Christmas in Love 2016: AMORE SENZA MASCHERA di Patrizia Ferrando



Il 2016 E' (FINALMENTE?) AGLI SGOCCIOLI E ANCHE I NOSTRI RACCONTI DI CHRISTMAS IN LOVE 2016 STANNO PER TERMINARE, MA NON PER QUESTO SARA' MENO BELLO GODERSELI FINO IN FONDO! IL PENULTIMO APPUNTAMENTO E' FIRMATO DA PATRIZIA FERRANDO CHE NEL SUO AMORE SENZA MASCHERA CI REGALA LE ATMOSFERE UN PO' FANTASTICHE DEL FANTASMA DELL'OPERA...BUONA LETTURA!


Veniva Natale, e tutto era un po’ più sfavillante, un po’ più sovraccarico, spesso malinconico, frenetico, talvolta ineluttabile. Appena un momento prima, le sembrava, i pub esponevano zucche e candele spettrali per Halloween, e le vie londinesi venivano invase dall’ambiguo abbandono dell’autunno, e invece ormai, tutto intorno ad Anna, si appendevano luminarie, si innalzavano abeti, e da Trafalgar Square spirava lo stesso vento infreddolito che, negli ultimi giorni dell’anno, danzava con le sfumature quiete della chiesa di St. Martin in the Field.
La danza, per Anna, misurava il tempo e lo spazio: ballava da sempre, dava passi alla gioia, alla tristezza, all’ansia o alla speranza. Fra un ingaggio e una piroetta, un corso e un inchino, con la cadenza delle scarpette da ballo era approdata a Londra ed entrata trionfalmente fra le schiere per la messa in scena del musical più teatrale, decadente, romantico. The Phantom of the Opera.
Gli stessi passi l’avevano allontanata da quella che poteva essere una placida tranquillità provinciale, e da un uomo che non sapeva se chiamare amore, visto il modo in cui era sbiadito in raffronto alla possibilità di realizzare i suoi sogni.
Quasi ogni sera Anna indossava costumi vaporosi e lucenti e diventava ballerina anche per la finzione, ma una ballerina del fantastico mondo operistico di fine ‘800, sedotto e turbato dalla presenza del geniale e terrificante “fantasma”. Anna era se stessa e un’altra insieme, proiezione perfetta e colorata nella grande festa inscenata al suono di Masquerade, e infine sempre più sbiadita, mentre sul proscenio avvampava e si consumava la storia di struggente e negata passione fra Erik, il musicista deforme da sempre nell’ombra, e la bella stella nascente Christine.
Alla fine dello spettacolo, quando si allontanava dall’uscita degli artisti dove per lei non  sostavano certo ammiratori speciali, rientrata nel grigio del suo cappotto e nell’abbraccio della sciarpa, cullava talvolta l’eco di un applauso più caloroso, o, molto più spesso, la sensazione calda e imbarazzante  di uno sguardo dritto su di lei, da dietro la maschera del fantasma, quando la coreografia li avvicinava, quando , in una scena di scompiglio, lei scivolava ai suoi piedi e restava ferma, con le dita protese verso il viso di lui. Conosceva il modo in cui quelle mani lunghe e virili, guantate di nero, disegnavano una presa possessiva sul dorso di un corsetto, mentre lei, da dietro le quinte, credeva di percepirne la forza trattenuta in una sensazione tanto intima e profonda da farla arrossire, se qualcuno avesse dovuto osservarla in quel momento, così come anelava con sete rivedere il guizzo del mantello, l’eleganza con cui un balzo sugli scalini coincideva con una cascata di note impeccabili.
Ma per Erik non giungeva mai un lieto fine, nonostante Anna, in fondo non smettesse di sognare che perfino questo fosse concesso dalla magia del teatro; e gli sguardi di Erik, o meglio di James, il protagonista dello spettacolo, dovevano essere parte dell’interpretazione e non essere indirizzati a lei. Di James sentiva le parole gentili elargite ad ogni membro della compagnia, sempre con tono positivo, lo sbirciava scherzare con gli attrezzisti, oppure, più assorto, fumare una sigaretta all’esterno, seduto su un muretto, i capelli finalmente liberi dal gel e spioventi in un ciuffo giovane.
Erik e James, James ed Erik: quanto di uno passava nell’altro? Lei non sapeva evitare questi pensieri, e qualche sera, mentre poche stelle tagliavano veli nebbiosi, rimproverava se stessa per confondere troppo realtà e finzione, e perché nessuno scuola di danza e seminario teatrale le lasciava in dote la capacità di astrarsi dall’atmosfera della storia; l’avrebbe acquisita, forse, con anni d’esperienza. Dopotutto, però, importava davvero? Anna se lo domandò mentre accendeva il bollitore elettrico nell’appartamento che condivideva con Helga, una violinista danese che adesso la fissava ferma sulla porta, uno spartito fra le mani e stampata in faccia una vaga riprovazione per l’atteggiamento troppo sognante della ballerina che la sorte le aveva assegnato per coinquilina.

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