Christmas in Love 2013 : GLI EFFETTI COLLATERALI DEI DESIDERI di Maria Cristina Robb




“Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock”
Adesso anche Bobby Helms si era unito a quell’atmosfera caotica e febbricitante.
Il centro commerciale traboccava di gente, la folla invadeva i corridoi con la frenesia tipica degli ultimi giorni prima delle feste.
C’era chi doveva ancora trovare l’ultimo regalo o chi aveva dimenticato le castagne per il ripieno del tacchino o chi cercava la punta più scintillante da mettere in cima all’albero.
Tutti gli anni si ripeteva lo stesso spettacolo e Ryan provava sempre un moto di compassione per tutto quell’affannarsi.
La sua vita da scapolo gli permetteva di fare tutto con largo anticipo e se proprio non riusciva a trovare l’oggetto giusto c’era sempre una delle tante donne di famiglia disposta a pensarci per lui.
Non che gli sarebbe dispiaciuto non essere più single ma la persona giusta non sembrava così facile da accalappiare.
A proposito, era certo di aver visto Ellen Parker aggirarsi in quel mare di persone, con i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle e quel fisico tornito che non mancava mai di attrarre i suoi occhi come una calamita.
Ellen Parker, sospirò, la donna più difficile e sfuggente della città.
Era riuscito a portarla fuori qualche volta, corteggiarla con discrezione, ma lei sembrava una roccaforte, chiusa e impenetrabile.
“Non ho tempo per queste cose,” gli aveva detto una delle ultime volte che aveva provato a invitarla.
Da allora era rimasto a guardarsela da lontano, cercando un modo per convincere la riluttante rossa a dargli una possibilità. Era certo che ci fosse qualcosa tra loro, glielo leggeva negli occhi quando si incontravano, per questo non voleva darsi per vinto. Aveva la testa dura lui.
Ellen era la donna giusta, lo aveva sempre saputo. Fin dalle elementari, quando gli aveva tenuto la mano dopo quella caduta dal muro del giardino e il sadico tentativo di Miss Calloway di medicargli le ginocchia.
Ellen, sempre pronta a prendersi cura di tutti, a difendere i più deboli e a guidare le battaglie contro le ingiustizie scolastiche.
Allora non aveva avuto il coraggio di dichiararsi e quando finalmente era arrivato all’età giusta, Ellen se n’era andata, trasferita a Cheyenne, e lui si era mangiato le mani per aver perso la sua occasione.
In paese erano rimasti solo i nonni a gestire lo chalet vicino agli impianti sciistici.
Ma un anno fa Ellen era tornata. Il nonno era morto e la moglie lo aveva seguito poco dopo, così lei era arrivata, lancia in resta, per prendere in gestione il bed and breakfast che era nella loro famiglia da 50 anni.
Ryan si era ritrovato a riempirsi gli occhi di quei capelli ramati che lei domava a fatica, quegli occhi verdi come le gemme dei pini delle loro montagne e quel sorriso così caldo da poter essere considerato un pericolo per le valanghe in alta quota.
Ma si era rivelata un osso così duro da spuntare tutte le armi di seduzione che conosceva.
Ryan sospirò e alzò un braccio facendo risuonare forte la campanella di bronzo che teneva in mano. “Oh, oh, ooh. Bambini, venite da Babbo Natale.”
Come ogni anno aveva il suo turno per la raccolta fondi del Cowboy Kids, l’ospedale pediatrico del St. John. Il costume di panno rosso era una trappola soffocante nell’aria surriscaldata del centro commerciale e la barba pizzicava come carta vetrata, ma era per una buona causa e in fondo gli piaceva vedere il sorriso dei bambini quando se li metteva sulle ginocchia.
Una mamma si stava avvicinando con il suo piccolo ometto per mano, cercando di farlo uscire dal suo nascondiglio dietro la schiena.
“Dai, Gary, vieni a salutare Babbo Natale.”
Ryan fece una risata roca, proprio come quella del grande vecchio. “Ah, ah, ah, giovanotto,” gli disse, battendosi una mano sulla coscia. “Perché non vieni qui e mi dici se sei stato buono quest’anno?”
Il bimbetto fece spuntare un occhio da dietro il braccio della mamma e fissò il bastoncino di zucchero colorato che Ryan gli dondolava davanti. Poi, con passo esitante, senza lasciare la mano della madre, si avvicinò e allungò le dita verso il dolce. La donna gli diede una spintarella sulla schiena e Ryan tese le braccia per farlo sedere sulla sua gamba. Aspirò l’odore dolce e pulito del bambino e lo guardò illuminarsi mentre la piccola mano si stringeva attorno al prezioso bastoncino bianco e rosso.
“Allora Gary,” gli disse, cercando di rendere la sua voce maschile ancora più profonda. “Sei stato bravo? Posso portarti qualcosa la notte di Natale?”
Il bimbo annuì con la testa e si avvicinò all’orecchio per sussurrargli i suoi desideri.
Dopo un breve scambio di battute, Ryan fece scendere il bimbo dalle ginocchia e lo riconsegnò alla madre, spettinandogli il caschetto castano.
“Quindi vuoi: la casa dei Gormiti e il martello di Thor. Babbo Natale se lo ricorderà.”
La madre depose un’offerta nell’urna accanto allo scranno dove era seduto Ryan e prese la mano libera del bambino, l’altra ancora stretta attorno al suo dolce.
Ryan salutò con la mano e, alle spalle della coppia, adocchiò la rossa che inseguiva nei suoi sogni.
Ellen camminava tenendo per mano un bambino, a occhio e croce l’ultimo nato in casa di Meredith Lewis, la sua amica di sempre. Sembravano assorti in una fitta conversazione e Ryan indugiò sulla curva delicata del viso di Ellen, il lungo collo bianco e la rotondità del seno che riempiva il pullover aderente di lana azzurra, indossato sopra un paio di jeans sbiaditi.
Accidenti! pensò, la smania di poterla toccare gli fece stringere i pugni. Dimmi cosa devo fare.
Ellen e il bimbetto si avvicinarono alla “scatola dei desideri” poco distante da lui.
Nella loro cittadina c’era una tradizione. Gli abitanti mettevano dentro quel contenitore un biglietto con una richiesta e la sera del ventiquattro dicembre veniva bruciato insieme agli altri nella piazza dove allestivano il gigantesco albero di Natale.
Ryan osservò Ellen frugare nella borsa ed estrarre un blocchetto di carta colorata con una matita. Lo porse al bambino che scrisse qualcosa, strappò il biglietto e lo fece passare attraverso la fessura. Poi lo restituì a Ellen ma le impedì di rimetterlo nella borsa. Nacque una piccola discussione di cui Ryan non capì l’argomento ma alla fine Ellen abbassò le spalle e scosse la testa, rivelandogli chi l’aveva avuta vinta.
La donna prese la matita e scrisse qualcosa sul blocchetto. Il foglietto ripiegato finì anche lui nella scatola e i due ripresero la via verso l’ala opposta del centro commerciale con il bimbo che saltellava e parlava senza sosta.
Ryan rimase a guardare come quei jeans, sbiaditi nei punti giusti, aderivano così bene sulle curve generose di Ellen e sospirò ancora.
Cosa avrebbe dato per essere al suo fianco e poterle cingere la vita con un braccio per tenersela vicina.
Poi spostò lo sguardo sulla scatola e un’idea gli si formò nella mente.

 “Metto a posto io qui,” disse Ryan agli addetti delle pulizie.
Alla fine della giornata tutto il materiale del suo stand doveva essere chiuso in uno sgabuzzino insieme alla scatola dei desideri, mentre i soldi erano stati presi in consegna da un membro dell’associazione promotrice. C’erano stati diversi atti di teppismo e la direzione del centro commerciale non voleva più correre rischi.
Ryan aveva aspettato quel momento tutto il pomeriggio, impaziente e irrequieto come se nel suo scranno fossero spuntate delle spine.
Radunò i dolciumi e le caramelle, le renne di cartone, gli alberelli di polistirolo e gli altri oggetti usati per decorare l’angolo dedicato a Babbo Natale e fece un primo viaggio. Poi l’urna vuota delle offerte, il materiale informativo sul Cowboy Kids Pediatrics e infine la scatola dei desideri.
Quando fu dentro lo sgabuzzino si accertò che nessuno fosse nei paraggi e si mise all’opera.
Si tolse la casacca rossa, la stese per terra e vi rovesciò sopra il contenuto della scatola.
Ryan sarebbe stato disposto a leggerseli uno a uno per trovare qualcosa che avesse un senso per una donna adulta, ma per fortuna Ellen aveva usato dei biglietti azzurri che gli avrebbero facilitato il compito.
Ryan sparse con le mani tutti i pezzetti di carta e li rimise uno a uno nel contenitore, trattenendo solo quelli del colore giusto.
Alla fine ne rimasero solo sette.
Ryan si sentiva un cospiratore, una spia in cerca di segreti vitali per l’umanità. Beh, forse non vitali, ma di sicuro molto importanti per la sua sanità mentale.
“Bicicletta rossa”, lesse nel primo biglietto, scritto con lettere grandi e un po’ incerte. Poi fu la volta di una macchina telecomandata e dopo una bambola che parlava e cantava. Al quarto biglietto fu certo di aver trovato quello che cercava e alzò il pugno in segno di vittoria. Smise di aprire i foglietti e li rimise nello scatolone.
La calligrafia rotonda, con caratteri grandi e privi di svolazzi, ricordava molto la personalità energica e pratica di Ellen. Peccato che in quegli ultimi tempi si era visto di rado quel sorriso scalda-cuori illuminarle il volto. E la scritta sul biglietto poteva essere un indizio.
Non sarebbe stato semplice ma, che diamine, era o non era un irlandese? Quando mai la sua gente si era tirata indietro davanti alle imprese difficili?
Ryan sorrise tra sé, stringendo il biglietto tra le dita.
Ellen Parker, adesso non puoi più sfuggirmi.

“Certamente Mister Hallifax. Ho capito.”
Ellen drizzò la schiena e smise di tracciare ghirigori sul bloc-notes accanto al telefono.
“Va bene. Allora ci vediamo il quindici… Grazie.”
Il crack sonoro della cornetta sbattuta con forza contro il suo alloggio riverberò nel silenzio della reception.
Quindici giorni!
E quello spilorcio aveva avuto anche il coraggio di chiamarla proroga.
Maledette banche!
Se non saltavano fuori quei diecimila dollari per la rata del prestito, poteva dire addio al suo bed and breakfast sulle montagne del Teton Range e, visto come era andato il fine settimana di Natale, dubitava che
sarebbe mai riuscita a metterli insieme per metà gennaio.
Chissà cosa avrebbero detto i nonni. A Ellen mancavano moltissimo ma era contenta che almeno non avrebbero avuto quel dispiacere.
Avevano messo in piedi quello chalet cinquant’anni prima e avevano sempre avuto clienti sia d’inverno che d’estate. Ma i tempi erano cambiati e la struttura super moderna che era sorta un po’ più a valle aveva sottratto la clientela al loro semplice alberghetto dove nelle stanze non c’era la Wi Fi e il servizio in camera non prevedeva la caraffa di cocktail serale.
Era sempre stata una conduzione familiare calda e confortevole. Le camere pulite e ordinate con i loro mobili in legno chiaro, la grande sala con i divani in alcantara e il camino sempre accesso e la cucina dove la nonna preparava le sue meravigliose ricette, degne di un qualunque premio internazionale.
Ellen aveva imparato molto da lei e cercava di dare sempre un servizio migliore ma la competizione con certe grosse catene d’alberghi era una guerra persa.
Era stata costretta a chiedere quel prestito. Il tetto doveva essere riparato dopo le ultime burrasche, la parabola con l’impianto satellitare erano ormai un optional indispensabile e tutti gli infissi avevano avuto bisogno di riparazioni e di una riverniciata.
Ma i lavori non erano bastati a richiamare clienti.
Aveva persino dovuto lasciare a casa Melanie, la sua aiutante. I pochi avventori che avevano soggiornato poteva gestirli da sola e inoltre non avrebbe neanche avuto i soldi per pagarla.
Ellen fece un profondo sospiro e prese lo straccio per finire di spolverare il bancone.
Almeno aveva trovato la scusa per non farsi fregare di nuovo.
E dal mitico Ryan Owens, per giunta
Quell’uomo aveva mantenuto tutte le promesse della giovinezza ed era diventato un gran bel pezzo di figliolo, con i folti capelli castano rossicci sempre spettinati, gli occhi grigi che ricordavano certi cieli invernali e un fisico da copertina, temprato dal duro lavoro come guardia forestale e vigile del fuoco.
Oltre a tutto aveva conservato il carattere solare e avventuroso dell’infanzia, insieme a quella vena ironica e scanzonata così tipica delle sue origini irlandesi.
Insomma, un’insegna luminosa con su scritto: “pericolo”.
Era stato una delle sue cotte giovanili ma mai si sarebbe aspettata che lui si ricordasse di lei.
Erano usciti qualche volta ma Ellen si era resa conto quasi subito che le piaceva troppo quell’uomo. Così gli aveva detto di non aver tempo per quelle cose, ma la verità era che si era spaventata a morte ed era scappata via.
Nessuno l’avrebbe mai più abbindolata, neanche un uomo virile e affascinante come Ryan Owens.
Il rumore di una macchina le fece sollevare gli occhi verso la finestra. Un grosso fuoristrada nero aveva svoltato nel vialetto e stava parcheggiando davanti allo chalet.
Dallo sportello di sinistra uscì una donna infagottata in un grosso piumino nero, sollevò la mano per salutare qualcuno alle sue spalle e poi aprì la portiera posteriore.
Quel qualcuno risultò essere un altro bestione grigio metallizzato, poi ne arrivò un terzo e un quarto e in men che non si dica intorno all’albergo c’erano una decina di macchinoni.
La coppia arrivata per prima fece scendere due bambini e si fermò ad aspettare subito fuori dall’ingresso, ben presto raggiunti dagli altri passeggeri delle vetture con cui scambiarono baci e abbracci.
Chi era tutta quella gente?
Ellen appoggiò lo strofinaccio e fece l’atto di uscire da dietro il bancone quando una figura ben nota si fece largo tra quella piccola folla e spinse la porta d’accesso allo chalet.
La massa di gente lo seguì oltre la soglia e si riversò vociante dentro la reception.
Era un insieme piuttosto variegato di persone. C’erano coppie con dei bambini per mano, anziani che si reggevano aiutati da un bastone e qualche adolescente che aveva sulle orecchie le cuffie del lettore mp3.
Ryan si fermò davanti a lei. “Buongiorno Ellen,” la salutò, con la sua voce baritonale che non mancava mai di solleticarle qualcosa dentro lo stomaco.
“Ciao Ryan.” Ellen lanciò uno sguardo circolare sulla piccola folla. “Sono tutti con te?”
“Sì. Riunione di famiglia.” Ryan le sorrise, illuminando di riflessi argentei gli occhi grigio-blu. “Siamo in trenta e volevamo passare l’ultimo dell’anno in montagna tutti assieme. Hai posto?”
Ellen lo fissò a bocca aperta credendo di essere finita in un sogno.
Trenta persone? Fino al primo dell’anno? C’erano almeno quattro giorni, una bella boccata di ossigeno per i suoi debiti.
“Fino a quando vorreste rimanere?” chiese, tentando di mostrarsi professionale ma sicura di aver quasi balbettato.
“Fino al due, visto che è domenica.”
Fantastico!
Era un po’ in ritardo, ma alla fine Babbo Natale era arrivato anche allo chalet Pine Wood.
Ellen si riscosse dalla sua trance ed elargì a Ryan uno dei suoi sorrisi più caldi e luminosi.
“Certo che ho posto!”
Ryan inalò di colpo e rimase un secondo a fissarla e poi rispose piano. “Ah…, bene.”
Poi si girò di scatto verso la sua famiglia.
“Allora, gente!” Dovette alzare un po’ la voce per sovrastare il chiacchiericcio e gli strilli dei bambini. “C’è posto.”
Un coro di evviva accolse le sue parole.
“Se venite qui,” intervenne a quel punto Ellen, prendendo la situazione in mano. “Vi distribuisco nelle camere.”
Dopo una serie di conteggi, spostamenti di letti e trattative caotiche anche l’ultimo nucleo familiare aveva avuto la sua chiave.
Ellen guardò l’ultima valigia sparire su per le scale senza ancora crederci.
Trenta persone per cinque notti. Certo che avrebbe avuto un bel po’ da fare.
In quel momento la testa di Ryan spuntò dalla tromba delle scale. “A proposito. Buon Natale Ellen,” e poi tornò a sparire.
“Buon Natale anche a te,” sussurrò lei.
Poteva giurarci che lo sarebbe stato.
Ma avere quell’uomo in giro per così tanti giorni?
Quello poteva essere un grosso problema

 Il silenzio sembrava prendere uno spazio tutto suo nella stanza.
La notte aveva nevicato forte e il mondo fuori dallo chalet si era trasformato in un’unica distesa bianca, dove persino gli alti pini sembravano confondersi. Non c’era da meravigliarsi che Ellen adorasse quel posto.
Le montagne ricoperte di neve, che si stagliavano all’orizzonte contro un cielo ancora rosa dalla recente alba, erano un panorama che toglieva il fiato.
I suoi pestiferi nipoti erano ancora a letto e Ryan si stava godendo quella breve pace prima che la giornata tornasse a diventare la solita baraonda.
Incominciava ad avere qualche dubbio se fosse stato davvero un regalo per Ellen l’invasione della sua famiglia caotica, rumorosa, allegra e ficcanaso.
Ellen gli era sembrata un po’ provata la sera prima.
Anche lui, che ormai avrebbe dovuto esserci abituato, iniziava a risentire dell’overdose di parenti.
I bambini avevano imperversato per tutto lo chalet, giocando a nascondino, a rincorrersi, a rotolarsi sul folto tappeto davanti al camino. Una volta erano le bimbe che facevano i delinquenti e i maschietti le inseguivano per tutto l’albergo o la volta dopo erano questi ultimi a darsi battaglia a suon di cuscini e rametti del camino per salvare le prigioniere in pericolo.
In tutto questo, l’albero di Natale nella sala da pranzo aveva rischiato di essere ribaltato almeno una dozzina di volte e i ninnoli di ceramica e vetro, che decoravano gli scaffali della libreria e la madia, erano sopravvissuti per miracolo a quell’orda di barbari.
Le sue sorelle e le cugine, guidate dalle matriarche, avevano tormentato Ellen con ogni genere di chiacchiere: dai ricordi dei vecchi tempi alla miglior ricetta per fare il tacchino ripieno, arrivando fino a darle consigli su
come condurre il suo bed and breakfast o sui luoghi migliori dove fare acquisti a prezzi convenienti.
Gli uomini erano stati apparentemente i più tranquilli.
Avevano fatto qualche gita agli impianti della Fred’s Mountain, noleggiando l’attrezzatura per sciare, e avevano lasciato le donne e i bambini a fare da padroni.
Ma quando la sera prima avevano trasmesso la partita dei Wyoming Cowboys non avevano avuto rivali.
Le loro voci si erano sentite fino a valle mentre gridavano contro i giocatori pigri o gli attaccanti troppo delicati e a ogni touch down persino le palline sull’albero di Natale avevano vibrato per le onde sonore delle loro urla.
Per non parlare del campo di pop corn, seminato in un raggio di dieci metri attorno al divano.
Ellen era sembrata imperturbabile.
Aveva risposto all’assalto delle donne di casa Owens con la solita gentilezza, aveva preparato una grande torta e dei biscotti per la merenda dei bambini e aveva continuato a sfornare mais soffiato fino a rifornire gli spettatori dello Yankee Stadium durante il Super Bowl.
Solo all’ora di andare a letto aveva notato la sua preoccupazione.
Continuava a guardare la bufera di neve che imperversava fuori con le sopracciglia aggrottate e mordicchiandosi il labbro inferiore fino a farlo diventare rosso scuro.
Ryan aveva dovuto trattenersi dall’andarle vicino e provare a stirare con il pollice quelle due rughe profonde che le si formavano alla radice del naso.
Non aveva fatto grandi progressi.
Le era girato intorno come un segugio e cercato ogni occasione per starle vicino, per aiutarla, per parlare un po’ con lei, ma con tutta quella folla di gente era impossibile restare anche dieci secondi da soli prima che qualcuno spuntasse fuori dal nulla a interrompere il momento.
Ryan spostò le tendine di cotone per guardare fuori dal vetro.
Per fortuna aveva smesso di nevicare ma si immaginava già quello che avrebbero fatto quei vandali dei suoi nipoti appena avessero visto il paesaggio fatato che li aspettava là fuori.
Un tonfo sordo gli fece spostare lo sguardo verso il lato del giardino.
“Ma!... Che cavolo!...”
Ryan si staccò dalla finestra e cercò i suoi scarponi. Se li infilò, strinse i lacci in fretta e furia, afferrò il montone dalla seggiola e si buttò fuori dalla stanza.
Quella donna doveva essere uscita di testa.
Scese le scale come una furia e uscì dalla porta d’ingresso accolto dal freddo pungente del mattino profumato di neve.
Si avviò a passo di marcia verso la rimessa sul lato dello chalet, affondando fino al polpaccio nel manto bianco, gli occhi puntati sulla figura in cima al tetto che stava spalando la neve.
“Che cosa cavolo pensi di fare?” urlò quando fu arrivato ai piedi della scala a pioli appoggiata sul fianco della costruzione.
Ellen sobbalzò e rimase con la pala a mezz’aria. Poi girò la faccia verso il basso, i capelli fuori controllo che le avvolgevano il viso in una nuvola di ricci rossi e le gote accese dal freddo.
Se non fosse stato così arrabbiato si sarebbe fermato a godersi quel meraviglioso spettacolo.
“Non si vede?” gli rispose con il tono risentito.
“Purtroppo sì e devo dire che avevo una considerazione maggiore della tua intelligenza.”
“Caro il mio signorino,” Ellen aveva la miccia corta, proprio come ci si poteva immaginare guardando quella chioma infuocata. “Si dà il caso che in questa rimessa ci sia il generatore e la caldaia. Se il tetto crolla per la neve, cosa che potrebbe anche succedere, visto che non ho potuto farlo sistemare prima dell’inverno, saremo senza luce, riscaldamento e acqua calda. Permetterai che sarebbe una disdetta, visto che siamo a meno dieci ed è previsto che torni a nevicare.”
“E quindi hai pensato bene di andare da sola, su un tetto mezzo rotto, per spazzare via la neve,” le disse, digrignando i denti.
Se l’avesse avuta tra le mani, probabilmente le avrebbe dato una bella scrollata.
“E cos’altro potevo fare?”
“Chiamare qualcuno?” gridò lui. “Chiedere aiuto? Accidenti. Siamo dieci uomini là dentro, vuoi che almeno uno di noi non sarebbe stato disposto a fare qualcosa?”
Lui di certo sì.
“Il bed and breakfast è mio e non posso certo chiedere ai miei ospiti di lavorarci.”
“Cavoli Ellen,” Ryan si passò una mano nei capelli. “Andavamo a scuola insieme. Siamo persino usciti qualche volta. Dimmi cosa ti impediva di chiedermi aiuto invece di fare quella…..” gesticolò con la mano in direzione del tetto. “Quella stronzata.”
Ellen strinse le labbra e gli occhi in un’espressione cocciuta.
“E’ il mio locale e la responsabilità è mia,” ribadì.
“Pensala come ti pare. Adesso però vieni giù subito prima che salga io a trascinarti di sotto.”
Ryan incominciava a essere anche piuttosto preoccupato. Se davvero quel tetto era mal messo il pericolo che le si aprisse un buco sotto i piedi era abbastanza reale e più ci rimaneva e più il rischio aumentava.
“Quando ho finito, scendo,” gli rispose, girando le spalle di scatto e rimettendosi a togliere neve dal tetto con brusche spalate, buttandola vicino al punto dove era fermo lui.
“Ti ricordo che sono un vigile del fuoco,” ruggì Ryan. “Posso costringerti a scendere. Non farmi salire a prenderti Ellen.” Il tono si abbassò in una minaccia non tanto velata.
Lei si girò di nuovo e lo guardò furiosa. “Se il tetto crolla e rimaniamo senza riscaldamento ti riterrò responsabile.”
“Se cadi e ti rompi una gamba puoi dire addio al tuo bed and breakfast.” Forse era l’argomento giusto per convincerla.
Ellen sembrò voler resistere ma le sue parole avevano colpito nel segno. “Oh, va bene…”
Tenendo in mano la pala, Ellen si avvicinò alla scala a pioli. Qualcosa cedette sotto il suo piede e per rimanere in equilibrio fece un brusco passo avanti che però non si fermò sulla neve fresca e scivolò verso l’orlo del tetto.
Ryan credette che gli si fermasse il cuore.
Si buttò nella sua direzione e riuscì ad afferrarla in qualche modo finendo tutti e due sdraiati in mezzo alla neve.
Dopo il primo attimo in cui tutto il fiato gli uscì dai polmoni, Ryan partì con una sfilza di improperi mentre d’istinto le sue braccia si strinsero attorno a quella sciagurata, come per assicurarsi che fosse tutta intera.
Per fortuna quel maledetto tetto era alto poco più di due metri in quel punto, ma se lui non fosse stato lì…Ryan rabbrividì.
Il corpo di Ellen sussultava sopra di lui, probabilmente spaventata a morte dalla caduta.
“Oh caz…” Ryan le accarezzò la massa arruffata dall’umidità. “E’ tutto a posto,” sussurrò, immergendo il naso in quel groviglio rosso, profumato di freddo e di shampoo alla fragola. “Ti sei fatta male?”
Allentò con dispiacere la stretta e le prese il mento con le mani per guardarla.
Quella incosciente stava ridendo.
Dopo che lui aveva quasi avuto un infarto vedendola cadere e si era buttato per attutire il colpo, lei rideva.
La guardò allibito mentre buttava indietro la testa e smetteva di cercare di trattenersi, facendo risuonare la risata nel silenzio del paesaggio innevato come una campana nel giorno di Pasqua.
Ryan non sapeva se arrabbiarsi o lasciarsi contagiare da quel suono felice e liberatorio.
Lo spettacolo era troppo bello.
L’aveva finalmente tra le braccia, le guance rosse come mele candite pronte da mordere e le labbra carnose che spiccavano sul bianco dei denti.
Come faceva ad arrabbiarsi?
Ryan si unì a lei e rimasero riversi sulla neve a ridere come due bambini che erano appena rotolati giù per un pendio.
Quando Ellen si calmò, abbassò il viso a guardarlo con gli occhi verdi che brillavano come se le gemme si fossero bagnate di rugiada.
Qualcosa si strinse nel petto di Ryan, qualcosa di forte e di irrefrenabile che gli tolse il fiato per un momento infinito. Sollevò il viso di scatto e stampò un bacio su quelle labbra tumide che stavano ancora sorridendo, indugiando qualche secondo per staccarsi con uno schiocco.
L’attimo di sorpresa nello sguardo di Ellen si sciolse in qualcosa di caldo e accogliente che districò la morsa nel suo petto trasformandola in un calore liquido che gli arrivò fino alla punta dei piedi.
Rimasero un attimo a fissarsi poi Ellen sollevò una mano e gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte.
“Sarà meglio che andiamo dentro,” gli disse piano, con la voce resa roca da qualcosa che doveva assomigliare a quello che stava togliendo il respiro a Ryan.
Gli sfiorò leggerissima le labbra e poi si sollevò e si mise in piedi, cigolando un po’.
“Mi sa che domani avrò un livido,” si lamentò, premendosi un fianco.
Poi allungò un braccio verso di lui per aiutarlo.
Ryan afferrò la sua mano e si alzò senza sforzo.
Era il suo momento.
Doveva solo attirarla tra le braccia e finire quello che aveva cominciato. Ellen non avrebbe più potuto fingere che non ci fosse niente.
In quel momento qualcuno urlò dalla casa e un branco di bambini scatenati si riversò nella distesa bianca del giardino, l’attimo strappato via dalla sua rumorosa famiglia.
“Sarà meglio che vada a preparare le colazioni.” gli disse Ellen con un sorriso rivolto ai piccoli teppisti che si stavano buttando nella neve come se fosse una grande piscina. “La tua famiglia tende a essere piuttosto vorace.”
Con grande rincrescimento di Ryan, Ellen si staccò da lui e si avviò verso lo chalet.
Lui rimase a guardarla avvicinarsi alla porta con il suo passo ondeggiante che riusciva a essere femminile e attraente anche con degli scarponi ai piedi.
Qualcosa era successo e neanche Ellen poteva negarlo. Alla fine, non tutti i mali venivano per nuocere.
Ryan finì di scrollarsi la neve dai vestiti e si diresse verso la banda di piccoli Owens che stava già iniziando una guerra di palle.
L’odore pungente dell’inverno gli solleticò il naso e si trasferì nei suoi polmoni con un profondo respiro, lasciandosi dietro un lieve pizzicore che gli rimase nel petto.
Ryan allargò le labbra in un sorriso e fischietto l’aria di “All I want for Christmas is you.”
Finalmente l’idea di convincere la sua famiglia dell’importanza di trascorrere lì l’ultimo dell’anno si stava rivelando quella giusta.

 Ellen aggiunse un po’ di latte all’impasto troppo asciutto dei biscotti che stava modellando con le mani.
“Allora, cosa ci mettiamo questa volta?”
I piccoli Owens erano tutti intorno a lei in un attimo d’incantato silenzio, ipnotizzati dal lavoro delle sue dita che affondavano e torcevano la pasta giallina.
“I pezzi di cioccolata!” saltò su Joshua, il più minuto ma di sicuro anche il più goloso.
“Nooo!” rispose la sorellina Dorothy. “Avevamo detto le noci questa volta.”
“Io voglio le noccioline,” strillò Malcolm alle sue spalle.
L’attimo di religioso silenzio scomparve nell’esplosione di voci infantili che si davano battaglia su chi avrebbe scelto l’ingrediente magico per quell’infornata di biscotti.
Ellen li lasciò fare mentre continuava il suo lavorio sulla pasta, ma quando qualcuno incominciò ad alzare un po’ troppo il tono decise che era il momento di intervenire.
Una profonda voce maschile la precedette. “Adesso basta, piccole canaglie,” tuonò alle sue spalle.
I bambini ammutolirono e tutti si girarono verso la porta, compresa Ellen.
“Ma zio Ryan...” disse con tono lamentoso Melody.
“Silenzio!” L’uomo sembrava molto serio ma Ellen notò il luccichio nei suoi occhi che lo tradiva. “Smettete di tormentare Ellen. La nonna ha bisogno di aiuto per i festoni di capodanno. Muoversi.”
Ryan si girò su se stesso e fece un ampio gesto con un dito in direzione della sala.
I bambini alzarono lo sguardo triste e rassegnato verso Ellen e si diressero con profondi sospiri e borbottii di protesta nella direzione indicata.
“Facciamo così, bambini.” intervenne Ellen, con la tenerezza che le faceva prudere le mani per la voglia di scompigliarli un po’. “Oggi preparerò il ‘gran mix’. Faccio un po’ di biscotti con ogni cosa che avete chiesto. Che ne dite?”
“Evviva!” Un urlo unanime si sollevò dalla piccola tribù che si mise anche a saltellare.
“Tu sì che sei forte, Ellen,” urlò Lucas, alzando il pollice in alto nella sua direzione.
Poi seguì gli altri fuori dalla porta lanciando un’eloquente occhiata verso lo zio che li aspettava al varco con le braccia conserte.
Ryan allungò una mano e gli diede un buffetto sulla testa. “Non dicevi così ieri mentre ti aiutavo a vincere la battaglia con le palle di neve.”
Lucas gli fece un gran sorriso mezzo sdentato e gli arrotolò le braccia intorno alla vita, stringendolo forte.
Tutti i nipoti adoravano lo zio Ryan.
Era sempre quello che organizzava i giochi, li portava a fare le gite ed era il primo a buttarsi nelle avventure, ma sapevano anche quando era il momento in cui parlava sul serio.
Ellen lo immaginò con una tribù di figli suoi e qualcosa le si avvinghiò intorno allo stomaco.
Dopo quel piccolo bacio nella neve Ellen aveva evitato con cura di rimanere sola con lui ma aveva sentito il suo sguardo che la seguiva ogni volta che erano nella stessa stanza e non perdeva occasione di avvicinarla e sfiorarla in qualche modo, mandandole tutte le volte il cuore a piroettarle in gola.
Ma Ellen non poteva permettersi distrazioni, non con uno come Ryan che sembrava incarnare tutto ciò che aveva sempre desiderato in un uomo.
Non ci si poteva fidare di loro, prima ti illudevano, dimostrandoti in mille e un modo quanto tenessero a te, e appena ti rilassavi, zac, ti fregavano.
Come suo padre o quel bastardo del suo ex.
“Hai bisogno di una mano?” La voce calda e tenera di Ryan ruppe il filo dei suoi pensieri.
Ellen lo guardò mentre il luccichio nei suoi occhi assumeva un aspetto molto più pericoloso.
“No… no, grazie.” Ellen scosse la testa, abbassando di scatto lo sguardo. “Vai pure ad aiutare tua madre,” aggiunse, mentre si girava e piantava le dita nell’impasto morbido e rassicurante dei suoi biscotti.
“Ellen, perché non vuoi farti aiutare?” Il tono si era abbassato di volume ma lei avvertì le parole forte e chiaro nel petto.
“Non è faticoso fare i biscotti.” gli rispose con leggerezza, senza voltarsi.
“Lo sai che non mi riferisco a questo.”
Ryan si era avvicinato, i fianchi accostati al bancone e il largo torace, racchiuso in una camicia scozzese di flanella, sostenuto da un gomito appoggiato sul ripiano, in modo da poterla guardare in faccia nonostante tutto.
Ellen non osava neanche sollevare gli occhi, fingendo una profonda concentrazione sulla consistenza dell’impasto.
Ryan le prese il mento con due dita e le fece girare il viso verso di lui.
“Io vorrei solo poterti aiutare,” mormorò.
Ellen quasi si ustionò per il calore che lesse in quegli occhi che brillavano delle sfumature dei laghi montani. Avrebbe voluto così tanto credergli…
Non riuscì a sostenere quello sguardo così carico di promesse e si concentrò sulla radice del naso dove una leggera gobba rimaneva a ricordo di qualche incidente di percorso. Gli occhi le scivolarono verso il basso sulla bocca carnosa, indugiando sul disegno perfettamente arcuato del labbro superiore e la leggera sporgenza di quello inferiore che faceva venire voglia di morderlo.
Riportò di scatto gli occhi sul naso, sicura di essere anche arrossita.
“Sono abituata a fare da sola,” rispose. “Credimi, è meglio così.”
“Invece non ci credo, Ellen,” le rispose, costringendola a tornare a guardarlo con le dita sotto al mento. “Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano. Guarda la mia famiglia e guarda me. Potrà essere rumorosa, caotica, invadente, ma non potrei mai fare a meno di loro.”
“Mio padre se n’è andato che ero molto giovane e ho dovuto imparare presto a badare a me stessa e quando ho pensato di potermi fidare di nuovo, sono stata tradita. Nel peggiore dei modi.”
“Chi è stato?”
“Il mio ex, nel mio letto… e con un’amica,” sussurrò, rivivendo in un attimo il dolore lancinante di quel momento, un marchio a fuoco nella memoria.
Ryan imprecò sottovoce. “Lo sai che non siamo tutti così.”
“E chi lo dice?” rispose Ellen con i denti stretti.
“Io,” mormorò Ryan e le si avvicinò per posare le labbra sulle sue in un lungo dolcissimo istante.
Ellen sentì una vampata di calore arrossarle le guance e non per colpa del forno acceso e si abbandonò per un secondo, ammorbidendo le labbra contro quelle maschili, dure ed esigenti.
“Zio Ryan!” Uno strillo acuto giunse dalla sala da pranzo, facendoli sobbalzare entrambi.
“Che c’è?” rispose lui con le labbra ancora a pochi millimetri da quelle di Ellen e gli occhi incollati nei suoi.
“Vieni. La nonna ha bisogno.”
Ryan chiuse gli occhi e scosse piano la testa.
Con un profondo sospiro si sollevò dal bancone senza lasciarle andare il mento e rimase a fissarla con un ardore profondo negli occhi.
“Bisogna che vada,” le disse. “Ma non finisce qui.”
Ellen rimase incatenata in quello sguardo, dove le promesse erano così allettanti da stringerle qualcosa nella pancia che assomigliava molto al desiderio che aveva letto in lui.
“Zio Ryan!” Un coro di vocette tornò a reclamarlo.
“Arrivo,” rispose forte, allontanando da lei gli occhi con palese malavoglia.
Ellen lo guardò allontanarsi con le larghe spalle che riempivano la camicia rossa e nera e i jeans aderenti che gli fasciavano i fianchi così ben modellati.
Credergli era la cosa che avrebbe voluto di più al mondo.
Ellen fece un lungo respiro per provare a riprendere il controllo del battito cardiaco e si rimise a lavorare la pasta per i biscotti.
Sarebbe riuscita a fidarsi di nuovo di qualcuno?
Davanti a quell’uomo così solido e sicuro, dallo sguardo limpido e sincero, poteva quasi illudersi di sì. 

I botti festosi dei tappi dello champagne accompagnarono gli ultimi rintocchi dell’orologio a pendola appeso sopra il camino.
“Auguri!” urlarono i componenti della famiglia Owens, insieme al suono dei fischietti e delle trombette.
Tutti si affollarono intorno alle bottiglie per avere la propria razione e poi levarono i calici in alto.
Persino i bambini ebbero il loro bicchiere di bevanda fruttata e frizzante con cui brindare.
“Al nuovo anno!” augurò il fratello maggiore e tutti risposero ridendo e soffiando con forza dentro le lingue di Menelik.
Dopo aver bevuto dai loro calici ed essersi scambiati gli abbracci di rito, la famiglia al completo si spostò verso l’ingresso per prendere le giacche e uscire. Nel pomeriggio erano state approntate file di fuochi d’artificio nel campo innevato dietro lo chalet e adesso tutti erano impazienti di andare ad accendere le micce.
 “Vieni, Ellen?” Lucas andò da lei per prenderle la mano. “Vedrai, saranno bellissimi. Papà è un asso con i botti.”
Ellen rise con quel suono pieno e allegro che riusciva sempre a contagiare tutti.
“Vi raggiungo, Lucas. Devo prima mettere via due o tre cose,” gli rispose, dandogli una carezza.
Il bimbo, che in quei quattro giorni aveva sviluppato un attaccamento particolare a Ellen, rimase indeciso fra la sua adorata e il divertimento là fuori.
Ellen gli diede una spintarella. “Tu vai, io arrivo subito.”
Lucas annuì con forza e poi si girò per scappare all’esterno nella notte gelata e puntellata di stelle.
Ryan era rimasto indietro con una scusa.
Ora o mai più.
Aveva un obiettivo in mente e finalmente la sua invadente e assordante famiglia sarebbe stata troppo occupata a far saltare in aria il cielo per interromperlo.
La grande sala con il camino in pietra era stata addobbata con i festoni di carta colorata, confezionati dalle donne con l’aiuto dei bambini, e i rametti di vischio erano stati appesi al soffitto in diversi punti strategici.
Ryan aveva guardato tutta la sera le coppie della sua famiglia scambiarsi baci rubati sotto le foglioline e le piccole bacche verdi.
Adesso era il suo turno. Non le avrebbe permesso di fuggire.
Se prima non era stato molto sicuro dei sentimenti di Ellen, dopo i due quasi baci e la conversazione interrotta in cucina sentiva che c’era un posto per lui nel suo cuore e aveva tutte le intenzioni di insediarvisi come unico regnante indiscusso.
Per Ellen era tutta una questione di fiducia, lo aveva capito, e non poteva certo darle torto.
Gli uomini della sua vita non avevano brillato per la loro affidabilità.
Prima il padre, che aveva abbandonato lei e la madre quando Ellen aveva più o meno quindici anni e avevano più bisogno di lui, poi quello stronzo del suo fidanzato che aveva sorpreso nel loro letto.
Lui ci teneva davvero a quella dolce e ostinata donna con tutti quei ricci rossi che ne tradivano il carattere focoso ed era deciso a dimostrarle che non tutti gli uomini erano dei bastardi traditori.
Ellen si era fermata davanti alla finestra a raccogliere i piatti del dolce che era stato consumato in piedi, vicino al fuoco. Le fiamme dentro la grande struttura in pietra gettavano riflessi tremolanti sugli oggetti circostanti e i capelli di Ellen sembravano intrecciati con lucenti fili di rame.
Chissà se avrebbe preso la scossa toccandoli.
Ryan si avvicinò e le mise le mani sulle spalle.
Ellen sussultò visibilmente ma poi sembrò rilassarsi e si lasciò andare con la schiena contro il suo petto. “Mi hai spaventata,” gli disse con la voce bassa e un po’ roca.
Ryan appoggiò la guancia sulla sua tempia inalando quel profumo di fragole così intonato al suo aspetto e la tirò verso di sé, facendo alcuni passi all’indietro per piazzarsi proprio sotto il lampadario dove era stato appeso uno dei rametti di vischio.
La fece girare verso di sé, le prese i piatti di mano, li appoggiò su un tavolino e le mise le braccia intorno alla vita.
Ellen non rispose all’abbraccio ma neanche si allontanò. Rimase lì, un po’ rigida, a fissarlo.
Ryan decise di prenderlo come un buon segno.
“E’ tutta la sera che aspetto questo momento.”
Ellen aggrottò leggermente le sopracciglia e lui alzò gli occhi verso il soffitto. Lo sguardo di Ellen seguì il suo movimento e Ryan la vide spalancare gli occhi e arrossire.
Non le diede tempo di pensare né di reagire.
Strinse più forte la vita sottile e incollò le labbra alle sue.
Aveva ancora il profumo dello champagne sulle labbra e lui desiderò sapere quale sapore avesse la sua bocca. Con la lingua l’accarezzò in piccoli cerchi concentrici per domandare l’ingresso.
Il corpo di Ellen si tese come una corda di violino ma il calore che passava tra di loro finì per penetrare anche in lei.
Con un piccolo sospiro aprì la porta delle sue labbra e le loro lingue si andarono incontro a metà strada. Sapeva ancora del cioccolato con cui aveva confezionato la torta e Ryan si dilungò ad assaggiarne ogni angolo e anfratto sentendo il fuoco del desiderio salirgli lungo la spina dorsale per raggiungere il cervello.
Ellen si fece più vicina e finalmente allacciò le braccia intorno al suo collo come per tirarlo a sè.
Quello era il paradiso, Ryan lo sapeva, e avrebbe voluto congelare quell’attimo per farlo durare in eterno.
Il primo botto li fece saltare entrambi e i loro denti si scontrarono con un leggero tintinnio.
Ryan si staccò ridacchiando ma non l’avrebbe lasciata andare per nulla al mondo. Anzi, strinse più forte e con l’altra mano risalì lungo la schiena fino alla nuca per premerle il viso contro il proprio petto.
Ellen non cercò di scostarsi e invece si abbandonò ancora di più contro di lui.
Girarono la faccia verso la finestra e rimasero in silenzio a guardare le esplosioni che inondavano il cielo di schegge gialle, blu, argentate, rosse, dorate e scendevano in una lenta pioggia multicolore che svaniva in piccoli sbuffi di fumo.
“Zio! Ellen!” Un coro di strilli infantili li raggiunse, spezzando il silenzio della sala.
Ryan rise, scuotendo la testa. “La mia famiglia…”
Guardò la donna che finalmente era tra le sue braccia e mille parole gli si affollarono sulle labbra. Ma avrebbero dovuto aspettare per uscire, per quelle ci voleva ancora del tempo.
Le prese una mano, “vieni, ci reclamano.”
Ellen gli rispose con uno dei suoi sorrisi sciogli-ghiaccio, trapassandogli il cuore come un raggio laser.
Se questo era l’effetto che gli faceva un semplice sorriso, forse non sarebbe sopravvissuto al momento in cui sarebbe diventata davvero sua.
Si avviarono veloci verso la porta per indossare i giacconi.
La notte limpida gli venne incontro con una ventata gelida spruzzata di ghiaccio. Ellen incassò la testa nel collo del piumino e rabbrividì.
Ryan stese un braccio per avvolgerlo intorno alle sue spalle e raggiunsero insieme il resto della famiglia Owens.
“Guarda Ellen, guarda!” strillò Lucas, quando li vide comparire, saltellando come un capriolo sulla neve e puntando il dito contro la volta scura del cielo dove esplose un’enorme sfera luminosa rossa, verde e bianca che si allargò e ricadde in una cascata dorata.
Ellen sollevò il naso verso l’alto e Ryan affondò le dita nella massa morbida dei suoi capelli.
Si girò a guardarle il viso illuminato dai riflessi dei fuochi e avvicinò la bocca all’orecchio:
“Non te ne pentirai,” le sussurrò con un piccolo graffio dei denti sul padiglione, mentre una gigantesca fontana accendeva il cielo notturno con un botto e una cascata sfrigolante. “Ti farò dimenticare.”

 “Allora arrivederci.”
Ellen era sulla porta del bed and breakfast a salutare la famiglia che se ne andava.
Si erano tutti alzati presto quella mattina e avevano ingurgitato la solita razione tripla di bacon e uova. Poi erano risaliti a prepararsi e adesso sfilavano davanti a lei con aria triste e le valige in mano per salutarla.
“Mi verrai a trovare qualche volta?” le chiese Lucas, mentre si stringeva al suo collo come se non la volesse lasciare.
“Certo che verrò, così mi farai vedere la tua collezione di super eroi.”
Lucas annuì molto serio, le stampò un grosso bacio umido sulla guancia e la lasciò andare. Si voltò per raggiungere la madre che lo aveva appena tornato a chiamare e, prima di salire in macchina, la guardò ancora una volta per salutarla con la mano.
Ellen si rimise in piedi e si trovò davanti la matriarca della famiglia.
La donna, con suo grande stupore, la prese tra le braccia e se la strinse contro.
“Sono molto contenta di averti conosciuta,” le disse, stampandole due baci con lo schiocco sulle guance. Poi la allontanò da sé e la guardò con gli occhi lievemente luccicanti. “Sei davvero una brava ragazza. Non potevo sperare di meglio.”
Poi si girò di scatto e anche lei andò verso la macchina.
L’ultimo della fila era Ryan.
“Accompagno la tribù a valle e poi torno su stasera.”
Non era una domanda ma una semplice affermazione.
Ellen stava per aprire bocca per replicare con qualcosa di pungente ma lui le mise un dito sulle labbra.
“Shhh, non dire nulla. Non voglio sentire proteste. Questa sera parleremo, Ellen Sue Parker, e vedrai che riuscirò a convincerti.”
Poi la prese tra le braccia e le diede un bacio aggressivo, profondo, senza esitazione, un bacio che non chiedeva ma ordinava.
Ellen rimase travolta da quella forza e quando lui si staccò non le era rimasto neanche il fiato per protestare.
Una salve di urla e di fischi si levò dal parcheggio. L’intera famiglia Owens stava facendo il tifo per il loro bacio e Ellen pensò che sarebbe andata a fuoco nonostante la temperatura fosse di diversi gradi sotto lo zero.
Ryan si girò verso la macchina e si avviò a grandi passi con il suo montone beige che gli svolazzava dietro la
schiena.
Prima di salire sul fuoristrada le puntò il dito contro minaccioso e le sillabò con le labbra “A stasera.”
Ellen era ancora imbambolata dalle sensazioni che aveva scatenato in lei e guardò la fila delle macchine uscire dal cancello con lo sguardo fisso sulla prima vettura, quella con le barre in acciaio e il lampeggiante arancione.
Si sfiorò le labbra che ancora le pizzicavano con un dito e si rese conto di stare sorridendo.
Forse era ancora troppo presto, ma qualcosa le diceva che Ryan non avrebbe desistito facilmente.
Sarebbe stata in grado di resistergli?
Ma, soprattutto, era quello che voleva davvero?
Mmm… era quasi certa di no.
Con un profondo respiro inalò l’aria fredda del mattino e si strinse il collo della giacca contro il mento.
Aveva molto da fare quel giorno e la sera sarebbe arrivata in un lampo. Onestamente, Ellen non vedeva l’ora.
Il suo desiderio di Natale si era realizzato e il merito era tutto di quell’uomo forte e generoso che le aveva ridato la speranza di potercela ancora fare.
Il fatto che fosse anche a un soffio dal perdere il proprio cuore era solo uno dei suoi meravigliosi effetti collaterali inaspettati.
FINE

CHI E' L'AUTRICE
Mi chiamo MARIA CRISTINA ROBB sono nata a Bologna e vivo a Castel Maggiore, una cittadina alla sua periferia, con la mia famiglia: un marito e una figlia. Ho 49 anni e faccio l’infermiera da circa 25 anni nel dipartimento di chirurgia di un grosso ospedale universitario.Mi definisco una lettrice compulsiva e per questa ragione ho sempre desiderato poter scrivere qualcosa che desse agli altri le stesse emozioni che provo io quando tengo un libro tra le mani.Adoro la fantascienza, il fantasy, i thriller e diversi altri generi. Ho frequentato qualche corso di Scrittura Creativa che mi ha fornito validi elementi per affinare il mio stile e mi ha portato a decidere di provare a scrivere un romanzo che desse corpo alla mia fantasia e alle mie emozioni.   Recentemente con il mio racconto Mr.Talbot ha vinto come 'Preferito dalle lettrici del blog' la rassegna ROSSO FUOCO su questo blog. In febbraio è uscito un ebook raccolta , C'è amore nell'aria, in cui è incluso anche il mio racconto Un amore sui pattini.



Venite a trovarmi sulla mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/RobbSissy



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7 commenti:

  1. Angela D Angelo24/12/13, 10:42

    Mooooolto carino e molto romance, perfettamente Natalizio. brava Maria Cristina!
    Buon Natale ;)

    RispondiElimina
  2. devo dire che i racconti che leggo qui sopra hanno sempre una qualità molto alta, sono ben scritti ma soprattutto ben studiati e dettagliati. Questo mi è piaciuto molto, vado pazza per queste storie d'amore... e anche se a volte sembrano un po' ripetitive - come la faccenda della donna che ha paura di fidarsi ancora perché l'ex è scappato con un'amica - le emozioni che mi regalano sono sempre diverse. Questa me ne ha regalate molte! ;)

    RispondiElimina
  3. Bello!!! tutte molto brave le nostre scrittrici!

    RispondiElimina
  4. Un aitante e focoso vigile del fuoco/guardia forestale, uno chalet immerso nella natura, una spruzzata di neve... in questo piacevolissimo racconto ci sono tutti gli ingredienti ideali per soddisfare il mio lato romantico :)

    RispondiElimina
  5. Bellissimo, romantico, natalizio, perfetto per sognare, con un protagonista da sbavo... ma.... sei sadicaaaaaaaaaaa!!!!
    Voglio l'epilogo con discussione e conquista dettagliatissimi! Mi raccomando al prossimo racconto!

    RispondiElimina
  6. sto recuperando i racconti pian piano e quello di Maria Cristina non potevo lasciarmelo scappare. Molto carino, mi piace sempre la tua penna, anche se non è il tuo miglior racconto! ma l'atmosfera che ci regali è deliziosa, un vero caldo Natale!

    RispondiElimina
  7. Adoro l'inverno e le ambientazioni con tanta neve, mettono allegria.

    RispondiElimina

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