Christmas in Love 2016: "CHIAMALO, SE VUOI, AMORE" di Sarah Bernardinello


NUOVO APPUNTAMENTO CON I RACCONTI DI CHRISTMAS IN LOVE 2016! LA STORIA DI OGGI, CHIAMALO, SE VUOI, AMORE  E' FIRMATA DA SARAH BERNARDINELLO, UN'AUTRICE CHE SI E' FATTA CONOSCERE SU QUESTO BLOG PER LE SUE LUNGHE E INTENSE STORIE M/M. VEDRETE CHE ANCHE QUELLA DI OGGI MANTERRA' LE PROMESSE... BUONA LETTURA!

Prologo
18 Agosto

Era notte fonda e c'era un'afa terribile, nonostante l'aria condizionata. Martin si allargò il nodo della cravatta e si sistemò meglio sullo sgabello del bar. Era al suo terzo John Collins e cominciava ad avere caldo. Al party di Grant Arnold non si era tirato indietro nel bere champagne, e tutto quel mescolare si stava facendo sentire. Aveva lasciato presto la festa, si era stufato di guardare quella gente ben vestita e talmente snob da fargli venire l'orticaria. Il taxi l'aveva lasciato davanti al G Lounge, ma lui non si era lasciato intimidire dalla fila. Il buttafuori aveva fatto un cenno e l'aveva fatto passare. Martin aveva ignorato le occhiatacce di chi stava aspettando, così come aveva ignorato gli sguardi di apprezzamento.
La musica era assordante, con la coda dell'occhio vedeva la marea di corpi sulla pista da ballo che si dimenava e si strofinava.
Un ragazzo si appoggiò al bancone accanto a lui e fece un cenno al barista.
Martin si concesse una lunga occhiata al giovane, girandosi verso di lui in maniera spudorata. Non che avesse bisogno di un incentivo, ma l'alcol gli stava dando una bella spinta. E poi, aveva voglia di scopare. Soprattutto di dimenticare quanto gli avesse fatto male vedere quei due al party di Arnold scambiarsi quello sguardo. Oh, non lo avrebbe mai ammesso. Negare sempre. Ma, in fondo in fondo, avrebbe voluto essere al posto dell'architetto, per farsi guardare con la stessa intensità.
Scolò il bicchiere e lo posò sul bancone, alzando un dito per chiederne un altro. Nel frattempo, continuò a guardare il ragazzo appoggiato al bancone: pantaloni di pelle, niente maglietta, capelli ricciuti e biondi. Oh, proprio quello di cui aveva bisogno, un angelo caduto.
Ti prego, fa' che non sia minorenne.
Il ragazzo girò la testa e gli sorrise. «Ciao.»
Martin ricambiò il sorriso, e sollevò una mano per sfiorargli i riccioli sulla fronte. «Ciao a te.»
L'altro si spostò un po' più vicino. «Mi offri una birra?»
Martin chiamò il barman e riferì l'ordine, poi tornò a dedicarsi al suo angelo. «Come ti chiami?»
«Tu come vorresti chiamarmi?»
«Credo che Angelo vada bene.»
Il ragazzo rise e si intrufolò fra le sue gambe aperte, allacciandogli le braccia intorno al collo. «Allora sarò il tuo Angelo, se vuoi...»
Martin si sporse e gli appoggiò le labbra sul collo. Aveva un buon odore. Era abbastanza per farlo andare avanti. Almeno per quella notte.

Martin si tirò su la zip dei pantaloni, e guardò il ragazzo ancora inginocchiato sull'asfalto. L'Angelo si era rivelato piuttosto bravo, e lui si congratulò con se stesso per la scelta. Poteva andargli peggio.
Il ragazzo si leccò le labbra, mentre si rialzava e gli sfiorava il petto attraverso la seta della camicia.
«E adesso?» gli chiese, allungandosi per baciarlo.
Martin girò la testa, così che le labbra gonfie e rosse incontrassero la sua guancia.
«Adesso, cosa?»
Il ragazzo si staccò. Alla tenue luce del lampione che arrivava dalla strada, Martin indovinò la rabbia negli occhi chiari dell'Angelo.
«Sei uno stronzo, lo sai?»
Lui si concesse un lieve sorriso. «Sì, mi chiamano spesso così.»
Il giovane fece uno sbuffo e se ne andò. Niente piagnistei, bene.
Martin si sistemò la giacca e i pantaloni e si incamminò per uscire dal vicolo. Doveva trovare un taxi. Un'occhiata al Rolex gli disse che erano le due passate. Sperò di essere fortunato. Uscì dal vicolo e si guardò attorno. Il traffico era ridotto all'osso, nonostante i locali a Chelsea fossero aperti fino a tardi. Si avviò, le mani nelle tasche dei pantaloni. Non c'erano nemmeno autobus, non che lui ne avrebbe preso uno, comunque.
Il colpo gli arrivò da dietro, facendolo incespicare. Martin boccheggiò, il dolore alla testa che arrivava a ondate. L'aggressore lo afferrò per i capelli e lo tirò indietro, quasi trascinandolo. Stavano tornando verso il vicolo che aveva appena lasciato. Martin cercò di liberarsi dalla presa ai capelli e riuscì a girarsi su se stesso, ma gli arrivò un pugno alla mascella. Il buio del vicolo lo accolse improvvisamente. Si ritrovò a terra, un ginocchio premuto sul petto e una mano che gli afferrava la giacca. Una rapina. Un luccichio gli fece indovinare la presenza di un coltello.
«Prendi quello che vuoi.» Ormai aveva abbastanza paura per capire che non sarebbe finita bene. Nossignore.
«Certo che me lo prendo.»
Non riusciva a vederlo, ma vedeva la lama. Martin faceva fatica a respirare, ma avrebbe tanto voluto urlare. Sentiva la mano sconosciuta frugare nella giacca, ma il portafoglio era nella parte opposta. Lui gemette quando il ginocchio si spostò e si guadagnò un altro pugno. Le stelle esplosero davanti ai suoi occhi. Poi fu libero di respirare. Sbatté le palpebre, mentre sentiva dei colpi arrivare da un punto imprecisato. Si spostò sul fianco e in controluce vide due uomini lottare, prima che uno dei due sparisse dalla sua vista.
Un attimo dopo, si ritrovò vicino un'ombra. Una grossa ombra.
«Sei un gigante...» sussurrò Martin.
Una breve risata accolse le sue parole. «Come ti senti?»
«Ammaccato.» Lo sconosciuto lo aiutò a mettersi a sedere. Si tastò la tasca interna della giacca, il portafoglio era ancora al suo posto. Lo smartphone era nella tasca posteriore dei pantaloni, ma non era quello da lavoro.
Lo sconosciuto stava armeggiando con qualcosa e Martin si sentì rizzare i capelli sulla nuca.
«Cosa stai facendo?»
«Chiamo la polizia.» Aveva una voce profonda, del tutto appropriata alla stazza. «E un'ambulanza.»
«No!» Martin si accorse che l'uomo lo stava guardando. «Sto bene, non mi ha rubato niente. Non ce n'è bisogno. Neanche dell'ambulanza.» La testa gli faceva male, ma non lo disse. «Devo solo prendere un taxi e andare a casa.»
Una mano si strinse intorno al suo braccio e si ritrovò in piedi in un attimo. Una breve vertigine lo fece barcollare, ma l'uomo che lo aveva salvato non lo fece cadere. Tenendolo saldamente, si avviò verso l'uscita e si ritrovarono sulla Ventunesima. Di nuovo.
Senza lasciarlo, il gigante si guardò attorno e poi alzò un braccio. Un taxi accostò al marciapiede. Martin era sorpreso, quando lui era uscito non ne aveva visto passare neanche uno.
L'uomo aprì la portiera posteriore e lo spinse dentro gentilmente. Martin si ritrovò seduto sul sedile, sotto lo sguardo perplesso del tassista.
«Dove?» gli chiese questi, facendo vagare lo sguardo da lui all'uomo sul marciapiede. Alzò la testa e riuscì a vederlo abbastanza bene. Barba, occhi scuri, almeno un metro e novanta.
«Sicuro di non voler andare all'ospedale?» chiese nuovamente quella voce profonda.
«Sì.» Martin si passò una mano sulla faccia.
«Allora, riguardati.» La portiera venne chiusa e Martin si ritrovò solo con il tassista.
«Dove?» si sentì chiedere nuovamente. Sospirò e glielo disse.
Mentre l'auto si immetteva in strada, lui si girò a guardare. Il gigante non c'era più. Con una lieve punta di rammarico, si rese conto di non averlo neanche ringraziato.

***

4 Dicembre

Will finì di legare i sacchi della spazzatura, la voce di Thelma che giungeva dal bancone.
«Possiamo chiudere, Will.»
La cucina era già stata pulita, i fuochi spenti. Dubitava che qualcuno si sarebbe avventurato fuori con quel tempaccio, ed erano già le undici. Una vera sera da lupi.
«Manda a casa Rosie, Thelma,» le disse, mentre si infilava il giubbotto per portare fuori i sacchi. Mentre apriva la porta dell'uscita di servizio, gli giunsero le voci delle donne. Charlie era andato via un'ora prima, l'indomani avrebbe dovuto sostenere un esame alla NYU. Will aveva dovuto quasi spingerlo fuori, il ragazzo voleva finire di pulire, ma lui si era imposto e lo aveva salutato.
Di solito era lui che chiudeva, non gli andava di lasciare Thelma da sola, malgrado sapesse che la zona era sicura.
Trascinò i sacchi verso i cassonetti e li buttò dentro. La pioggia continuava a scrosciare. Will alzò la testa coperta dal cappuccio e sentì le gocce pungergli la pelle del viso come se fossero aghi. Erano gelide.
Si girò per tornare dentro, quando un rumore si fece strada in mezzo a quello dell'acqua che continuava a scendere. Forse era qualche topo, nascosto tra i cassonetti. Aveva appena fatto due passi in direzione della porta, quando lo risentì. Un colpo attutito e un gemito.
Will sentì la scarica di adrenalina fargli scendere un brivido per la schiena. Tirò fuori il cellulare dalla tasca del giubbotto e azionò la torcia, avanzando verso il vicolo da cui aveva sentito provenire il rumore. Alzò il telefono con la sua luce e lo puntò sul buio della stretta viuzza.
Un altro gemito e un'esclamazione soffocata, poi li vide: un uomo piegato e un altro a terra, che si copriva la testa con le braccia.
«Ehi!» gridò, avanzando veloce. L'aggressore fuggì senza indugi, abbandonando la sua preda sull'asfalto bagnato.
Will non perse tempo a inseguirlo. Si inginocchiò accanto alla persona rannicchiata in posizione fetale, continuando a tenere la torcia del telefono accesa. Sfiorò la spalla dell'uomo e lo sentì irrigidirsi.
«Ehi,» ripeté. «Va tutto bene. È scappato.» Strinse la mano sul braccio dello sconosciuto aggredito. «Riesci a muoverti?»
L'uomo abbassò lentamente le braccia, mostrando una porzione di faccia. Era stato pestato in maniera pesante, riconobbe Will. Spense la torcia e si rimise il telefono in tasca, prima di prendere l'uomo per un braccio e sollevarlo. L'altro si lasciò alzare, ma sembrava intontito.
«Credo di sì,» biascicò.
Will lo sollevò senza troppo sforzo, anche se l'uomo era tutt'altro che piccolo e magro. «Andiamo, sei fradicio. Ti porto al caldo.»
L'altro sembrò opporre resistenza per un istante, quasi pensasse di essere caduto dalla padella nella brace, ma lui gli strinse gentilmente il braccio intorno al corpo e lo costrinse a seguirlo.
Le luce della lampadina sopra la porta di servizio gli permise di vedere meglio dove metteva i piedi e gli consentì di gettare un'occhiata all'uomo: il cappotto nero ed elegante che indossava era fradicio e sporco, i capelli erano incollati alla testa. Non riusciva a vedergli bene il viso, però.
Will aprì la porta e lo trascinò dentro, lasciandosi dietro le impronte scure sul pavimento appena lavato. Al diavolo.
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CHIAMALO,SE VUOI, AMORE
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