cambiando bruscamente argomento le disse: “Sara, ho offerto loro di usare le altre due stanze degli ospiti. Alec può dividere la stanza con Nate e Jake si prende quella in fondo al corridoio. Spero che non sia un problema per te.”

“Dan, è casa tua. Non è un problema per me. Piuttosto, noi due dobbiamo trovare un po’ di tempo per parlare, mi sembra. Ti vedo agitato e triste e non è da te. Sei un elfo di Babbo Natale di solito in questo periodo dell’anno.” Replicò Sara.

Dan sorrise e stava per aggiungere qualcosa quando venne interrotto dal gigante numero due che avanzava verso Sara con la mano tesa.

“Direi che è il caso di presentarci.”, disse. Sembrava uscito da una pubblicità tanto era bello. Gli occhi grandi e neri, la pelle color cioccolato e i capelli corti, l’amico di Nathan aveva indosso una felpa bordeaux dell’Università di Harvard e dei jeans slavati e lo stesso atteggiamento rilassato che sembrava contraddistinguere tutti e tre. “Io sono Alec. Gioco con Nate da sempre. Siamo cresciuti insieme.”

“Non farti intimidire dai suoi modi burberi, Sara. Alec è iperprotettivo nei miei confronti ma è molto contento di vederti. Anzi, direi che è volato fin qui solo per questo.” Disse Nathan dandogli una solida pacca sulla spalla e abbracciandolo di nuovo.

“Ci puoi scommettere il tuo culo bianco, fratello. Dopo la telefonata di ieri pomeriggio, era il minimo che potessi fare.” Nathan sembrò all’improvviso in imbarazzo. Sara decise di non commentare e si presentò: “E’ un piacere. Sono Sara, un’amica d’infanzia di Dan.”

“Ho sentito molto parlare di te, Sara.” Chiaramente Alec aveva intenzione di mettere a disagio Nathan e ci stava riuscendo.

“Lei invece no.” Interloquì infastidito Thor. “Sara, Alec è la mia palla al piede da circa venticinque anni, quando i nostri genitori si sono sposati. Non ti ho parlato di lui perché non saprei spiegare la sua invadenza.”

Sara rise sorpresa e lo corresse: “Mi hai detto che è tuo fratello. E’ un piacere conoscerti, Alec, anche se non ho sentito parlare molto di te prima d’ora. E’ evidente che succederà tra poco.”

“I due sono inseparabili.” Si intromise il gigante numero uno. “Praticamente pensano all’unisono. Fanno quasi paura.” E rise, una risata potente e contagiosa che li coinvolse tutti. “Piacere, Sara, io sono Jake. Gioco con questi due pazzi solo da qualche anno ma sono diventati la mia famiglia.”

“Il piacere è mio, Jake.” Gli strinse la mano con energia. Ed era impossibile che non fosse un piacere. Jake era circondato da una sfera di energia positiva. Un sorriso accattivante, una calma da fare invidia a un monaco buddista e il corpo di un guerriero vichingo.

“Allora, è vero quello che dice Alec? Che ti piace il Signore degli Anelli?” La interrogò con curiosità.

Sara scoppiò a ridere divertita. “Nate, lo ammetto, non ti facevo così pettegolo.” E rivolta a Jake: “Sì, è vero. E’ stato il primo vero e proprio libro che ho letto in inglese quando avevo quattordici o quindici anni. Ho visto tutti i film e mi sono piaciuti molto. Anche lo Hobbit mi è piaciuto molto.”

“La colonna sonora è fantastica,” confermò Jake: “e i panorami sono magnifici. Sei mai stata in Nuova Zelanda?”

“No, purtroppo no. Nemmeno in Australia. Ma mi piacerebbe molto visitare quella parte di mondo. La Nuova Zelanda ha su di me un fascino particolare. Forse sarà perché è agli antipodi dell’Italia, forse perché sono attratta dalla sua natura incontaminata, non saprei. Ma un giorno o l’altro vorrei esplorarla.”

“Stiamo progettando un viaggio. Sono anni ormai ma non riusciamo mai a prenderci il tempo al momento giusto.”

“Per via della stagione del football?” Chiese lei.

“Ripeti football.” Le ordinò Alec a bassa voce.

“Football.” ripeté Sara stupita senza pensare.

“Hai ragione, Nate.” Disse Alec rivolto a Thor. “Ha un accento delizioso.” E le rivolse un sorriso luminoso.

“Pazzesco, folletto.” Nathan esplose in una risata allegra. “Basta che tu pronunci la parola football e perdiamo tutti la testa per te.”

Passati i primi minuti di imbarazzo la conversazione si fece più rilassata e disinvolta. Sara prese il comando della cucina e distribuì i compiti in maniera equa. Il che voleva dire che Daniele doveva starsene seduto su uno sgabello con un bicchiere di vino a chiacchierare con loro mentre preparavano la cena. Ascoltarono un milione di canzoni di Natale e quando fu tutto pronto si misero a tavola. Sara scoprì molte cose sul conto di Nathan, prima fra tutte il suo nome: Nathaniel Macgregor, detto Mac dagli amici e Nate da Alec. I due erano cresciuti come fratelli, anzi dato che avevano la stessa età, come gemelli. Avevano frequentato le stesse scuole ed erano andati insieme all’Università. Erano un caso speciale nel mondo del football. I genitori erano un avvocato e un medico e volevano tutto fuorché avere due figli giocatori di football. A quanto pare amavano il tennis e il golf e Alec e Nathan avevano sempre potuto giocare solo a patto che non trascurassero gli studi. Alec aveva studiato legge e Nathan matematica e psicologia a Harvard prima di laurearsi e di continuare a giocare da professionisti a New York. Sara non poté non ridere all’informazione.

“E pensare che sembravi persino intimidito da me! Hai studiato a Harvard, ma ti rendi conto?” Gli sibilò a bassa voce mentre erano in cucina da soli a far cuocere i tortellini.

“Sara, non so come sia possibile ma non ti rendi conto di quanto tu possa mettermi in soggezione. Sei intelligente e dolce e bella e piena di ironia… ovviamente sono intimidito.”

“Piccioncini, non fate scuocere i tortellini, mi raccomando!” Li riprese Dan.

“Tu sei tutto matto, vichingo.” Disse scuotendo la testa e tornando a tavola con i primi due piatti.

La serata trascorse veloce. Jake e Alec raccontarono della vita a New York e della frenesia degli allenamenti in vista delle ultime partite prima del Super Bowl. Le spiegarono che avrebbero potuto vincere solo se Nathan fosse tornato in campo ma che non importava loro molto. L’infortunio di Nathan li aveva chiaramente scossi nel profondo e la loro unica priorità era vederlo nuovamente in forma. Era successo durante una partita di beneficenza. Doveva essere una partita tranquilla ma gli avversari erano particolarmente agguerriti perché sapevano che dovevano giocare contro di loro dopo un paio di settimane nel campionato e li vedevano come ostacolo. Attaccarono Nathan senza pietà per tutta la partita fino all’incidente. Sembrava quasi pianificato, ma ovviamente non era stato possibile provarlo. Al termine della partita ci sarebbe stata una cena di gala e Dan era il cuoco incaricato per l’evento. Era stato invitato a vedere la partita ed era rimasto così scioccato dall’infortunio di Nathan che era andato da lui in ospedale il giorno dopo e si era preso delle ferie per passare del tempo con lui. A quanto pare, era l’unica persona a cui Nathan permetteva di visitarlo e aveva fatto da tramite con la famiglia, la squadra e gli amici per giorni, prima che Nathan si ammorbidisse e accettasse di rivedere Alec. Da allora erano diventati molto amici e aveva già visitato Dan parecchie volte a Londra quando lo stress della fisioterapia e della necessità di recuperare la forma fisica si facevano insostenibili. Arrivò mezzanotte e brindarono al Natale prima di congedarsi e tornare nelle proprie stanze.

“I miei amici già ti adorano.” Commentò Nathan prendendola tra le braccia quando furono in camera sua.

“Sono simpatici.” Confermò Sara. “Tuo fratello mi sta ancora studiando. Sembra quasi che qui sia tu la ragazza a essere in grave pericolo di prendersi una cotta da paura per una star del football e non io. Sei fortunato ad averlo al tuo fianco.”

“Alec è una chioccia ma non potrei mai vivere senza di lui. E’ il fratello migliore che potessi desiderare. Per quanto riguarda l’essere in pericolo, temo di esserci già cascato in pieno, folletto. Ieri mattina non ero riuscito a dormire e l’ho chiamato per raccontargli di te. Non l’avevo mai fatto. Pensa che ha addirittura pensato volessi fare coming out e dichiarargli il mio amore eterno per Dan.” Una risata lo scosse al pensiero: “Sappi che mi avrebbe sostenuto.” E rise. “Devo ancora raccontarlo a Dan. Ad ogni modo, ieri sera mentre stavamo facendo l’albero, Alec mi ha chiamato di nuovo e mi ha chiesto come andasse. Gli ho raccontato della nostra visita alla National Portrait Gallery, del fatto che ti ho parlato di Hegel e che sapevi che faccia avesse.” Al suo sguardo stupito continuò: “ho avuto un periodo al college in cui ero ossessionato dalla filosofia di Hegel, lascia stare. Ad ogni modo, non ho mai parlato di Hegel con una ragazza prima.”

“Avresti dovuto provare.” Commentò asciutta Sara: “Anche noi ragazze abbiamo un cervello, a volte.”

“Sembra proprio di sì.” Sorrise malinconico Nathan. “Purtroppo le ragazze che incontriamo noi non sono quelle con il cervello. O se ne hanno uno, preferiscono non sciuparlo parlando di idealismo tedesco con un giocatore di football. In ogni caso, Alec mi conosce meglio di chiunque altro e ha capito qualcosa che so già da un paio di giorni.”

“Sputa il rospo, Thor. Se ha a che fare con la padella, io…” iniziò Sara.

“Folletto, se c’è una cosa che mi ha insegnato il football, è saper prendere decisioni velocemente. Per velocemente intendo nel giro di pochi millisecondi. E Alec lo sa. Non so come abbia capito, ma credo di essere stato abbastanza goffo al telefono da renderlo evidente.”

“Cosa intendi dire?” Chiese confusa Sara.

“Intendo dire che ci conosciamo a malapena da quattro giorni e che non so nulla di te. Non so quale sia il tuo colore preferito, chi sia il tuo scrittore o musicista preferito. Non so se preferisci mangiare dolce o salato quando sei triste o arrabbiata e non so come ti sei fatta quella cicatrice sulla schiena di cui mi parlavi ieri. Ma so già che sei la persona che stavo aspettando. Ho sempre avuto la sensazione di essere alla ricerca di qualcosa, di qualcuno che mi facesse sentire in pace con me stesso, completo. Ho sempre saputo che un giorno il mio viaggio sarebbe finito, l’ho sempre sperato.”

“Hai appena citato Shakespeare?” Chiese incredula Sara.

“La dodicesima notte. Journeys end in lovers meeting. E’ così che mi sento. Sara, so che ci sono molte decisioni che devi prendere, che devo prendere. Molte cose cambieranno nei prossimi mesi e, spero, impareremo a conoscerci. Litigheremo, faremo la pace, rideremo, passeremo del tempo insieme e soffriremo quando saremo separati. Ma c’è una cosa che non cambierà ed è per questo che Alec e Jake sono volati qui di corsa, perché anche loro lo sanno, come lo so io.” lo vide prendere un respiro profondo prima di confessare: “Angelo, un anno da adesso, se ancora mi vorrai nonostante tutti i miei difetti e la mia pazza vita assediata dai paparazzi, mi piegherò su un ginocchio, il cuore che batte all’impazzata nel petto e un anello che avrò cercato in lungo e in largo e mi sarò portato appresso per mesi - già lo so -, ti elencherò tutti i motivi per cui sei l’amore della mia vita e, credimi, l’incidente con la padella a Londra farà la sua comparsa, e ti chiederò di sposarmi.”

“Ripeto: tu sei tutto matto, vichingo. Non mi conosci, non sai in cosa vai a impelagarti. Ho una famiglia allargata, che comprende una mamma, una sorella, una vicina di casa ficcanaso e tutta la folle famiglia di Dan, nonna Clelia inclusa. Sono casinisti e impiccioni e meravigliosi. Ho amici sparsi in tutto il mondo che non riesco mai a vedere, suono il piano malissimo, sono fissata con serie tv improbabili e guardo i film che mi piacciono milioni di volte di seguito, leggo libri enormi, quando sono malata passo ore a vegetare sul divano e guardare Orgoglio e Pregiudizio e Guerre Stellari… perché ridi? E’ vero!”

“Conosco la nonna di Dan. E’ una donna fantastica, le ho parlato due giorni fa l’ultima volta. E non credere che mi farò spaventare da Jane Austen, folletto. Ho affrontato prove ben più ardue.”

“Ogni volta che sto male, incluse le volte in cui il ciclo è particolarmente doloroso. Non sai di cosa stai parlando, vichingo.” Ribadì Sara convinta.

“Mettimi alla prova, angelo.”

“Aspetta, cosa vuoi dire con le ho parlato due giorni fa? Parli italiano?”

Nate rise di gusto. “Ti ho detto che non ho fatto troppa baldoria al college. I miei avevano messo come regola che dovevamo laurearci in tempo e bene se volevamo che ci sostenessero nel nostro assurdo piano di giocare da professionisti. Non importa che fossimo a Harvard con una borsa di studio, li abbiamo presi in parola. In realtà sapevamo che ci serviva un piano B. Al primo anno dell’Università, Alec si era convinto che la nostra unica chance di rimorchiare una ragazza nonostante passassimo le notti a studiare come matti fosse imparare l’italiano. Mi ha trascinato in un corso lungo due semestri per poi mollare dopo un mese dichiarando che il francese era meglio per rimorchiare. L’ha persino imparato, quel matto. Io sono rimasto nel corso di italiano e sono andato avanti quattro anni anche se non ho studiato a sufficienza per imparare del tutto la grammatica. Facevo solo un’ora a settimana, dopotutto, e non l’ho più parlato dopo la laurea. Ma qualche mese fa, il giorno dopo l’infortunio, un cuoco italiano mi è piombato in camera. Mi ha guardato per un istante, ha fatto un fischio e mi ha detto: Wow, bomba sexy, mia nonna ti prenderebbe a calci se ti vedesse a commiserarti così. Sul serio.” E rise. “E per chiarirmi il concetto ha chiamato sua nonna su Skype e ha tradotto ogni parola che la donna mi diceva. Da allora la chiamo una volta alla settimana e parliamo in italiano. Capisce forse un terzo di quello che cerco di dirle ma sto migliorando.” E sorrise divertito al ricordo di Clelia. “E ora torniamo a te, angelo. A parte le tue abitudini cinematografiche, la tua famiglia fantastica e i tuoi amici giramondo, non trovi altre scuse per rifiutare la mia proposta? E’ già la seconda volta che mi respingi”.

“Nate…”

“Aspetta, angelo. Spero che tu non mi abbia frainteso. Non ti ho chiesto di sposarmi. Non ancora. Ma ti ho detto che intendo farlo. E, te lo prometto, quando ti chiederò di diventare mia moglie, lo farò con tutto il mio cuore. Non devi accettare il posto a New York. Usa queste due settimane per decidere cosa vuoi fare della tua vita e dove vuoi vivere. Io dovrò prendere una decisione simile tra non molto. Troveremo una soluzione che si adatti a entrambi, ne sono certo. Voglio solo che ti sia chiaro che, qualunque cosa succeda, voglio una relazione con te e che sono convinto che tu sia la persona giusta.”

Sara lo abbracciò di slancio e lo baciò con passione. Nathan aveva ragione, aveva ancora del tempo per decidere cosa fare della propria vita professionale ma ciò che era più importante era che solo lei poteva decidere della propria felicità e niente l’aveva mai resa più felice se non trascorrere il proprio tempo con quel vichingo coraggioso, dolce e testardo che la faceva ridere ed emozionare di continuo e che sembrava capire e capirla al volo. Per la prima volta, dopo tanto tempo, il lavoro era tornato ad essere ciò che aveva sempre desiderato fosse: una parte essenziale della sua vita, non tutta la sua vita. Tra le braccia di Nathan non c’erano indecisioni o dubbi, sapeva ciò che voleva e che sarebbe stata l’avventura più terrificante ed emozionante della sua esistenza.

“Fra un anno, se ancora mi vorrai nonostante tutti i miei difetti e la mia pazza vita fatta di scienza e articoli scritti di notte, quando mi chiederai di sposarti, risponderò nel modo sbagliato, scoppierò a ridere per l’imbarazzo, mi metterò a piangere per la commozione e ti dirò di sì.”, rispose. 
Fine


CHI E' L'AUTRICE...
Nora June Peebles dice di sè: sono cresciuta in una città ai piedi delle montagne e me le porto nel cuore ovunque io vada. Dopo il liceo classico ho studiato Fisica e la mia passione per le stelle mi ha portato in giro per l'Europa. Le stelle mi hanno anche portato a conoscere il mio personale vichingo alle 9 di mattina del mio primo giorno di lavoro. Cinque giorni dopo il nostro primo appuntamento mi sono trasferita da lui e da allora siamo inseparabili. Undici traslochi dopo, ho lasciato la scienza, ci siamo sposati e ora ci godiamo il nostro lieto fine movimentato con un pulcino di tre anni e mezzo che crede di essere un pompiere, parla tre lingue mischiandole tutte insieme e sogna di uccidere un drago e sposare una principessa. Viviamo in Germania, dove lavoro per una grande azienda, e scrivere mi aiuta a non dimenticare il mio amato italiano. Due anni fa ho scoperto La Mia Biblioteca Romantica e ho scoperto di non aver mai capito cosa fosse veramente il romance, e quanto mi piacesse! Da allora ho letto molti libri e racconti, di qualunque sottogenere, fidandomi delle vostre recensioni e non pentendomene mai. Un vichingo per Natale è il primo racconto romance che scrivo. 
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25 commenti:

  1. Bel racconto. Complimenti.

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  2. Bellissimo! E' un racconto veramente dolce e pieno d'amore!
    Complimenti all'autrice Nora June Peebles!

    Anna

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    1. Grazie mille, Anna! Sono lieta ti sia piaciuto! Buon Natale!

      Nora June

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  3. Un grazie di cuore a Francy e a tutte le amiche di LMBR per quest'opportunità e per la fantastica cover! Dedico questo racconto a tutte coloro che come me credono alla magia del Natale e al rimettersi in gioco.

    Un abbraccio,

    Nora June

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  4. Bellissimo romance!!! L'ho adorato e divorato dall'inizio alla fine... piacerebbe anche a me trovare un vichingo così !!

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    1. Ciao Annika,

      sono contenta che ti sia piaciuto! Io un vichingo così l'ho trovato (anche se non giocatore di football :) ). Ti auguro di avere la stessa fortuna! :)

      Nora June

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  5. Dolce, fresco, divertente e romantico. Grazie!

    RispondiElimina
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    1. Grazie a te, Nimue!

      Nora June

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  6. Carino :D
    Mi sono iscritta ai lettori fissi... Buone Feste!

    RispondiElimina
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    1. Grazie! Buone feste anche a te!

      Nora June

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  7. Vabbè, ma questo sarà il mio preferito.
    L'autrice ci dica dove li trova i vichinghi così, che vado a vedere se hanno un fratello!

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    1. Grazie LadyEiry! Sarà un cliché ma il mio vichingo è figlio unico. :)

      In compenso, so per certo che Nate ha un paio di amici vichinghi ancora single e pronti a buttarsi nella mischia! ;)

      Buone Feste,

      Nora June

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  8. Racconto bello lungo e una narrazione fresca. Storia carinissima. Complimenti!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Emiliana! Sono contenta che ti sia piaciuto!

      Nora June

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  9. Da oggi considererò il football con occhi diversi ... Bello il racconto. Intelligente, simpatico, dolce e anche un po' sensuale. Le mie congratulazioni all'autrice.

    RispondiElimina
  10. Bello.
    Non c'è molto altro da aggiungere.

    L'ho trovato ben scritto, con la giusta dose di ironia, ricco di spunti
    interessanti, stuzzicante e malizioso al punto giusto.

    Quattro cuori e mezzo molto meritati.
    L'ultimo mezzo cuore se l'autrice ci regalerà una serie sui bei giocatori di football con qualche episodio futuro della vita di questa bella coppia.

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  11. Che belle parole, grazie! Non sai che tentazione sia scrivere il seguito! Anche perché so esattamente cosa accadrà a Sara, Nate e i loro amici... :)

    Nora June

    RispondiElimina
  12. Bellissimo storia, una favola moderna von i fiocchi! Sarebbe bello leggere anche degli amici di Nate e, soprattutto, scoprire che cosa faranni i protagonisti! Che bello sapere che l'amore vero esiste e che hai trovato il tuo vichingo, mi fa continuare a sperare di avere la stessa fortuna prima o poi. Ancora complimenti!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Samantha! Posso confermare: l'amore vero esiste! :) Ti auguro di avere la stessa fortuna che ho avuto io!

      Nora June

      Elimina
  13. Molto, molto carino! L'ho trovato divertente e nello stesso tempo romantico. Ad un certo punto ho avuto l'impressione che si dilungasse un tantino troppo ma poi ha ripreso vigore. Bravo il vichingo!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Micaelac! Grazie del tuo commento!

      Sì, lo ammetto, mi sono fatta prendere dall'entusiasmo e mi sono concessa un paio di excursus per dare un po' più di sostanza ai nostri amici. :) Sono contenta che ti sia piaciuto lo stesso!

      Buona serata,
      Nora June

      Elimina
  14. molto divertente! chi non lo vorrebbe un vichingo così? l'unico appunto che posso fare è relativo alla protagonista,
    che dà più l'impressione di essere più una vergine piuttosto che una che ha già avuto esperienze. il racconto comunque mi è piaciuto molto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, Isabella!
      Sara ha avuto esperienze, è vero, ma pessime e, in parte, violente. Dopo tre anni e passa di astinenza, in cui si è dedicata soltanto al lavoro, si ritrova a tu per tu con un pezzo di vichingo come Nate... estroverso, disinibito e capace di leggerle dentro. Non riesco a biasimarla per essere un po' più impacciata del dovuto :).
      In effetti, il suo è un viaggio alla riscoperta di se stessa, del proprio corpo e dei propri desideri e ci trovo degli aspetti in comune con chi scopre il sesso per la prima volta.

      Buona serata!
      Nora June

      Elimina
  15. Ho appena finito di leggere questo racconto e devo ammettere che mi ha conquistata praticamente dall'inizio.
    Il personaggio di Sara è bellissimo per non parlare di Nata, decisamente l'uomo ideale!
    Sei davvero molto brava a scrivere, sei riuscita a farmi emozionare.
    Spero con tutto il cuore, un giorno, di poter leggere un tuo romanzo completo, sono sicura che mi piacerà da impazzire.

    PS: il tuo italiano è musica per i miei occhi.
    Complimenti sinceri e più che meritati.

    Katy

    RispondiElimina

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