“Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock”
Adesso anche Bobby Helms si era unito a quell’atmosfera
caotica e febbricitante.
Il centro commerciale traboccava di gente, la folla invadeva
i corridoi con la frenesia tipica degli ultimi giorni prima delle feste.
C’era chi doveva ancora trovare l’ultimo regalo o chi aveva
dimenticato le castagne per il ripieno del tacchino o chi cercava la punta più
scintillante da mettere in cima all’albero.
Tutti gli anni si ripeteva lo stesso spettacolo e Ryan
provava sempre un moto di compassione per tutto quell’affannarsi.
La sua vita da scapolo gli permetteva di fare tutto con
largo anticipo e se proprio non riusciva a trovare l’oggetto giusto c’era
sempre una delle tante donne di famiglia disposta a pensarci per lui.
Non che gli sarebbe dispiaciuto non essere più single ma la
persona giusta non sembrava così facile da accalappiare.
A proposito, era certo di aver visto Ellen Parker aggirarsi
in quel mare di persone, con i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle e quel
fisico tornito che non mancava mai di attrarre i suoi occhi come una calamita.
Ellen Parker, sospirò, la donna più difficile e sfuggente
della città.
Era riuscito a portarla fuori qualche volta, corteggiarla
con discrezione, ma lei sembrava una roccaforte, chiusa e impenetrabile.
“Non ho tempo per queste cose,” gli aveva detto una delle
ultime volte che aveva provato a invitarla.
Da allora era rimasto a guardarsela da lontano, cercando un
modo per convincere la riluttante rossa a dargli una possibilità. Era certo che
ci fosse qualcosa tra loro, glielo leggeva negli occhi quando si incontravano,
per questo non voleva darsi per vinto. Aveva la testa dura lui.
Ellen era la donna giusta, lo aveva sempre saputo. Fin dalle
elementari, quando gli aveva tenuto la mano dopo quella caduta dal muro del
giardino e il sadico tentativo di Miss Calloway di medicargli le ginocchia.
Ellen, sempre pronta a prendersi cura di tutti, a difendere
i più deboli e a guidare le battaglie contro le ingiustizie scolastiche.
Allora non aveva avuto il coraggio di dichiararsi e quando
finalmente era arrivato all’età giusta, Ellen se n’era andata, trasferita a
Cheyenne, e lui si era mangiato le mani per aver perso la sua occasione.
In paese erano rimasti solo i nonni a gestire lo chalet
vicino agli impianti sciistici.
Ma un anno fa Ellen era tornata. Il nonno era morto e la
moglie lo aveva seguito poco dopo, così lei era arrivata, lancia in resta, per
prendere in gestione il bed and breakfast che era nella loro famiglia da 50
anni.
Ryan si era ritrovato a riempirsi gli occhi di quei capelli
ramati che lei domava a fatica, quegli occhi verdi come le gemme dei pini delle
loro montagne e quel sorriso così caldo da poter essere considerato un pericolo
per le valanghe in alta quota.
Ma si era rivelata un osso così duro da spuntare tutte le
armi di seduzione che conosceva.
Ryan sospirò e alzò un braccio facendo risuonare forte la
campanella di bronzo che teneva in mano. “Oh, oh, ooh. Bambini, venite da Babbo
Natale.”
Come ogni anno aveva il suo turno per la raccolta fondi del
Cowboy Kids, l’ospedale pediatrico del St. John. Il costume di panno rosso era
una trappola soffocante nell’aria surriscaldata del centro commerciale e la
barba pizzicava come carta vetrata, ma era per una buona causa e in fondo gli
piaceva vedere il sorriso dei bambini quando se li metteva sulle ginocchia.
Una mamma si stava avvicinando con il suo piccolo ometto per
mano, cercando di farlo uscire dal suo nascondiglio dietro la schiena.
“Dai, Gary, vieni a salutare Babbo Natale.”
Ryan fece una risata roca, proprio come quella del grande
vecchio. “Ah, ah, ah, giovanotto,” gli disse, battendosi una mano sulla coscia.
“Perché non vieni qui e mi dici se sei stato buono quest’anno?”
Il bimbetto fece spuntare un occhio da dietro il braccio
della mamma e fissò il bastoncino di zucchero colorato che Ryan gli dondolava
davanti. Poi, con passo esitante, senza lasciare la mano della madre, si
avvicinò e allungò le dita verso il dolce. La donna gli diede una spintarella
sulla schiena e Ryan tese le braccia per farlo sedere sulla sua gamba. Aspirò
l’odore dolce e pulito del bambino e lo guardò illuminarsi mentre la piccola
mano si stringeva attorno al prezioso bastoncino bianco e rosso.
“Allora Gary,” gli disse, cercando di rendere la sua voce
maschile ancora più profonda. “Sei stato bravo? Posso portarti qualcosa la
notte di Natale?”
Il bimbo annuì con la testa e si avvicinò all’orecchio per
sussurrargli i suoi desideri.
Dopo un breve scambio di battute, Ryan fece scendere il
bimbo dalle ginocchia e lo riconsegnò alla madre, spettinandogli il caschetto
castano.
“Quindi vuoi: la casa dei Gormiti e il martello di Thor.
Babbo Natale se lo ricorderà.”
La madre depose un’offerta nell’urna accanto allo scranno
dove era seduto Ryan e prese la mano libera del bambino, l’altra ancora stretta
attorno al suo dolce.
Ryan salutò con la mano e, alle spalle della coppia, adocchiò
la rossa che inseguiva nei suoi sogni.
Ellen camminava tenendo per mano un bambino, a occhio e
croce l’ultimo nato in casa di Meredith Lewis, la sua amica di sempre.
Sembravano assorti in una fitta conversazione e Ryan indugiò sulla curva
delicata del viso di Ellen, il lungo collo bianco e la rotondità del seno che
riempiva il pullover aderente di lana azzurra, indossato sopra un paio di jeans
sbiaditi.
Accidenti! pensò,
la smania di poterla toccare gli fece stringere i pugni. Dimmi cosa devo fare.
Ellen e il bimbetto si avvicinarono alla “scatola dei
desideri” poco distante da lui.
Nella loro cittadina c’era una tradizione. Gli abitanti
mettevano dentro quel contenitore un biglietto con una richiesta e la sera del
ventiquattro dicembre veniva bruciato insieme agli altri nella piazza dove
allestivano il gigantesco albero di Natale.
Ryan osservò Ellen frugare nella borsa ed estrarre un
blocchetto di carta colorata con una matita. Lo porse al bambino che scrisse
qualcosa, strappò il biglietto e lo fece passare attraverso la fessura. Poi lo
restituì a Ellen ma le impedì di rimetterlo nella borsa. Nacque una piccola
discussione di cui Ryan non capì l’argomento ma alla fine Ellen abbassò le
spalle e scosse la testa, rivelandogli chi l’aveva avuta vinta.
La donna prese la matita e scrisse qualcosa sul blocchetto.
Il foglietto ripiegato finì anche lui nella scatola e i due ripresero la via
verso l’ala opposta del centro commerciale con il bimbo che saltellava e
parlava senza sosta.
Ryan rimase a guardare come quei jeans, sbiaditi nei punti
giusti, aderivano così bene sulle curve generose di Ellen e sospirò ancora.
Cosa avrebbe dato per essere al suo fianco e poterle cingere
la vita con un braccio per tenersela vicina.
Poi spostò lo sguardo sulla scatola e un’idea gli si formò
nella mente.
Alla fine della giornata tutto il materiale del suo stand
doveva essere chiuso in uno sgabuzzino insieme alla scatola dei desideri,
mentre i soldi erano stati presi in consegna da un membro dell’associazione
promotrice. C’erano stati diversi atti di teppismo e la direzione del centro
commerciale non voleva più correre rischi.
Ryan aveva aspettato quel momento tutto il pomeriggio,
impaziente e irrequieto come se nel suo scranno fossero spuntate delle spine.
Radunò i dolciumi e le caramelle, le renne di cartone, gli
alberelli di polistirolo e gli altri oggetti usati per decorare l’angolo
dedicato a Babbo Natale e fece un primo viaggio. Poi l’urna vuota delle offerte,
il materiale informativo sul Cowboy Kids Pediatrics e infine la scatola dei
desideri.
Quando fu dentro lo sgabuzzino si accertò che nessuno fosse
nei paraggi e si mise all’opera.
Si tolse la casacca rossa, la stese per terra e vi rovesciò
sopra il contenuto della scatola.
Ryan sarebbe stato disposto a leggerseli uno a uno per
trovare qualcosa che avesse un senso per una donna adulta, ma per fortuna Ellen
aveva usato dei biglietti azzurri che gli avrebbero facilitato il compito.
Ryan sparse con le mani tutti i pezzetti di carta e li
rimise uno a uno nel contenitore, trattenendo solo quelli del colore giusto.
Alla fine ne rimasero solo sette.
Ryan si sentiva un cospiratore, una spia in cerca di segreti
vitali per l’umanità. Beh, forse non vitali, ma di sicuro molto importanti per
la sua sanità mentale.
“Bicicletta rossa”, lesse nel primo biglietto, scritto con
lettere grandi e un po’ incerte. Poi fu la volta di una macchina telecomandata
e dopo una bambola che parlava e cantava. Al quarto biglietto fu certo di aver
trovato quello che cercava e alzò il pugno in segno di vittoria. Smise di
aprire i foglietti e li rimise nello scatolone.
La calligrafia rotonda, con caratteri grandi e privi di
svolazzi, ricordava molto la personalità energica e pratica di Ellen. Peccato
che in quegli ultimi tempi si era visto di rado quel sorriso scalda-cuori
illuminarle il volto. E la scritta sul biglietto poteva essere un indizio.
Non sarebbe stato semplice ma, che diamine, era o non era un
irlandese? Quando mai la sua gente si era tirata indietro davanti alle imprese
difficili?
Ryan sorrise tra sé, stringendo il biglietto tra le dita.
Ellen Parker, adesso
non puoi più sfuggirmi.
Ellen drizzò la schiena e smise di tracciare ghirigori sul
bloc-notes accanto al telefono.
“Va bene. Allora ci vediamo il quindici… Grazie.”
Il crack sonoro della cornetta sbattuta con forza contro il
suo alloggio riverberò nel silenzio della reception.
Quindici giorni!
E quello spilorcio aveva avuto anche il coraggio di
chiamarla proroga.
Maledette banche!
Se non saltavano fuori quei diecimila dollari per la rata
del prestito, poteva dire addio al suo bed and breakfast sulle montagne del
Teton Range e, visto come era andato il fine settimana di Natale, dubitava che
sarebbe mai riuscita a metterli insieme per metà gennaio.
Chissà cosa avrebbero detto i nonni. A Ellen mancavano
moltissimo ma era contenta che almeno non avrebbero avuto quel dispiacere.
Avevano messo in piedi quello chalet cinquant’anni prima e
avevano sempre avuto clienti sia d’inverno che d’estate. Ma i tempi erano
cambiati e la struttura super moderna che era sorta un po’ più a valle aveva
sottratto la clientela al loro semplice alberghetto dove nelle stanze non c’era
la Wi Fi e il servizio in camera non prevedeva la caraffa di cocktail serale.
Era sempre stata una conduzione familiare calda e
confortevole. Le camere pulite e ordinate con i loro mobili in legno chiaro, la
grande sala con i divani in alcantara e il camino sempre accesso e la cucina
dove la nonna preparava le sue meravigliose ricette, degne di un qualunque
premio internazionale.
Ellen aveva imparato molto da lei e cercava di dare sempre
un servizio migliore ma la competizione con certe grosse catene d’alberghi era
una guerra persa.
Era stata costretta a chiedere quel prestito. Il tetto
doveva essere riparato dopo le ultime burrasche, la parabola con l’impianto
satellitare erano ormai un optional indispensabile e tutti gli infissi avevano
avuto bisogno di riparazioni e di una riverniciata.
Ma i lavori non erano bastati a richiamare clienti.
Aveva persino dovuto lasciare a casa Melanie, la sua
aiutante. I pochi avventori che avevano soggiornato poteva gestirli da sola e
inoltre non avrebbe neanche avuto i soldi per pagarla.
Ellen fece un profondo sospiro e prese lo straccio per
finire di spolverare il bancone.
Almeno aveva trovato la scusa per non farsi fregare di
nuovo.
E dal mitico Ryan Owens, per giunta
Quell’uomo aveva mantenuto tutte le promesse della
giovinezza ed era diventato un gran bel pezzo di figliolo, con i folti capelli
castano rossicci sempre spettinati, gli occhi grigi che ricordavano certi cieli
invernali e un fisico da copertina, temprato dal duro lavoro come guardia
forestale e vigile del fuoco.
Oltre a tutto aveva conservato il carattere solare e
avventuroso dell’infanzia, insieme a quella vena ironica e scanzonata così
tipica delle sue origini irlandesi.
Insomma, un’insegna luminosa con su scritto: “pericolo”.
Era stato una delle sue cotte giovanili ma mai si sarebbe
aspettata che lui si ricordasse di lei.
Erano usciti qualche volta ma Ellen si era resa conto quasi
subito che le piaceva troppo quell’uomo. Così gli aveva detto di non aver tempo
per quelle cose, ma la verità era che si era spaventata a morte ed era scappata
via.
Nessuno l’avrebbe mai più abbindolata, neanche un uomo
virile e affascinante come Ryan Owens.
Il rumore di una macchina le fece sollevare gli occhi verso
la finestra. Un grosso fuoristrada nero aveva svoltato nel vialetto e stava
parcheggiando davanti allo chalet.
Dallo sportello di sinistra uscì una donna infagottata in un
grosso piumino nero, sollevò la mano per salutare qualcuno alle sue spalle e
poi aprì la portiera posteriore.
Quel qualcuno risultò essere un altro bestione grigio
metallizzato, poi ne arrivò un terzo e un quarto e in men che non si dica
intorno all’albergo c’erano una decina di macchinoni.
La coppia arrivata per prima fece scendere due bambini e si
fermò ad aspettare subito fuori dall’ingresso, ben presto raggiunti dagli altri
passeggeri delle vetture con cui scambiarono baci e abbracci.
Chi era tutta quella gente?
Ellen appoggiò lo strofinaccio e fece l’atto di uscire da
dietro il bancone quando una figura ben nota si fece largo tra quella piccola
folla e spinse la porta d’accesso allo chalet.
La massa di gente lo seguì oltre la soglia e si riversò
vociante dentro la reception.
Era un insieme piuttosto variegato di persone. C’erano
coppie con dei bambini per mano, anziani che si reggevano aiutati da un bastone
e qualche adolescente che aveva sulle orecchie le cuffie del lettore mp3.
Ryan si fermò davanti a lei. “Buongiorno Ellen,” la salutò,
con la sua voce baritonale che non mancava mai di solleticarle qualcosa dentro
lo stomaco.
“Ciao Ryan.” Ellen lanciò uno sguardo circolare sulla
piccola folla. “Sono tutti con te?”
“Sì. Riunione di famiglia.” Ryan le sorrise, illuminando di
riflessi argentei gli occhi grigio-blu. “Siamo in trenta e volevamo passare
l’ultimo dell’anno in montagna tutti assieme. Hai posto?”
Ellen lo fissò a bocca aperta credendo di essere finita in
un sogno.
Trenta persone? Fino al primo dell’anno? C’erano almeno
quattro giorni, una bella boccata di ossigeno per i suoi debiti.
“Fino a quando vorreste rimanere?” chiese, tentando di
mostrarsi professionale ma sicura di aver quasi balbettato.
“Fino al due, visto che è domenica.”
Fantastico!
Era un po’ in ritardo, ma alla fine Babbo Natale era
arrivato anche allo chalet Pine Wood.
Ellen si riscosse dalla sua trance ed elargì a Ryan uno dei
suoi sorrisi più caldi e luminosi.
“Certo che ho posto!”
Ryan inalò di colpo e rimase un secondo a fissarla e poi
rispose piano. “Ah…, bene.”
Poi si girò di scatto verso la sua famiglia.
“Allora, gente!” Dovette alzare un po’ la voce per
sovrastare il chiacchiericcio e gli strilli dei bambini. “C’è posto.”
Un coro di evviva accolse le sue parole.
“Se venite qui,” intervenne a quel punto Ellen, prendendo la
situazione in mano. “Vi distribuisco nelle camere.”
Dopo una serie di conteggi, spostamenti di letti e
trattative caotiche anche l’ultimo nucleo familiare aveva avuto la sua chiave.
Ellen guardò l’ultima valigia sparire su per le scale senza
ancora crederci.
Trenta persone per cinque notti. Certo che avrebbe avuto un
bel po’ da fare.
In quel momento la testa di Ryan spuntò dalla tromba delle
scale. “A proposito. Buon Natale Ellen,” e poi tornò a sparire.
“Buon Natale anche a te,” sussurrò lei.
Poteva giurarci che lo sarebbe stato.
Ma avere quell’uomo in giro per così tanti giorni?
Quello poteva essere un grosso problema
La notte aveva nevicato forte e il mondo fuori dallo chalet
si era trasformato in un’unica distesa bianca, dove persino gli alti pini
sembravano confondersi. Non c’era da meravigliarsi che Ellen adorasse quel
posto.
Le montagne ricoperte di neve, che si stagliavano
all’orizzonte contro un cielo ancora rosa dalla recente alba, erano un panorama
che toglieva il fiato.
I suoi pestiferi nipoti erano ancora a letto e Ryan si stava
godendo quella breve pace prima che la giornata tornasse a diventare la solita
baraonda.
Incominciava ad avere qualche dubbio se fosse stato davvero
un regalo per Ellen l’invasione della sua famiglia caotica, rumorosa, allegra e
ficcanaso.
Ellen gli era sembrata un po’ provata la sera prima.
Anche lui, che ormai avrebbe dovuto esserci abituato,
iniziava a risentire dell’overdose di parenti.
I bambini avevano imperversato per tutto lo chalet, giocando
a nascondino, a rincorrersi, a rotolarsi sul folto tappeto davanti al camino.
Una volta erano le bimbe che facevano i delinquenti e i maschietti le
inseguivano per tutto l’albergo o la volta dopo erano questi ultimi a darsi
battaglia a suon di cuscini e rametti del camino per salvare le prigioniere in
pericolo.
In tutto questo, l’albero di Natale nella sala da pranzo
aveva rischiato di essere ribaltato almeno una dozzina di volte e i ninnoli di
ceramica e vetro, che decoravano gli scaffali della libreria e la madia, erano
sopravvissuti per miracolo a quell’orda di barbari.
Le sue sorelle e le cugine, guidate dalle matriarche,
avevano tormentato Ellen con ogni genere di chiacchiere: dai ricordi dei vecchi
tempi alla miglior ricetta per fare il tacchino ripieno, arrivando fino a darle
consigli su
come condurre il suo bed and breakfast o sui luoghi migliori dove
fare acquisti a prezzi convenienti.
Gli uomini erano stati apparentemente i più tranquilli.
Avevano fatto qualche gita agli impianti della Fred’s
Mountain, noleggiando l’attrezzatura per sciare, e avevano lasciato le donne e
i bambini a fare da padroni.
Ma quando la sera prima avevano trasmesso la partita dei
Wyoming Cowboys non avevano avuto rivali.
Le loro voci si erano sentite fino a valle mentre gridavano
contro i giocatori pigri o gli attaccanti troppo delicati e a ogni touch down
persino le palline sull’albero di Natale avevano vibrato per le onde sonore
delle loro urla.
Per non parlare del campo di pop corn, seminato in un raggio
di dieci metri attorno al divano.
Ellen era sembrata imperturbabile.
Aveva risposto all’assalto delle donne di casa Owens con la
solita gentilezza, aveva preparato una grande torta e dei biscotti per la
merenda dei bambini e aveva continuato a sfornare mais soffiato fino a
rifornire gli spettatori dello Yankee Stadium durante il Super Bowl.
Solo all’ora di andare a letto aveva notato la sua
preoccupazione.
Continuava a guardare la bufera di neve che imperversava
fuori con le sopracciglia aggrottate e mordicchiandosi il labbro inferiore fino
a farlo diventare rosso scuro.
Ryan aveva dovuto trattenersi dall’andarle vicino e provare
a stirare con il pollice quelle due rughe profonde che le si formavano alla
radice del naso.
Non aveva fatto grandi progressi.
Le era girato intorno come un segugio e cercato ogni
occasione per starle vicino, per aiutarla, per parlare un po’ con lei, ma con
tutta quella folla di gente era impossibile restare anche dieci secondi da soli
prima che qualcuno spuntasse fuori dal nulla a interrompere il momento.
Ryan spostò le tendine di cotone per guardare fuori dal
vetro.
Per fortuna aveva smesso di nevicare ma si immaginava già
quello che avrebbero fatto quei vandali dei suoi nipoti appena avessero visto
il paesaggio fatato che li aspettava là fuori.
Un tonfo sordo gli fece spostare lo sguardo verso il lato
del giardino.
“Ma!... Che cavolo!...”
Ryan si staccò dalla finestra e cercò i suoi scarponi. Se li
infilò, strinse i lacci in fretta e furia, afferrò il montone dalla seggiola e
si buttò fuori dalla stanza.
Quella donna doveva essere uscita di testa.
Scese le scale come una furia e uscì dalla porta d’ingresso
accolto dal freddo pungente del mattino profumato di neve.
Si avviò a passo di marcia verso la rimessa sul lato dello
chalet, affondando fino al polpaccio nel manto bianco, gli occhi puntati sulla
figura in cima al tetto che stava spalando la neve.
“Che cosa cavolo pensi di fare?” urlò quando fu arrivato ai
piedi della scala a pioli appoggiata sul fianco della costruzione.
Ellen sobbalzò e rimase con la pala a mezz’aria. Poi girò la
faccia verso il basso, i capelli fuori controllo che le avvolgevano il viso in
una nuvola di ricci rossi e le gote accese dal freddo.
Se non fosse stato così arrabbiato si sarebbe fermato a
godersi quel meraviglioso spettacolo.
“Non si vede?” gli rispose con il tono risentito.
“Purtroppo sì e devo dire che avevo una considerazione
maggiore della tua intelligenza.”
“Caro il mio signorino,” Ellen aveva la miccia corta,
proprio come ci si poteva immaginare guardando quella chioma infuocata. “Si dà
il caso che in questa rimessa ci sia il generatore e la caldaia. Se il tetto
crolla per la neve, cosa che potrebbe anche succedere, visto che non ho potuto
farlo sistemare prima dell’inverno, saremo senza luce, riscaldamento e acqua
calda. Permetterai che sarebbe una disdetta, visto che siamo a meno dieci ed è
previsto che torni a nevicare.”
“E quindi hai pensato bene di andare da sola, su un tetto
mezzo rotto, per spazzare via la neve,” le disse, digrignando i denti.
Se l’avesse avuta tra le mani, probabilmente le avrebbe dato
una bella scrollata.
“E cos’altro potevo fare?”
“Chiamare qualcuno?” gridò lui. “Chiedere aiuto? Accidenti.
Siamo dieci uomini là dentro, vuoi che almeno uno di noi non sarebbe stato
disposto a fare qualcosa?”
Lui di certo sì.
“Il bed and breakfast è mio e non posso certo chiedere ai
miei ospiti di lavorarci.”
“Cavoli Ellen,” Ryan si passò una mano nei capelli.
“Andavamo a scuola insieme. Siamo persino usciti qualche volta. Dimmi cosa ti
impediva di chiedermi aiuto invece di fare quella…..” gesticolò con la mano in
direzione del tetto. “Quella stronzata.”
Ellen strinse le labbra e gli occhi in un’espressione
cocciuta.
“E’ il mio locale e la responsabilità è mia,” ribadì.
“Pensala come ti pare. Adesso però vieni giù subito prima
che salga io a trascinarti di sotto.”
Ryan incominciava a essere anche piuttosto preoccupato. Se
davvero quel tetto era mal messo il pericolo che le si aprisse un buco sotto i
piedi era abbastanza reale e più ci rimaneva e più il rischio aumentava.
“Quando ho finito, scendo,” gli rispose, girando le spalle
di scatto e rimettendosi a togliere neve dal tetto con brusche spalate,
buttandola vicino al punto dove era fermo lui.
“Ti ricordo che sono un vigile del fuoco,” ruggì Ryan.
“Posso costringerti a scendere. Non farmi salire a prenderti Ellen.” Il tono si
abbassò in una minaccia non tanto velata.
Lei si girò di nuovo e lo guardò furiosa. “Se il tetto
crolla e rimaniamo senza riscaldamento ti riterrò responsabile.”
“Se cadi e ti rompi una gamba puoi dire addio al tuo bed and
breakfast.” Forse era l’argomento giusto per convincerla.
Ellen sembrò voler resistere ma le sue parole avevano
colpito nel segno. “Oh, va bene…”
Tenendo in mano la pala, Ellen si avvicinò alla scala a
pioli. Qualcosa cedette sotto il suo piede e per rimanere in equilibrio fece un
brusco passo avanti che però non si fermò sulla neve fresca e scivolò verso
l’orlo del tetto.
Ryan credette che gli si fermasse il cuore.
Si buttò nella sua direzione e riuscì ad afferrarla in
qualche modo finendo tutti e due sdraiati in mezzo alla neve.
Dopo il primo attimo in cui tutto il fiato gli uscì dai
polmoni, Ryan partì con una sfilza di improperi mentre d’istinto le sue braccia
si strinsero attorno a quella sciagurata, come per assicurarsi che fosse tutta
intera.
Per fortuna quel maledetto tetto era alto poco più di due
metri in quel punto, ma se lui non fosse stato lì…Ryan rabbrividì.
Il corpo di Ellen sussultava sopra di lui, probabilmente
spaventata a morte dalla caduta.
“Oh caz…” Ryan le accarezzò la massa arruffata dall’umidità.
“E’ tutto a posto,” sussurrò, immergendo il naso in quel groviglio rosso,
profumato di freddo e di shampoo alla fragola. “Ti sei fatta male?”
Allentò con dispiacere la stretta e le prese il mento con le
mani per guardarla.
Quella incosciente stava ridendo.
Dopo che lui aveva quasi avuto un infarto vedendola cadere e
si era buttato per attutire il colpo, lei rideva.
La guardò allibito mentre buttava indietro la testa e
smetteva di cercare di trattenersi, facendo risuonare la risata nel silenzio
del paesaggio innevato come una campana nel giorno di Pasqua.
Ryan non sapeva se arrabbiarsi o lasciarsi contagiare da
quel suono felice e liberatorio.
Lo spettacolo era troppo bello.
L’aveva finalmente tra le braccia, le guance rosse come mele
candite pronte da mordere e le labbra carnose che spiccavano sul bianco dei
denti.
Come faceva ad arrabbiarsi?
Ryan si unì a lei e rimasero riversi sulla neve a ridere
come due bambini che erano appena rotolati giù per un pendio.
Quando Ellen si calmò, abbassò il viso a guardarlo con gli occhi
verdi che brillavano come se le gemme si fossero bagnate di rugiada.
Qualcosa si strinse nel petto di Ryan, qualcosa di forte e
di irrefrenabile che gli tolse il fiato per un momento infinito. Sollevò il
viso di scatto e stampò un bacio su quelle labbra tumide che stavano ancora
sorridendo, indugiando qualche secondo per staccarsi con uno schiocco.
L’attimo di sorpresa nello sguardo di Ellen si sciolse in
qualcosa di caldo e accogliente che districò la morsa nel suo petto
trasformandola in un calore liquido che gli arrivò fino alla punta dei piedi.
Rimasero un attimo a fissarsi poi Ellen sollevò una mano e
gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte.
“Sarà meglio che andiamo dentro,” gli disse piano, con la
voce resa roca da qualcosa che doveva assomigliare a quello che stava togliendo
il respiro a Ryan.
Gli sfiorò leggerissima le labbra e poi si sollevò e si mise
in piedi, cigolando un po’.
“Mi sa che domani avrò un livido,” si lamentò, premendosi un
fianco.
Poi allungò un braccio verso di lui per aiutarlo.
Ryan afferrò la sua mano e si alzò senza sforzo.
Era il suo momento.
Doveva solo attirarla tra le braccia e finire quello che
aveva cominciato. Ellen non avrebbe più potuto fingere che non ci fosse niente.
In quel momento qualcuno urlò dalla casa e un branco di
bambini scatenati si riversò nella distesa bianca del giardino, l’attimo
strappato via dalla sua rumorosa famiglia.
“Sarà meglio che vada a preparare le colazioni.” gli disse
Ellen con un sorriso rivolto ai piccoli teppisti che si stavano buttando nella
neve come se fosse una grande piscina. “La tua famiglia tende a essere
piuttosto vorace.”
Con grande rincrescimento di Ryan, Ellen si staccò da lui e
si avviò verso lo chalet.
Lui rimase a guardarla avvicinarsi alla porta con il suo
passo ondeggiante che riusciva a essere femminile e attraente anche con degli
scarponi ai piedi.
Qualcosa era successo e neanche Ellen poteva negarlo. Alla
fine, non tutti i mali venivano per nuocere.
Ryan finì di scrollarsi la neve dai vestiti e si diresse
verso la banda di piccoli Owens che stava già iniziando una guerra di palle.
L’odore pungente dell’inverno gli solleticò il naso e si
trasferì nei suoi polmoni con un profondo respiro, lasciandosi dietro un lieve
pizzicore che gli rimase nel petto.
Ryan allargò le labbra in un sorriso e fischietto l’aria di
“All I want for Christmas is you.”
Finalmente l’idea di convincere la sua famiglia
dell’importanza di trascorrere lì l’ultimo dell’anno si stava rivelando quella
giusta.
“Allora, cosa ci mettiamo questa volta?”
I piccoli Owens erano tutti intorno a lei in un attimo
d’incantato silenzio, ipnotizzati dal lavoro delle sue dita che affondavano e
torcevano la pasta giallina.
“I pezzi di cioccolata!” saltò su Joshua, il più minuto ma
di sicuro anche il più goloso.
“Nooo!” rispose la sorellina Dorothy. “Avevamo detto le noci
questa volta.”
“Io voglio le noccioline,” strillò Malcolm alle sue spalle.
L’attimo di religioso silenzio scomparve nell’esplosione di
voci infantili che si davano battaglia su chi avrebbe scelto l’ingrediente
magico per quell’infornata di biscotti.
Ellen li lasciò fare mentre continuava il suo lavorio sulla
pasta, ma quando qualcuno incominciò ad alzare un po’ troppo il tono decise che
era il momento di intervenire.
Una profonda voce maschile la precedette. “Adesso basta,
piccole canaglie,” tuonò alle sue spalle.
I bambini ammutolirono e tutti si girarono verso la porta,
compresa Ellen.
“Ma zio Ryan...” disse con tono lamentoso Melody.
“Silenzio!” L’uomo sembrava molto serio ma Ellen notò il
luccichio nei suoi occhi che lo tradiva. “Smettete di tormentare Ellen. La
nonna ha bisogno di aiuto per i festoni di capodanno. Muoversi.”
Ryan si girò su se stesso e fece un ampio gesto con un dito
in direzione della sala.
I bambini alzarono lo sguardo triste e rassegnato verso
Ellen e si diressero con profondi sospiri e borbottii di protesta nella
direzione indicata.
“Facciamo così, bambini.” intervenne Ellen, con la tenerezza
che le faceva prudere le mani per la voglia di scompigliarli un po’. “Oggi
preparerò il ‘gran mix’. Faccio un po’ di biscotti con ogni cosa che avete
chiesto. Che ne dite?”
“Evviva!” Un urlo unanime si sollevò dalla piccola tribù che
si mise anche a saltellare.
“Tu sì che sei forte, Ellen,” urlò Lucas, alzando il pollice
in alto nella sua direzione.
Poi seguì gli altri fuori dalla porta lanciando un’eloquente
occhiata verso lo zio che li aspettava al varco con le braccia conserte.
Ryan allungò una mano e gli diede un buffetto sulla testa.
“Non dicevi così ieri mentre ti aiutavo a vincere la battaglia con le palle di
neve.”
Lucas gli fece un gran sorriso mezzo sdentato e gli arrotolò
le braccia intorno alla vita, stringendolo forte.
Tutti i nipoti adoravano lo zio Ryan.
Era sempre quello che organizzava i giochi, li portava a
fare le gite ed era il primo a buttarsi nelle avventure, ma sapevano anche
quando era il momento in cui parlava sul serio.
Ellen lo immaginò con una tribù di figli suoi e qualcosa le
si avvinghiò intorno allo stomaco.
Dopo quel piccolo bacio nella neve Ellen aveva evitato con
cura di rimanere sola con lui ma aveva sentito il suo sguardo che la seguiva
ogni volta che erano nella stessa stanza e non perdeva occasione di avvicinarla
e sfiorarla in qualche modo, mandandole tutte le volte il cuore a piroettarle
in gola.
Ma Ellen non poteva permettersi distrazioni, non con uno
come Ryan che sembrava incarnare tutto ciò che aveva sempre desiderato in un
uomo.
Non ci si poteva fidare di loro, prima ti illudevano,
dimostrandoti in mille e un modo quanto tenessero a te, e appena ti rilassavi,
zac, ti fregavano.
Come suo padre o quel bastardo del suo ex.
“Hai bisogno di una mano?” La voce calda e tenera di Ryan
ruppe il filo dei suoi pensieri.
Ellen lo guardò mentre il luccichio nei suoi occhi assumeva
un aspetto molto più pericoloso.
“No… no, grazie.” Ellen scosse la testa, abbassando di
scatto lo sguardo. “Vai pure ad aiutare tua madre,” aggiunse, mentre si girava
e piantava le dita nell’impasto morbido e rassicurante dei suoi biscotti.
“Ellen, perché non vuoi farti aiutare?” Il tono si era
abbassato di volume ma lei avvertì le parole forte e chiaro nel petto.
“Non è faticoso fare i biscotti.” gli rispose con
leggerezza, senza voltarsi.
“Lo sai che non mi riferisco a questo.”
Ryan si era avvicinato, i fianchi accostati al bancone e il
largo torace, racchiuso in una camicia scozzese di flanella, sostenuto da un
gomito appoggiato sul ripiano, in modo da poterla guardare in faccia nonostante
tutto.
Ellen non osava neanche sollevare gli occhi, fingendo una
profonda concentrazione sulla consistenza dell’impasto.
Ryan le prese il mento con due dita e le fece girare il viso
verso di lui.
“Io vorrei solo poterti aiutare,” mormorò.
Ellen quasi si ustionò per il calore che lesse in quegli
occhi che brillavano delle sfumature dei laghi montani. Avrebbe voluto così
tanto credergli…
Non riuscì a sostenere quello sguardo così carico di
promesse e si concentrò sulla radice del naso dove una leggera gobba rimaneva a
ricordo di qualche incidente di percorso. Gli occhi le scivolarono verso il
basso sulla bocca carnosa, indugiando sul disegno perfettamente arcuato del
labbro superiore e la leggera sporgenza di quello inferiore che faceva venire
voglia di morderlo.
Riportò di scatto gli occhi sul naso, sicura di essere anche
arrossita.
“Sono abituata a fare da sola,” rispose. “Credimi, è meglio
così.”
“Invece non ci credo, Ellen,” le rispose, costringendola a
tornare a guardarlo con le dita sotto al mento. “Tutti abbiamo bisogno di
qualcuno che ci dia una mano. Guarda la mia famiglia e guarda me. Potrà essere
rumorosa, caotica, invadente, ma non potrei mai fare a meno di loro.”
“Mio padre se n’è andato che ero molto giovane e ho dovuto
imparare presto a badare a me stessa e quando ho pensato di potermi fidare di
nuovo, sono stata tradita. Nel peggiore dei modi.”
“Chi è stato?”
“Il mio ex, nel mio letto… e con un’amica,” sussurrò,
rivivendo in un attimo il dolore lancinante di quel momento, un marchio a fuoco
nella memoria.
Ryan imprecò sottovoce. “Lo sai che non siamo tutti così.”
“E chi lo dice?” rispose Ellen con i denti stretti.
“Io,” mormorò Ryan e le si avvicinò per posare le labbra
sulle sue in un lungo dolcissimo istante.
Ellen sentì una vampata di calore arrossarle le guance e non
per colpa del forno acceso e si abbandonò per un secondo, ammorbidendo le
labbra contro quelle maschili, dure ed esigenti.
“Zio Ryan!” Uno strillo acuto giunse dalla sala da pranzo,
facendoli sobbalzare entrambi.
“Che c’è?” rispose lui con le labbra ancora a pochi
millimetri da quelle di Ellen e gli occhi incollati nei suoi.
“Vieni. La nonna ha bisogno.”
Ryan chiuse gli occhi e scosse piano la testa.
Con un profondo sospiro si sollevò dal bancone senza
lasciarle andare il mento e rimase a fissarla con un ardore profondo negli
occhi.
“Bisogna che vada,” le disse. “Ma non finisce qui.”
Ellen rimase incatenata in quello sguardo, dove le promesse
erano così allettanti da stringerle qualcosa nella pancia che assomigliava molto
al desiderio che aveva letto in lui.
“Zio Ryan!” Un coro di vocette tornò a reclamarlo.
“Arrivo,” rispose forte, allontanando da lei gli occhi con
palese malavoglia.
Ellen lo guardò allontanarsi con le larghe spalle che
riempivano la camicia rossa e nera e i jeans aderenti che gli fasciavano i
fianchi così ben modellati.
Credergli era la cosa che avrebbe voluto di più al mondo.
Ellen fece un lungo respiro per provare a riprendere il
controllo del battito cardiaco e si rimise a lavorare la pasta per i biscotti.
Sarebbe riuscita a fidarsi di nuovo di qualcuno?
Davanti a quell’uomo così solido e sicuro, dallo sguardo
limpido e sincero, poteva quasi illudersi di sì.
I botti festosi dei tappi dello champagne accompagnarono gli
ultimi rintocchi dell’orologio a pendola appeso sopra il camino.
“Auguri!” urlarono i componenti della famiglia Owens,
insieme al suono dei fischietti e delle trombette.
Tutti si affollarono intorno alle bottiglie per avere la
propria razione e poi levarono i calici in alto.
“Al nuovo anno!” augurò il fratello maggiore e tutti
risposero ridendo e soffiando con forza dentro le lingue di Menelik.
Dopo aver bevuto dai loro calici ed essersi scambiati gli
abbracci di rito, la famiglia al completo si spostò verso l’ingresso per
prendere le giacche e uscire. Nel pomeriggio erano state approntate file di
fuochi d’artificio nel campo innevato dietro lo chalet e adesso tutti erano
impazienti di andare ad accendere le micce.
“Vieni, Ellen?” Lucas
andò da lei per prenderle la mano. “Vedrai, saranno bellissimi. Papà è un asso
con i botti.”
Ellen rise con quel suono pieno e allegro che riusciva
sempre a contagiare tutti.
“Vi raggiungo, Lucas. Devo prima mettere via due o tre
cose,” gli rispose, dandogli una carezza.
Il bimbo, che in quei quattro giorni aveva sviluppato un
attaccamento particolare a Ellen, rimase indeciso fra la sua adorata e il
divertimento là fuori.
Ellen gli diede una spintarella. “Tu vai, io arrivo subito.”
Lucas annuì con forza e poi si girò per scappare all’esterno
nella notte gelata e puntellata di stelle.
Ryan era rimasto indietro con una scusa.
Ora o mai più.
Aveva un obiettivo in mente e finalmente la sua invadente e
assordante famiglia sarebbe stata troppo occupata a far saltare in aria il
cielo per interromperlo.
La grande sala con il camino in pietra era stata addobbata
con i festoni di carta colorata, confezionati dalle donne con l’aiuto dei
bambini, e i rametti di vischio erano stati appesi al soffitto in diversi punti
strategici.
Ryan aveva guardato tutta la sera le coppie della sua
famiglia scambiarsi baci rubati sotto le foglioline e le piccole bacche verdi.
Adesso era il suo turno. Non le avrebbe permesso di fuggire.
Se prima non era stato molto sicuro dei sentimenti di Ellen,
dopo i due quasi baci e la conversazione interrotta in cucina sentiva che c’era
un posto per lui nel suo cuore e aveva tutte le intenzioni di insediarvisi come
unico regnante indiscusso.
Per Ellen era tutta una questione di fiducia, lo aveva
capito, e non poteva certo darle torto.
Gli uomini della sua vita non avevano brillato per la loro
affidabilità.
Prima il padre, che aveva abbandonato lei e la madre quando
Ellen aveva più o meno quindici anni e avevano più bisogno di lui, poi quello
stronzo del suo fidanzato che aveva sorpreso nel loro letto.
Lui ci teneva davvero a quella dolce e ostinata donna con
tutti quei ricci rossi che ne tradivano il carattere focoso ed era deciso a
dimostrarle che non tutti gli uomini erano dei bastardi traditori.
Ellen si era fermata davanti alla finestra a raccogliere i
piatti del dolce che era stato consumato in piedi, vicino al fuoco. Le fiamme
dentro la grande struttura in pietra gettavano riflessi tremolanti sugli oggetti
circostanti e i capelli di Ellen sembravano intrecciati con lucenti fili di
rame.
Chissà se avrebbe preso la scossa toccandoli.
Ryan si avvicinò e le mise le mani sulle spalle.
Ellen sussultò visibilmente ma poi sembrò rilassarsi e si
lasciò andare con la schiena contro il suo petto. “Mi hai spaventata,” gli
disse con la voce bassa e un po’ roca.
Ryan appoggiò la guancia sulla sua tempia inalando quel
profumo di fragole così intonato al suo aspetto e la tirò verso di sé, facendo
alcuni passi all’indietro per piazzarsi proprio sotto il lampadario dove era
stato appeso uno dei rametti di vischio.
La fece girare verso di sé, le prese i piatti di mano, li
appoggiò su un tavolino e le mise le braccia intorno alla vita.
Ellen non rispose all’abbraccio ma neanche si allontanò.
Rimase lì, un po’ rigida, a fissarlo.
Ryan decise di prenderlo come un buon segno.
“E’ tutta la sera che aspetto questo momento.”
Ellen aggrottò leggermente le sopracciglia e lui alzò gli
occhi verso il soffitto. Lo sguardo di Ellen seguì il suo movimento e Ryan la
vide spalancare gli occhi e arrossire.
Non le diede tempo di pensare né di reagire.
Strinse più forte la vita sottile e incollò le labbra alle
sue.
Aveva ancora il profumo dello champagne sulle labbra e lui
desiderò sapere quale sapore avesse la sua bocca. Con la lingua l’accarezzò in
piccoli cerchi concentrici per domandare l’ingresso.
Il corpo di Ellen si tese come una corda di violino ma il
calore che passava tra di loro finì per penetrare anche in lei.
Con un piccolo sospiro aprì la porta delle sue labbra e le
loro lingue si andarono incontro a metà strada. Sapeva ancora del cioccolato
con cui aveva confezionato la torta e Ryan si dilungò ad assaggiarne ogni
angolo e anfratto sentendo il fuoco del desiderio salirgli lungo la spina
dorsale per raggiungere il cervello.
Ellen si fece più vicina e finalmente allacciò le braccia
intorno al suo collo come per tirarlo a sè.
Quello era il paradiso, Ryan lo sapeva, e avrebbe voluto
congelare quell’attimo per farlo durare in eterno.
Il primo botto li fece saltare entrambi e i loro denti si
scontrarono con un leggero tintinnio.
Ryan si staccò ridacchiando ma non l’avrebbe lasciata andare
per nulla al mondo. Anzi, strinse più forte e con l’altra mano risalì lungo la
schiena fino alla nuca per premerle il viso contro il proprio petto.
Ellen non cercò di scostarsi e invece si abbandonò ancora di
più contro di lui.
Girarono la faccia verso la finestra e rimasero in silenzio
a guardare le esplosioni che inondavano il cielo di schegge gialle, blu,
argentate, rosse, dorate e scendevano in una lenta pioggia multicolore che
svaniva in piccoli sbuffi di fumo.
“Zio! Ellen!” Un coro di strilli infantili li raggiunse,
spezzando il silenzio della sala.
Ryan rise, scuotendo la testa. “La mia famiglia…”
Guardò la donna che finalmente era tra le sue braccia e
mille parole gli si affollarono sulle labbra. Ma avrebbero dovuto aspettare per
uscire, per quelle ci voleva ancora del tempo.
Le prese una mano, “vieni, ci reclamano.”
Ellen gli rispose con uno dei suoi sorrisi sciogli-ghiaccio,
trapassandogli il cuore come un raggio laser.
Se questo era l’effetto che gli faceva un semplice sorriso,
forse non sarebbe sopravvissuto al momento in cui sarebbe diventata davvero
sua.
Si avviarono veloci verso la porta per indossare i giacconi.
La notte limpida gli venne incontro con una ventata gelida
spruzzata di ghiaccio. Ellen incassò la testa nel collo del piumino e
rabbrividì.
Ryan stese un braccio per avvolgerlo intorno alle sue spalle
e raggiunsero insieme il resto della famiglia Owens.
“Guarda Ellen, guarda!” strillò Lucas, quando li vide
comparire, saltellando come un capriolo sulla neve e puntando il dito contro la
volta scura del cielo dove esplose un’enorme sfera luminosa rossa, verde e
bianca che si allargò e ricadde in una cascata dorata.
Ellen sollevò il naso verso l’alto e Ryan affondò le dita
nella massa morbida dei suoi capelli.
Si girò a guardarle il viso illuminato dai riflessi dei
fuochi e avvicinò la bocca all’orecchio:
“Non te ne pentirai,” le sussurrò con un piccolo graffio dei
denti sul padiglione, mentre una gigantesca fontana accendeva il cielo notturno
con un botto e una cascata sfrigolante. “Ti farò dimenticare.”
Ellen era sulla porta del bed and breakfast a salutare la
famiglia che se ne andava.
Si erano tutti alzati presto quella mattina e avevano
ingurgitato la solita razione tripla di bacon e uova. Poi erano risaliti a
prepararsi e adesso sfilavano davanti a lei con aria triste e le valige in mano
per salutarla.
“Mi verrai a trovare qualche volta?” le chiese Lucas, mentre
si stringeva al suo collo come se non la volesse lasciare.
“Certo che verrò, così mi farai vedere la tua collezione di
super eroi.”
Lucas annuì molto serio, le stampò un grosso bacio umido
sulla guancia e la lasciò andare. Si voltò per raggiungere la madre che lo
aveva appena tornato a chiamare e, prima di salire in macchina, la guardò
ancora una volta per salutarla con la mano.
Ellen si rimise in piedi e si trovò davanti la matriarca
della famiglia.
La donna, con suo grande stupore, la prese tra le braccia e
se la strinse contro.
“Sono molto contenta di averti conosciuta,” le disse,
stampandole due baci con lo schiocco sulle guance. Poi la allontanò da sé e la
guardò con gli occhi lievemente luccicanti. “Sei davvero una brava ragazza. Non
potevo sperare di meglio.”
Poi si girò di scatto e anche lei andò verso la macchina.
L’ultimo della fila era Ryan.
“Accompagno la tribù a valle e poi torno su stasera.”
Non era una domanda ma una semplice affermazione.
Ellen stava per aprire bocca per replicare con qualcosa di
pungente ma lui le mise un dito sulle labbra.
“Shhh, non dire nulla. Non voglio sentire proteste. Questa
sera parleremo, Ellen Sue Parker, e vedrai che riuscirò a convincerti.”
Poi la prese tra le braccia e le diede un bacio aggressivo,
profondo, senza esitazione, un bacio che non chiedeva ma ordinava.
Ellen rimase travolta da quella forza e quando lui si staccò
non le era rimasto neanche il fiato per protestare.
Una salve di urla e di fischi si levò dal parcheggio.
L’intera famiglia Owens stava facendo il tifo per il loro bacio e Ellen pensò
che sarebbe andata a fuoco nonostante la temperatura fosse di diversi gradi
sotto lo zero.
Ryan si girò verso la macchina e si avviò a grandi passi con
il suo montone beige che gli svolazzava dietro la
schiena.
Prima di salire sul fuoristrada le puntò il dito contro
minaccioso e le sillabò con le labbra “A stasera.”
Ellen era ancora imbambolata dalle sensazioni che aveva
scatenato in lei e guardò la fila delle macchine uscire dal cancello con lo
sguardo fisso sulla prima vettura, quella con le barre in acciaio e il
lampeggiante arancione.
Si sfiorò le labbra che ancora le pizzicavano con un dito e
si rese conto di stare sorridendo.
Forse era ancora troppo presto, ma qualcosa le diceva che
Ryan non avrebbe desistito facilmente.
Sarebbe stata in grado di resistergli?
Ma, soprattutto, era quello che voleva davvero?
Mmm… era quasi
certa di no.
Con un profondo respiro inalò l’aria fredda del mattino e si
strinse il collo della giacca contro il mento.
Aveva molto da fare quel giorno e la sera sarebbe arrivata
in un lampo. Onestamente, Ellen non vedeva l’ora.
Il suo desiderio di Natale si era realizzato e il merito era
tutto di quell’uomo forte e generoso che le aveva ridato la speranza di
potercela ancora fare.
Il fatto che fosse anche a un soffio dal perdere il proprio
cuore era solo uno dei suoi meravigliosi effetti collaterali inaspettati.
FINE
CHI E' L'AUTRICE
Mi chiamo MARIA CRISTINA ROBB sono nata a Bologna e vivo a Castel Maggiore, una cittadina alla sua periferia, con la mia famiglia: un marito e una figlia. Ho 49 anni e faccio l’infermiera da circa 25 anni nel dipartimento di chirurgia di un grosso ospedale universitario.Mi definisco una lettrice compulsiva e per questa ragione ho sempre desiderato poter scrivere qualcosa che desse agli altri le stesse emozioni che provo io quando tengo un libro tra le mani.Adoro la fantascienza, il fantasy, i thriller e diversi altri generi. Ho frequentato qualche corso di Scrittura Creativa che mi ha fornito validi elementi per affinare il mio stile e mi ha portato a decidere di provare a scrivere un romanzo che desse corpo alla mia fantasia e alle mie emozioni. Recentemente con il mio racconto Mr.Talbot ha vinto come 'Preferito dalle lettrici del blog' la rassegna ROSSO FUOCO su questo blog. In febbraio è uscito un ebook raccolta , C'è amore nell'aria, in cui è incluso anche il mio racconto Un amore sui pattini.
Venite a trovarmi sulla mia pagina Facebook: http://www.facebook.com/RobbSissy
Mooooolto carino e molto romance, perfettamente Natalizio. brava Maria Cristina!
RispondiEliminaBuon Natale ;)
devo dire che i racconti che leggo qui sopra hanno sempre una qualità molto alta, sono ben scritti ma soprattutto ben studiati e dettagliati. Questo mi è piaciuto molto, vado pazza per queste storie d'amore... e anche se a volte sembrano un po' ripetitive - come la faccenda della donna che ha paura di fidarsi ancora perché l'ex è scappato con un'amica - le emozioni che mi regalano sono sempre diverse. Questa me ne ha regalate molte! ;)
RispondiEliminaBello!!! tutte molto brave le nostre scrittrici!
RispondiEliminaUn aitante e focoso vigile del fuoco/guardia forestale, uno chalet immerso nella natura, una spruzzata di neve... in questo piacevolissimo racconto ci sono tutti gli ingredienti ideali per soddisfare il mio lato romantico :)
RispondiEliminaBellissimo, romantico, natalizio, perfetto per sognare, con un protagonista da sbavo... ma.... sei sadicaaaaaaaaaaa!!!!
RispondiEliminaVoglio l'epilogo con discussione e conquista dettagliatissimi! Mi raccomando al prossimo racconto!
sto recuperando i racconti pian piano e quello di Maria Cristina non potevo lasciarmelo scappare. Molto carino, mi piace sempre la tua penna, anche se non è il tuo miglior racconto! ma l'atmosfera che ci regali è deliziosa, un vero caldo Natale!
RispondiEliminaAdoro l'inverno e le ambientazioni con tanta neve, mettono allegria.
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